In aula magna i relatori hanno presentato una sintesi delle più attuali conoscenze su aspetti cruciali della biologia dell’ape mellifera, come la costruzione del favo, l’alimentazione, i microorganismi simbionti dell’apparato digerente, ma hanno proposto anche riflessioni sul significato di alcune pratiche apistiche come la selezione. Il convegno ha approfondito inoltre l’applicabilità del concetto di benessere animale in apicoltura anche attraverso la presentazione di esperienze di apicoltura naturale, sia come soluzione di tipo ambientale e sociale sia come occasione di riflessione interna per il mondo dell’apicoltura.
“Quest’incontro vuole essere di stimolo per gli apicoltori e per il mondo scientifico. L’obiettivo è quello di cercare all’interno delle potenzialità dell’ape la soluzione dei problemi che abbiamo sotto gli occhi”, ha esordito Paolo Fontana, dell’Unità protezione piante e biodiversità agroforestale della Fondazione Mach. “Dobbiamo porci questa domanda: le tecniche di allevamento attuali corrispondono realmente alle esigenze biologiche dell’ape? La risposta è: non sempre. Da 150 anni usiamo un determinato tipo di arnia, ma in realtà questo è solo uno dei modi di fare apicoltura”.
È stato fatto poi il punto sull’apicoltura trentina. Fino al 1998 il numero degli alveari aveva subito un decremento progressivo, per poi crescere e assestarsi attorno ai 25.000 nel 2012. Per quanto riguarda gli apicoltori, si è passati da 2.000 a 1.300 unità nel giro degli ultimi vent’anni. Va però tenuto conto che, allo stesso tempo, è aumentato il numero medio degli alveari per apiario, da 10 a 20 unità.
Dopo l’apertura dei lavori da parte del dirigente del Centro di trasferimento tecnologico, Michele Pontalti, la ricercatrice del Centro ricerca e innovazione, Francesca Fava, si è concentrata sul microbiota delle api e sulle sue implicazioni sulla salute delle api. “Le comunità batteriche dell’intestino delle api mellifere vengono ereditate verticalmente ed acquisite dall’ambiente circostante. L’influenza dell’ambiente sulla salute delle api e, a sua volta, l’impatto del microbiota dell’alveare di origine sui prodotti della colonia, sono argomenti inesplorati che possono rappresentare uno strumento di monitoraggio importante”.
Le esperte Fem Valeria Malagnini e Livia Zanotelli nel loro intervento si sono soffermate sull’approvvigionamento dei pollini. “Le colonie di api dipendono fortemente dalla disponibilità di risorse floristiche. Esse necessitano di carboidrati che ricavano dal nettare, di proteine, lipidi, vitamine e sali minerali che ricavano dal polline. La qualità e la varietà del polline influenzano positivamente la salute delle api”, hanno osservato.
Nel pomeriggio si è passati a temi più pratici, come l’uso didattico dell’arnia top bar all’Istituto agrario di San Michele all’Adige. Il convegno si è concluso con la riflessione sui primi dati ottenuti dall’apiario della Fondazione Mach a Pergine, popolato con 10 arnie BF top bar, con le tecniche del pacco di api e dello scuotimento e prelievo della regina da un’arnia standard. Durante il progetto sono state monitorate le dimensioni delle cellette da operaia che le api costruiscono naturalmente e la dimensione delle api stesse. Inoltre è stata valutata l’infestazione da Varroa.
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Fonte: Fondazione Edmund Mach - Istituto Agrario di San Michele all'Adige