Non contiene olio di palma’. E’ stata una delle diciture più in voga sulle etichette dei prodotti alimentari negli ultimi tempi, quasi uno slogan di quella che è stata la campagna contro l’utilizzo dell’olio di palma ritenuto pericoloso per la salute e responsabile di un alto impatto ambientale in molti dei paesi in cui viene prodotto.

Ma lo scopo di questo articolo non è entrare nel dibattito sul fatto se quest’olio sia salutare o meno e nemmeno quanto sia ecologicamente sostenibile la sua produzione.
Lo scopo di questo articolo è cercare di capire cosa è cambiato nel mercato nazionale degli olii alimentari dopo che molte aziende hanno deciso di non usare l’olio di palma e come si stia assestando adesso la domanda e l’offerta degli olii.

Se non contiene olio di palma, infatti, quel prodotto dovrà contenere qualcosa d'altro, nello specifico qualche altro olio o sostanza grassa. E che cosa è? Da dove viene? Chi lo produce? E soprattutto è o può essere prodotto in Italia e divenire un’opportunità per la nostra agricoltura?

Lo abbiamo chiesto a Vittorio Margottini, della azienda Sircen srl, una della più importanti realtà italiane nella mediazione, acquisto e vendita di olii greggi vegetali, sia per uso alimentare che per il biodisel e la cogenerazione.

Dottor Margottini, quando è iniziata a calare la domanda dell’olio di palma?
"Il calo della domanda è cominciato nel 2015-2016 in maniera graduale, per diventare importante nel 2017 sotto la spinta della pubblicità televisiva e del Rapporto EFSA 3MCPD/GE".

E’ stato un calo progressivo o un crollo? Di che cifre in termini di tonnellate di prodotto stiamo parlando?
"Il 2017 è stato l’anno in cui i consumi si sono abbassati più velocemente. E' difficile stabilire una quantità, ma direi intorno tra le 80mila e le 100mila tonnellate".

Quali sono state le tipologie di aziende che costituivano la maggior parte della domanda dell’olio di palma?
"Industria dolciaria, come biscottifici, creme spalmabili, merendine. Poi l’industria del pane, imbottigliamento per friggitura e snack salati".

E con cosa è stato sostituito?
"Nella maggior parte dei casi da olio di girasole e da olio di girasole ad alto contenuto di acido oleico".

Da dove proviene la maggior parte dell’olio di girasole che trattate?
"La maggior parte dell’olio di girasole nel nostro paese viene importato dall’Ucraina, dall’Ungheria, dalla Romania e dalla Bulgaria".

Il girasole, contrariamente alla palma, è una coltura tranquillamente realizzabile in Italia. E’ aumentata l’offerta nazionale?
"No. La produzione nazionale è abbastanza stabile ed è di circa 200mila tonnellate di seme e quindi 80mila tonnellate di olio, tra olio di girasole e olio di girasole alto oleico. Negli ultimi anni c’è stato un aumento della semina di seme alto oleico a sfavore del convenzionale ma non ci sono dati ufficiali disponibili".

E i prezzi?
"I prezzi sono conseguenza dei mercati internazionali che quest’anno a causa delle abbondanti produzioni sono piuttosto bassi".

Tenendo ovviamente conto della realtà territoriale italiana, che non presenta superfici coltivabili per colture industriali paragonabili a altri paesi europei o mondiali, c’è o c’è stata un’opportunità in più per le nostre aziende agricole?
"Per le aziende agricole in questo momento ci sono delle coltivazioni più interessanti che il girasole. Penso per esempio alla soia o al grano".

E ora come si sta assestando il mercato?
"I prezzi come detto negli ultimi mesi sono molto bassi. L’olio greggio vale intorno ai 670 euro a tonnellata e la farina ai 120/125 euro a tonnellata e al momento - sia a causa della pressione da parte dei paesi produttori e alla forza dell’euro sul dollaro - non si vedono variazioni all’orizzonte".