La natura, si sa, non è una madre benevola come molti percepiscono e sostengono. Né è una perfida macchina di morte per come certi documentari televisivi riportano. In realtà, la natura è un insieme di relazioni fra organismi spesso basate sulla conflittualità, con armi di offesa e di difesa. 

 

In tal senso sono molte le sostanze che le diverse forme di vita hanno messo a punto durante i lunghi processi di evoluzione. Sostanze sviluppate al fine di competere al meglio con altri organismi potenzialmente concorrenti o minacciosi. E il più efficace vince. Quindi, tossine e veleni sono ampiamente diffusi anche in quelle matrici che vengono erroneamente catalogate come innocue proprio per via della loro origine naturale.

 

Per rafforzare la comprensione di tali evidenze si è quindi deciso di ospitare su AgroNotizie® Alberto Guidorzi, agronomo dall'esperienza pluridecennale e punto di riferimento culturale per quanto concerne la storia del settore agrario in generale e sementiero in particolare. L'intervista prevede una disamina storica delle più significative intossicazioni occorse a più riprese e passate alle cronache nei secoli. 

 

Tossine naturali: pessime esperienze fin dall'antichità

Ricorda Alberto Guidorzi:

Cominciamo riportando cosa dice Senofonte, scrittore ellenico vissuto a cavallo del V e del IV secolo AC. Egli riferisce che talvolta i soldati si avvelenavano mangiando miele prodotto da api che bottinavano su Rhododendron ponticum. Una dimostrazione che le api non pensano certo a procurare salute all'uomo, come certa letteratura vuol far credere, bensì solo a se stesse. Hanno inoltre la capacità di detossificare alcuni veleni che tali restano invece per noi. Anche le bevande assunte durante i Misteri Eleusinici dell'antica Grecia erano probabilmente ricavate da composti vegetali ad effetto psicotropo, con tutti gli effetti collaterali che ciò comporta.

 

Nell'antica Roma, Plinio il Vecchio, che già conosceva l'effetto tossico del Lolium temulentum, narra di come questo cereale desse origine a vertigini in caso fosse macinato con il frumento per produrre il pane. A conferma, aggiunge Plinio, si spandevano fumi ottenuti da inceneritori contenenti semi di Lolium temulentum anche per disperdere le folle tumultuanti. [Una sorta di gas lacrimogeno dell'epoca, ndr].

 

Questi fenomeni sono stati molto più frequenti quando nei periodi di penuria di pane si macinavano anche semi di altre piante al fine di aumentare i volumi panificabili. Evidentemente le farine di solo frumento davano pani più bianchi rispetto a quelle che contenevano semi di altri cereali e da questo fatto si comprende la preferenza atavica (oggi incomprensibilmente invertita) del pane bianco che mangiavano i ricchi rispetto a quelli scuri del popolino. Ciò poiché quelli scuri venivano appunto associati agli avvelenamenti ciclici di cui si è parlato sopra.

 

Peraltro, anche i Romani erano a conoscenza degli effetti dei patogeni delle graminacee al punto che fin dall'VIII secolo a.C. avevano divinizzato la ruggine del grano (Puccinia graminis) dando il nome di Robigus al relativo Dio. Numa Pompilio aveva addirittura indetto una festa in suo onore, chiamata Robigalia. Essa cadeva il 25 aprile, proprio il periodo più propizio per gli attacchi di ruggine.

 

Grandi navigatori, grandi intossicazioni

Un altro avvelenamento storico è quello dei marinai di Colombo durante il suo secondo viaggio: alcuni dei suoi marinai scoprirono dei baccelli che somigliavano alle fave che mangiavano in patria, li raccolsero, li cucinarono, li mangiarono e molti ne morirono. Si trattava di una forma selvatica di una fabacea del genere Canavalia che annovera alcune specie velenose. Per esempio, nella specie Canavalia obtusifolia sono state trovate undici sostanze antinutrizionali e tossiche ascrivibili a diverse categorie, cioè proteine, saponine, poliammine e polifenoli. Quest'ultima categoria è oggi considerata in assoluto a effetto salutistico.

 

Altro caso conosciuto è quello dei marinai di James Cook che videro gli aborigeni mangiare dei semi e del midollo di palma cycas e fecero come loro, ma si ammalarono gravemente. La spiegazione che si diede Cook fu che gli aborigeni erano più robusti degli europei mentre la differenza stava invece nella preparazione: gli indigeni, infatti, polverizzavano semi e midollo e poi ponevano la farina in acqua, rinnovando più volte l'acqua stessa in modo da eliminare le sostanze tossiche (glicoside cicasina).

 

Ancora, durante la prima spedizione inglese attraverso l'Australia, gli esploratori rimasti a corto di cibo mangiarono dei giovani ricacci di felce, come d'altronde alcuni facevano in Europa. Solo che essendo il solo cibo disponibile pian piano si ammalarono di una malattia simile al beri-beri. In seguito fu dimostrato che le fronde fogliose delle felci contengono una antivitamina B, vale a dire un enzima, la thiaminasi, che idrolizza l'amminoacido tiamina, per cui gli esploratori si ammalarono di avitaminosi.

