Ha sollevato molte preoccupazioni la recente decisione dell'Autorità europea per le emergenze sanitarie, (Hera, Health Emergency Preparedness and Response Authority) di siglare un contratto per l'acquisto di 665mila dosi di vaccino contro l'influenza aviare.

Vaccini non destinati alla protezione degli animali, ma da utilizzare in campo umano.

Perché l'influenza aviare, quando sostenuta da ceppi ad alta patogenicità (HPAI), può trasferirsi ad altri animali, come cani, cavalli e anche all'uomo.

Un contagio che avviene però raramente e interessa solo quanti sono a stretto contatto con gli animali ammalati.

 

Il salto di specie

Il rischio di uno spillover, cioè la capacità di un virus di fare un salto di specie, nel caso dell'influenza aviare è una minaccia lontana, sebbene non impossibile.

I recenti episodi segnalati negli Usa di un passaggio del virus nei bovini e poi nell'uomo, dove si è presentato con sintomi lievissimi, ha aumentato il livello di allerta.

 

Un episodio sul quale si è soffermata anche AgroNotizie® qualche settimana fa. Ma va ricordato che non si è ancora verificato alcun caso di contagio da uomo a uomo.

Non va nemmeno dimenticato che il virus non è trasmissibile con il consumo delle carni avicole, che da questo punto di vista restano sicure.

 

La prudenza dell'Italia

Hera ha giustificato la scelta di acquistare i vaccini affermando che questi presidi sanitari sono destinati agli operatori del settore avicolo, dunque allevatori e veterinari in primo luogo.

Il grande numero di dosi ordinate e soprattutto l'opzione su altri 40 milioni di dosi lascia però spazio a ipotesi catastrofiche e a un inutile allarmismo.

 

In Italia le misure di profilassi hanno dato buoni risultati e l'ultimo focolaio risale al febbraio di questo anno in un allevamento di tacchini, come riferisce lo Zooprofilattico delle Venezie, Centro di referenza per questa patologia.

Ben più frequenti e recenti le segnalazioni della virosi in altri Paesi, in particolare del'Est europeo.

 

Non stupisce allora che nel novero dei Paesi che hanno sottoscritto l'accordo con l'unica industria farmaceutica coinvolta, la Seqirus UK Ltd, sia assente proprio l'Italia.

Più che sul vaccino ci si affida all'efficienza e alla competenza dei nostri servizi veterinari, ampiamente dimostrata nel fronteggiare anche gli episodi più gravi di influenza aviare.

 

Ipotesi catastrofiche

Ma questa "operazione" vaccinale, e soprattutto la sua entità, non poteva passare inosservata. Molte le preoccupazioni che ha sollevato e non è mancato chi, ancora una volta, ha puntato il dito contro gli allevamenti intensivi, "colpevoli" di favorire un possibile spillover.

 

Preoccupazioni delle quali si sono fatte interpreti associazioni che hanno a cuore il benessere degli animali e che suggeriscono di abolire gli allevamenti intensivi per sconfiggere l'influenza aviare.

 

Intensivo è meglio

Negli allevamenti intensivi, che meglio sarebbe definire protetti, si possono al contrario adottare tutte quelle misure atte a prevenire l'ingresso del virus, in primo luogo evitando il contatto con gli uccelli selvatici, principali serbatoi del virus.

Protezione difficile se non impossibile da attuare in un allevamento all'aperto.

 

Si punta il dito anche sulla densità degli animali negli allevamenti protetti.

Densità che è già stata ridotta per seguire le nuove regole sul benessere animale.

Si potrà migliorare ancora, ma senza dimenticare le conseguenze sul piano economico, che porterebbero ad aumentare il prezzo delle carni avicole.

 

Un modello vincente

Oggi le carni avicole sono le più consumate al mondo. Per la loro qualità, ma soprattutto per la loro convenienza.

In un comune discount il prezzo di un pronto a cuocere di pollo si trova a meno di 4 euro al chilo, una costata di bovino sfiora i 16 euro.

In altre parole il modello produttivo avicolo ha messo a disposizione di larghe fasce della popolazione, anche le meno abbienti, un cibo dalle indiscusse qualità nutrizionali.

 

Ripensare questa "formula" di allevamento è possibile. Purché si tenga conto delle ripercussioni economiche e del loro impatto sulla società.

E se proprio dobbiamo proteggerci dall'influenza aviare, forse più che un vaccino per l'uomo sarebbe utile un vaccino per gli animali. Già esiste e in qualche caso lo si è usato.