“Nel complesso le previsioni 2012 non promettono nulla di buono. Il calo atteso del Pil, prossimo al -2%, e soprattutto il forte drenaggio di capacità di acquisto recato dalle recenti misure fiscali comporterà un’ulteriore erosione delle vendite e della redditività, analoga a quella del 2011". Così il presidente di Federalimentare, Filippo Ferrua, alla conferenza stampa di presentazione del bilancio dell’industria alimentare e delle prospettive per il 2012.
"Preoccupa soprattutto l’effetto iva sui prezzi, sia quello già attuato che quello atteso ad ottobre - ha proseguito Ferrua - che la filiera non potrà ammortizzare. La produzione è stimata in calo del -1,2%, mentre i consumi alimentari rischiano di essere ulteriormente penalizzati del -1,6% in termini reali”.

I numeri dell'industria

L'industria alimentare italiana - con 127 miliardi di euro di fatturato, di cui 23 di export, un saldo positivo di 4 e 410.000 dipendenti - nel 2011 si è confermata il secondo settore manifatturiero del Paese dopo la meccanica, al terzo posto in Europa dopo Germania e Francia.
Quanto alla fisionomia imprenditoriale, si registra una prevalenza di piccole-medie imprese: su 6.300 totali, una trentina sono di grandi dimensioni, 200 medie e le restanti 6.000 piccole, se non piccolissime (da 10 addetti in su). Insieme ad agricoltura, indotto e distribuzione, l’industria alimentare è al centro della prima filiera economica del Paese, che acquista e trasforma il 72% delle materie prime agricole, con quasi l’80% dell’export agroalimentare italiano rappresentato da prodotti industriali di marca.

 

Produzione e consumi in calo

Il 2011 ha visto il riapparire della flessione della produzione che si era presentata nel biennio 2008-2009. Il calo del 2011 sull’anno precedente è pari all'1,7%, mentre il valore del fatturato del settore cresce solo del 2,4%, al di sotto del tasso di inflazione (+3,2%), attestandosi a 127 miliardi di euro. 
Le ombre che gravano sul quadro macroeconomico dell’alimentare vengono soprattutto dai consumi interni. Nel 2011 si sono fermati a 208 miliardi di euro (-2,0% in termini reali).
Il dato diffuso dall’Istat sul commercio al dettaglio dell’anno trascorso è particolarmente allarmante. Depurata dall’inflazione, l’invarianza nel commercio dei consumi alimentari nel 2011 si traduce in un calo di oltre 2 punti percentuali in quantità. Il calo dei consumi al dettaglio dell'1% del dicembre 2011 rispetto a novembre e dell'1,7% rispetto al dicembre 2010 consegna, inoltre, al 2012 una velocità di uscita che lascia presagire un anno altrettanto negativo.
Se la produzione e i consumi interni cedono, l’export alimentare nel 2011 si è chiuso con una quota di 23 miliardi e un +10%. Nel 2012 si attendono 25 miliardi di export con una crescita di 8,7 punti percentuali.

 

Iva: una stangata da 3 miliardi

La Federazione, attraverso il proprio Centro Studi, ha stimato che solo dal nuovo aumento iva arriveranno aggravi per oltre 3 miliardi di euro.

“L'industria alimentare italiana dice 'non ci sto' all'ennesimo prelievo fiscale che avrà inevitabili ripercussioni sul potere d’acquisto degli italiani, prima, e dell’inflazione, poi. Questa zavorra non è sopportabile né per le tasche dei consumatori né per l’industria alimentare, che sta vivendo una congiuntura difficile, con prospettive di ripresa lenta e sofferta rimandate, nella migliore delle ipotesi, al 2014", fa sapere il presidente.
"Dopo il decreto salva Italia questo non doveva essere il momento delle iniziative per lo sviluppo?"
, domanda il numero uno di Federalimentare.

Food tax e "mistificazioni"

Una ricerca Ipsos commissionata da Federalimentare conferma che l’85,6% degli italiani si dichiara decisamente contrario all’ipotesi d’introduzione di un simile provvedimento e l’81,5% ritiene sia una misura finalizzata solo a fare cassa e non, come dichiarata da chi la propone, a orientare i consumi.
“La food tax – dichiara Ferrua - viene mistificata come una tassa per la salute, ma non è vero. Si tratta solo di un’ulteriore imposta. Come ormai è opinione condivisa di tecnologi e nutrizionisti, non vi sono cibi cattivi di per sé, ma cattive abitudini alimentari e stili di vita non appropriati che si contrastano con l’educazione alimentare e l’informazione al consumatore, a cominciare dalle scuole e dalle famiglie”. Secondo le stime di Federalimentare, applicare all’Italia i sistemi di tassazione sul cibo scelti da pochi altri Paesi europei colpirebbe una fetta che può arrivare fino al 14% del carrello della spesa.

 

Innovazione contro la crisi

Un’analisi congiunturale sul quarto trimestre 2011, condotta da Format Research su un campione di 1.000 imprese del settore sul territorio nazionale, evidenzia che oltre la metà delle industrie alimentari punterà sull’innovazione nel biennio 2012-2013. Se il 36% dichiara infatti di voler investire genericamente sull’innovazione del made in Italy, in termini sia di processo che di prodotto, ben il 49,2% ritiene prioritario impegnarsi nell’offerta di alimenti sempre più nutrizionalmente equilibrati e la promozione di stili di vita salutari, che per l’industria alimentare coincide con l’innovazione di prodotto - dato che incontra le attese dei consumatori.
Nel quarto trimestre 2011, il 21,7% delle industrie alimentari ha richiesto un finanziamento. Se si registra un certo affanno sulle condizioni del credito – il 47,4% dichiara un peggioramento della situazione del costo del finanziamento, il 38,2% della durata temporale e il 43,7% delle garanzie richieste - ben il 60,3% di queste ha visto accolta la propria richiesta per un ammontare pari o superiore all’importo domandato, il 12% l’ha vista accolta per un ammontare inferiore e solo il 13,7% l’ha vista respinta.
Oltre dal maggior costo del servizio al credito, l’industria alimentare vede i propri margini assottigliarsi per effetto della tenaglia tra aumento dei prezzi dei fornitori (il 63% li ha visti crescere nel quarto trimestre 2011 e il 27,8 se li aspetta in ulteriore rialzo) e l’allungamento dei tempi di pagamento a valle (il 57,6% ha visto aumentare tali ritardi da parte dei propri clienti, situazione che rimarrà invariata per il 75,2% delle imprese).