 

Più di recente, gli olandesi e gli inglesi prigionieri dei giapponesi ricevevano solo riso come razione alimentare, per cui erano soggetti a deperimento per mancanza di alimenti proteici. Essi chiesero allora dei semi di soia da cuocere, ma probabilmente la cottura fu insufficiente per cui la digeribilità risultò scarsa e di conseguenza si verificarono comunque turbe metaboliche. Per fortuna, però, gli olandesi avevano visto che in Indonesia i locali mangiavano i semi di soia dopo fermentazione, per cui adottarono tale metodo e questo si rivelò capace di fornire un minimo di proteine alla razione, nonché preziose vitamine create dai fermenti.

 

Venendo più all'attualità, ora che l'abitudine a mangiare preparati di soia si è diffusa, non bisogna mai scordare che la soia è ricca di fitormoni a effetto estrogeno e questi possono causare qualche inconveniente ai popoli occidentali, mentre per gli asiatici la cosa si rivela meno problematica in quanto la storica abitudine a cibarsi di soia ha probabilmente selezionato genotipi più adatti per potersene cibare.

 

L'ergotismo: alcuni casi storici

Casi storici divenuti ormai famosi furono invece dovuti a funghi che contaminano i cereali. Alcuni di questi avvenimenti sono riportati dalla letteratura e nel Medioevo provocarono vere e proprie epidemie. Per esempio, il monaco Ademar de Chabanne (988-1034) in relazione ad avvenimenti capitati nel Limousin francese, parla di un'epidemia che fece morire 40mila persone. A Parigi nel 1029 un'epidemia di ergotismo causò 14mila morti. Le annate dell'XI secolo, nelle quali l'ergotismo fu particolarmente virulento, sono ben cinque: 1029 appunto, poi 1042, 1076, 1089 e 1094.

 

Un altro caso è la cosiddetta "cancrena dei solognoti" (abitanti della Sologne in Francia). In questo dipartimento francese, credo con il terreno meno fertile di tutta la Francia, nel 1600 era frequente trovare individui affetti da cancrena secca degli arti che ben presto a livello di articolazioni si amputavano naturalmente.

 

Con il tempo si scoprì che l'alimentazione, molto scarsa, era a base di farine di segale panificate, solo che con i climi instauratisi in Europa continentale durante la piccola era glaciale, la segale era contaminata da sclerozi di un fungo: Claviceps purpurea o segale cornuta o "ergot" alla francese, da cui il nome di ergotismo della malattia.

I corpi fruttiferi del fungo contengono alcaloidi ed è dagli sclerozi che si ricava l'acido lisergico, sostanza da cui si ottiene anche un'altra sostanza allucinogena: l'LSD. Il pittore Pieter Bruegel il Vecchio nel suo dipinto "I mendicanti" del 1568 riproduce proprio delle figure umane mutilate nel quale qualcuno ha intravisto persone colpite appunto dall'ergotismo.

 

Altri sintomi dovuti all'ergotismo avevano carattere convulsivo-allucinatori e in certi tempi storici chi ne era colpito veniva classificato come un "posseduto o indemoniato" e nel caso fossero donne erano definite "streghe". In molti roghi dei tempi passati sono state bruciate donne, additate come streghe, ma che erano semplicemente affette da ergotismo. Per esempio, in tale casistica rientra il caso delle "Streghe di Salem" ritenute possedute e quindi bruciate sul rogo nel 1692 in America del Nord. Sull'episodio ne sono stati tratti due film: "Le streghe di Salem" e "La seduzione del male".

 

Oltre agli Usa, la Russia: nel 1772 Pietro il Grande, partito per combattere i turchi, si vide l'esercito decimato da un'epidemia di ergotismo. Una delle ultime di queste epidemie è del 1926, sempre in Russia, quando dei contadini si nutrirono di farina di segale raccolta in autunno-inverno perché la mietitura estiva era stata impossibile.

 

Non solo ergotismo

Oggi sappiamo che certi microrganismi fungini parassiti dei cereali rilasciano tossine tossiche o a effetto tremorgenico. In tal senso si cita un caso del 1951 in Francia (a Pont-Saint-Esprit nel Gard) dove una notte ben 300 persone si precipitarono in strada in preda a episodi psicotici. Di questi, 50 finirono in manicomio e 4 sono deceduti. La causa è controversa: si parlò infatti sì di ergotismo, ma anche di avvelenamento da mercurio e da micotossine prodotte da Aspergillum fumigatus.

 

Nel 1960 in Inghilterra un migliaio di tacchini, pronti per il pranzo di Natale, alla macellazione mostrarono una epatite talmente evidente da consigliarne l'incinerazione. Qualche tempo dopo furono delle anatre a presentare lo stesso fenomeno. Le due cose obbligarono a studiare più da vicino il fenomeno e il colpevole lo si trovò in un panello di arachidi contaminato dal proliferare di una muffa gialla appartenente al Penicillum flavus.

