Ancora un record di presenze per la Fiera internazionale del bovino da latte che si è svolta a Cremona dal 24 al 27 ottobre in contemporanea con Italpig ed Expocasearia. A destare stupore non è però il crescente numero di visitatori. Semmai la consapevolezza che gli allevatori che hanno affollato il quartiere fieristico hanno tutti, chi più chi meno, i conti in rosso. Perché produrre latte non dà margini, ma solo perdite, come vedremo. E nonostante questo gli stand più frequentati erano quelli che proponevano tecnologie innovative. Nessuna di queste a basso prezzo, anzi. La contraddizione fra bilanci aziendali negativi e investimenti in nuove tecnologie è però solo apparente. Gli allevamenti da latte tentano semmai di prepararsi alla “rivoluzione” del 2015, quando si dirà addio alle quote latte e il prezzo dei prodotti lattieri fluttuerà liberamente sulla scia delle quotazioni mondiali. E' soprattutto di questo che a Cremona si è discusso in molti dei 79 incontri, convegni, meeting e tavole rotonde che hanno animato il dibattito che si è svolto in fiera.
Nessun “terremoto”
Tutti gli studi sullo scenario che si aprirà nel dopo quote confermano che la produzione di latte nei 28 Paesi della Ue tenderà a salire, ma in misura modesta, fermandosi a 146,9 milioni di tonnellate, circa otto milioni di tonnellate sotto il livello dei 155 milioni che già il regime delle quote latte aveva fissato per le produzioni comunitarie. Lo confermano le analisi presentate dalla Commissione europea e che già Agronotizie aveva anticipato. Un'ulteriore conferma arriva dall'indagine di Ismea commissionata da CremonaFiere e presentata in occasione della decima edizione degli Stati Generali del latte. Dunque non ci sarà la temuta spinta produttiva che lo stop delle quote lasciava paventare. Per di più la domanda di latte (e di formaggi) continuerà ad aumentare a livello mondiale e sarà da traino all'incremento dei prezzi. Non per questo, però, si può stare tranquilli. Le stalle italiane si dovranno misurare a livello globale e in presenza di prezzi esteri vantaggiosi i nostri allevamenti potrebbero ritrovarsi penalizzati. Una situazione che potrebbe aggravarsi per la cronica debolezza contrattuale che gli allevatori soffrono con la controparte industriale e distributiva. “Uno scenario a cui il legislatore comunitario ha cercato di porre rimedio con le misure contenute nel cosiddetto Pacchetto Latte – ha precisato il presidente di Ismea, Arturo Semerari, nel presentare la sintesi della ricerca - ma che gli intervistati affermano spesso di non conoscere (ben 2 operatori su 5) o considerano inadeguate ai fini della tutela degli allevatori.”
Conti in rosso
Certo, l'aggregazione degli allevatori, l'organizzazione delle filiere per una maggiore forza contrattuale dei produttori, restano elementi importanti, per quanto poco conosciuti, come evidenziato dall'analisi Ismea. Ma il nodo più difficile da sciogliere è quello della redditività degli allevamenti. Un problema che peraltro non riguarda solo gli allevamenti italiani. Lo dimostrano le analisi presentate a Cremona su allevamenti francesi aderenti all'Edf (European dairy farmers). Conti alla mano, un allevamento di 100 vacche in lattazione nella fertile Normandia (dove il costo dei terreni è contenuto, circa 12mila euro per ettaro) per ogni quintale di latte prodotto perde 2,26 euro. Se l'analisi si sposta su un allevamento cremonese (dove il valore del terreno sale vertiginosamente (circa 75mila euro ad ettaro), lo stesso latte fa perdere all'allevatore 12,22 euro per ogni quintale che esce dalla stalla. Non meraviglia allora se negli ultimi venti anni le aziende zootecniche sono passate da circa 200mila ad appena 50mila (in Lombardia da 13mila a circa 5mila). Certo quelle rimaste hanno potuto ingrandirsi, migliorare la propria efficienza, realizzare economie di scala. Ma i numeri anche di queste ultime restano “in rosso”
Innovare per sopravvivere
Torniamo così alla contraddizione vista all'inizio fra stalle in rosso e allevatori che affollano la fiera di Cremona, pronti a investire capitali in tecnologie innovative. Forse una risposta la troviamo nella scarsa attitudine delle imprese agricole nel tracciare un bilancio corretto delle proprie attività. Così ammortamento dei capitali, valore dei terreni, e persino il proprio lavoro finiscono per non entrare nel conto finale. A edulcorare bilanci fallimentari ci pensano poi i premi Pac. Lasciando così credere che i margini ci siano. Ma non è così. Chi i conti li fa correttamente si trova di fronte ad un bivio. O chiude la stalla e si dedica ad altro, magari puntando alla produzione di biogas, che tanti sostegni ha ricevuto. Oppure agisce sull'unica leva di cui dispone, comprimere sempre più i costi di produzione. Ed ecco spiegata la crescente attenzione ad ogni innovazione da introdurre in stalla. Sperando che poi il mercato del latte consenta di ripagare l'investimento fatto.
Un mercato “difficile”
Ma attenzione, anche in futuro il prezzo del latte sarà estremamente volatile. A Cremona lo si è ripetuto ad ogni incontro, ad ogni convegno, ad ogni tavola rotonda e infine anche agli Stati Generali del latte. E gli allevatori, costretti loro malgrado a trasformarsi in economisti per fare i loro bilanci, poi in commercialisti per non affogare nella burocrazia e prima ancora in biologi per “capire” ogni esigenza delle loro vacche, dovranno in futuro allenarsi nel trading, quasi fossero operatori di borsa. E dovranno sapere tutto, ma proprio tutto, di cosa avviene dall'altra parte del Mondo, se il clima ha favorito un incremento delle produzioni di latte in Nuova Zelanda, o se una patologia inaspettata ha messo in crisi le produzioni di latte di una qualche nazione del Sud America o in qualcuno degli States d'Oltreoceano. Per non parlare degli andamenti dei raccolti, anch'essi capaci di influenzare verso l'alto o verso il basso le produzioni di una qualche area. E poi, non meno importante, l'evoluzione dei consumi, per il momento prevista in crescita. Ma domani?
Aggregazione, indispensabile
Insomma quello dell'allevatore sarà un mestiere sempre più difficile. Nuovi ostacoli, come sottolineato a più riprese anche a Cremona, che potranno essere superati con un maggiore ricorso all'aggregazione dei produttori. Da Bruxelles, specie con il “Pacchetto latte”, si spinge opportunamente per la nascita delle OP e delle organizzazioni interprofessionali. L'Italia e il mondo degli allevamenti sino ad oggi non ha mostrato grande apertura in questa direzione. E' il momento di cambiare rotta.