“Con il land grabbing le multinazionali si sono accaparrate nel mondo 86 milioni di ettari negli ultimi 6 anni, 5 volte la superficie dell’Italia”, ha detto Holt-Giménez. E le vittime di land grabbing, nel mondo, sono molto diverse tra loro, tutte potenziali alleate. “Bisogna creare dei forti movimenti sociali e cercare di cambiare le leggi – ha spiegato il direttore di Food First -. Questa l’unica soluzione per contrastare il fenomeno”.
Altri dati arrivano dalla Ong Grain.org, secondo la quale fra il 2006 e il 2012 gli investimenti di land grabbing sono stati 416, coinvolgendo quasi 35 milioni di ettari di terreno in 66 Paesi, destinati tutti alla produzione di colture alimentari.
Dal 2008, in particolare, il fenomeno ha subito un’accelerazione, complice la crisi alimentare e finanziaria. Un business che ha accelerato a scapito della produzione di cibo per il territorio e a vantaggio degli agricoltori locali.
E non c’è soltanto l’Africa nel mirino dei “land Grabbers”. Investimenti cospicui sono portati a termine in Sudamerica, Asia ed Europa Centro-Orientale, a riprova che il fenomeno è globale.
L’identikit dei land grabbers dice che la maggior parte provengono dal settore agroalimentare, ma ci sono anche società finanziarie e fondi sovrani, responsabili di circa un terzo delle offerte. Investitori europei, soprattutto da
Regno Unito e Germania, e asiatici, da Cina e India, rappresentano circa i due terzi dei dati del land grabbing.
Anche gli Stati Uniti sono in corsa, in cima alla lista in 41 casi, mentre gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita con 39 casi.
Sotto scacco, in particolare, in questa fase è il Mozambico, fra i Paesi che maggiormente sta subendo il land grabbing, con un totale di 25 investimenti da parte di ben 13 nazioni (Brasile, Cina, Francia, India, Italia, Libia, Mauritius, Portogallo, Singapore, Sud Africa, Svezia, Regno Unito e Stati Uniti), di cui 21 portati a termine e 5 in via di definizione per un totale di 1.583.149 ettari di terreno espropriati ai contadini.
“Abbiamo una legge che difende la terra, ma non è osservata”, afferma Ana Paula Tauacale, vicepresidente dell'Unac, Unione nazionale di contadini del Mozambico. Insieme a una rete di cooperative e associazioni ha fatto partire una petizione contro ProSavana, progetto che ha come obiettivo di trasformare un’area di 14,5 milioni di ettari, 145mila chilometri quadrati, in un territorio di scorribanda per imprese nippo-brasiliane interessate alla monocoltura da esportazione.
“Noi vogliamo portare avanti la nostra agricoltura familiare tradizionale e non abbiamo nessuna terra da regalare alle multinazionali”, si difende.
Dalla terra al mare. Il mondo sta facendo i conti non soltanto con la corsa alla terra, ma anche con un vero e proprio attacco ai mari. Il fenomeno è noto come “Ocean grabbing”.
“La privatizzazione delle zone di pesca, dovuta all'ossessione della crescita economica dei Governi, ha permesso il proliferare del fenomeno”, dichiara Naseegh Jaffer, segretario generale del World Forum of Fisher Peoples.
“Dobbiamo parlare di queste cose, ma soprattutto agire – afferma Jaffer - e tutti noi possiamo fare la differenza. È sufficiente cambiare il nostro stile di vita e abbracciare una filosofia più ecosostenibile per arrivare all’obiettivo finale: la sovranità alimentare dei popoli”.
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