 

Da una ulteriore caratterizzazione della sostanza si rilevò che si trattava di un mix di tanti tipi di Aflatossine B1 e B2 (B perché la fluorescenza era blu), G1 e G2 (fluorescenza green, verde). È stato questo il punto di partenza della micotossicologia moderna e della conseguenza la necessità di trattare con fungicidi i cereali in maturazione per scongiurare l'instaurarsi di patogeni produttori di micotossine che possono poi finire nelle farine.

 

Tossine anche nel regno animale

Gli animali sono più raramente dei ricettacoli fisiologici di veleni rispetto ai vegetali. Ciò avviene solo per specie che si collocano alla sommità della catena alimentare, per cui accumulano veleni e residui tossici presenti in tutta la catena.

 

È questo ad esempio il caso della "ciguatossina", prodotta da un'alga microscopica del gruppo dei dinoflagellati. Solo l'esperienza e la conoscenza profonda dei pesci permette di auto proteggersi. Anche certi crostacei presentano lo stesso fenomeno e le cause sono sempre ascrivibili a delle alghe microscopiche.

 

Nota di curiosità: quando per la ciguatossina non si conosceva ancora il metodo usato per verificare se il pesce fosse velenoso, si usava preliminarmente gettare ai gatti le interiora dei pesci sospetti, solo se questi non presentavano sintomi di avvelenamento il pesce era mangiato. Un uso che attualmente sarebbe causa di denuncia penale. 

 

Le tossine e i riti sacri

Così come i Romani invocavano la divinità Robigo, anche il cristianesimo invocò il Divino per liberare l'uomo dall'ergotismo. Una cronaca dell'anno 1000 d.C. ci descrive così l'affezione: "A molti le carni cadevano a brani, come li bruciasse un fuoco sacro che divorava loro le viscere; le membra, a poco a poco rose dal male, diventavano nere come carbone. Morivano rapidamente tra atroci sofferenze oppure continuavano, privi dei piedi e delle mani, un'esistenza peggiore della morte; molti altri si contorcevano in convulsioni".

 

Si attira l'attenzione sulla dizione "fuoco sacro" perché appunto nel Medioevo si ricorreva alla protezione di Sant'Antonio Abate per queste affezioni in quanto era considerato come un santo capace di trarre dalle fiamme infernali i condannati.

 

L'ergotismo, infatti, si chiamava anche "fuoco degli ardenti". Inoltre Sant'Antonio Abate (da non confondersi con Sant'Antonio da Padova) aveva fondato un ordine ospedaliero con nosocomi disseminati lungo i percorsi dei pellegrini che si recavano a Roma. Evidentemente, sul tragitto italiano si somministrava pane di frumento bianco e non contaminato, quindi si otteneva ben presto sollievo e conseguenti guarigioni agli ammalati di ergotismo.

 

È questa la ragione per cui oggi chiamiamo "fuoco di Sant'Antonio" l'attuale fisiopatia determinata non più dall'ergot, bensì dal virus dell'herpes, i cui sintomi iniziali sono appunto delle vesciche e ulcere precedute da un senso di calore della parte corporea colpita.

 

Attenzione alle contaminazioni

Nel maggio-giugno del 2011 in Germania si misurarono gli effetti dell'azione venefica altamente virulenta del ceppo O104:H4 di Escherichia coli (un batterio). Questo colpì quasi 4mila persone, alcune delle quali sono ora in dialisi perpetua mentre altre 53 sono morte.

 

Subito si pensò che fossero contaminati dei cetrioli provenienti dalla Spagna, ma poi si comprese che erano stati dei germogli di fieno greco che un germinatoio biologico di Amburgo aveva immesso sul mercato. Anche qui il tutto è capitato perché il metodo biologico non prevede che i semi, prima di essere immessi nel germinatoio, vengano lavati con una soluzione di ipoclorito di sodio (la comune varecchina) e poi sciacquati. Questa semplice precauzione avrebbe eliminato il batterio virulento. 

 

Sempre nel 2011, gli Stati Uniti furono flagellati da una grave epidemia di listeriosi (Listeria monocytogenes) diffusasi tramite alcune partite di meloni contaminati. Furono 28 gli Stati colpiti, con 146 persone ospedalizzate di cui 31 morirono. Per trovare un altro evento simile in America si deve andare a ritroso di un secolo, quando a Boston, nel 1911, oltre 2mila persone si infettarono con lo streptococco presente nel latte crudo. Di queste 48 persero la vita. Altro esempio di come la supposta maggiore naturalità di un cibo, in tal caso il latte crudo, sia talvolta solo una tragica illusione

 

Tema di cronaca recente: il 5 maggio scorso il giornale Le Parisien riferisce che in Bretagna 49 persone sono state avvelenate da farine di grano saraceno contaminate da piante di Datura stamonium, una solanacea che contiene un alcaloide tossico. La presenza di Datura nei campi è data dal fatto che non diserbando chimicamente si dovrebbero estirpare queste piante velenose una per una, cosa che però non sempre si fa.