Per tutelare in maniera adeguata i prodoti tipici sui mercati internazionali c’è bisogno di politiche e strategie condivise, consenso e concertazione. In sintesi: di un’azione intelligente e di sistema.

Questo è quanto emerso a Roma nel corso dell’incontro promosso dal Consorzio di tutela dell'aceto balsamico di Modena Igp (Ctabm) insieme all’Associazione italiana consorzi indicazioni geografiche (Aicig) e Fondazione Qualivita su "Dop e Igp: politiche e strategie di tutela", al quale hanno partecipato, oltre al presidente Ctabm, Stefano Berni, il presidente Aicig, Giuseppe Liberatore, il direttore generale di Fondazione Qualivita Mauro Rosati, Emilio Gatto del Mipaaf, l’avvocato Giorgio Bocedi, Silvia Zucconi, coordinatrice dell'area agroalimentare di Nomisma e Stefano Vaccari di Icqrf.

"Insieme ad Aicig e a Qualivita - ha premesso Berni - abbiamo voluto offrire il nostro piccolo contributo per stimolare una nuova “primavera” di tutela e rilanciare i nostri prodotti: la tutela non è solo un’azione, ma anzitutto una politica strategica da pensare e impostare con la collaborazione dei Consorzi stessi e delle istituzioni".

L’aceto balsamico in numeri
Le prime apparizioni documentate dell’aceto balsamico risalgono all’epoca romana. Al volgere del primo millennio, il monaco Donizone ne parla come di aceto “particolarissimo e perfettissimo”. Alla fine del 1200 sono attive le acetaie della corte modenese degli Estensi e nel 1747 l’aggettivo "balsamico" appare per la prima volta accanto alla parola aceto. Nel 1800 l’aceto balsamico di Modena, recita da protagonista nelle più importanti esposizioni di Genova, Firenze e Bruxelles, suscitando entusiasmi anche a livello internazionale e consolidando il suo valore e sapore. In questo periodo prendono campo le dinastie dei produttori e inizia la storia "moderna" di un settore che nel 2014 contava 72 acetaie in cui si muovevano 250 operatori, 600 addetti al settore e 300 impiegati, con un volume totale di lavorato pari a 97.400.000 litri che si riduce all’imbottigliamento a 76.200.000 litri. Tradotto in soldoni, si parla di un fatturato da 700.000.000 euro, il 92 % dei quali legati all’esportazione in 120 paesi.
Il comparto ha registrato nell’ultimo anno una crescita a due cifre (+12%) e un’indagine Nomisma ha evidenziato come il prodotto sia conosciuto e apprezzato dal 97% degli italiani e dal 70% di francesi e tedeschi.
È evidente che, con certi numeri e per il suo successo internazionale, il prodotto non poteva non attirare su di se contraffattori e imitatori, generando un danno per i produttori e confusione tra i consumatori.

Contraffazione: il minore dei mali
Parlando di tutela dei prodotti tipici e del made in Italy ci si riferisce generalmente alla contraffazione come prima pratica contro cui lottare, riunendo semanticamente nel termine anche condotte diverse ma parimenti dannose: l’evocazione e l’imitazione.
Nel primo caso si ha un termine utilizzato per designare un prodotto che incorpora una parte di una denominazione protetta, in modo da indurre il consumatore ad avere in mente, come immagine di riferimento, la merce che fruisce della denominazione. È il caso del "Cambozola" per il "Gorgonzola" e del "Parmesan" per il parmigiano, riconosciuti e sanzionati solo dopo un lungo e tortuoso iter giudiziario.
Per quanto l’imitazione, invece, si rientra nel campo della legalità. La semplice imitazione di un prodotto, infatti, pur sfruttando il cosiddetto italian sounding per essere presente sui mercati a danno degli originali, non è considerabile come reato.
Secondo il presidente del Ctabm, “tra le condotte scorrette con cui ci si trova ad avere a che fare, la contraffazione vera e propria è il minore dei mali, in quanto già riconosciuta come reato e sanzionata, al contrario di quanto accade per le più subdole pratiche di evocazione e imitazione”.

Le armi della lotta
Imitazione ed evocazione delle denominazioni registrate sono due facce della stessa medaglia - ha spiegato il presidente dell'Aicig, Giuseppe Liberatore - In entrambi i casi, siamo in presenza di pratiche commerciali sleali che, oltre a tradursi non di rado in violazioni alle norme in materia di tutela della proprietà intellettuale, perpetrano una sistematica opera di banalizzazione dei marchi e di svalorizzazione della reputazione e delle peculiarità qualitative dei prodotti a indicazione geografica, facendo leva sulla scarsa informazione fornita al consumatore finale".
"Appare dunque essenziale - prosegue - predisporre, parallelamente a opportune iniziative di sensibilizzazione rivolte ai mercati al consumo, politiche e strategie idonee a rafforzare la tutela delle Dop e Igp in ambito nazionale ed internazionale, non trascurando altresì le problematiche presenti in modo crescente sui mercati virtuali”.

Per combattere efficacemente questi fenomeni c’è dunque bisogno di una revisione del quadro normativo nazionale e internazionale che presuppone una propositiva spinta dal basso di un nucleo coeso e deciso di tutti gli stakeholder. La lotta, inoltre, non si può limitare al campo legale, ma deve estendersi a quello culturale, con una adeguata comunicazione che renda il consumatore consapevole al momento dell’acquisto.
Tutte strategie che non possono essere affrontate dal singolo consorzio di tutela, ma che diventano attuabili in caso tutti gli interessati cooperino.