L'olivicoltura professionale fa inevitabilmente ricorso ai fertilizzanti, utili per sostenere la produttività degli alberi di olivo. Per nutrire le piante solitamente vengono effettuate delle concimazioni autunnali, volte a ripristinare le energie che la pianta ha perduto durante la fase di produzione. E poi si effettuano diversi interventi, anche fogliari, durante la primavera, dalla fioritura in avanti, per mettere l'olivo nelle condizioni di produrre al meglio.

 

A seconda degli areali in cui insiste l'impianto, variano i prodotti fertilizzanti utilizzati, spesso di origine minerale. Ma si sta diffondendo anche la pratica di trinciare i residui di potatura, incorporandoli nel terreno, oppure di seminare essenze azotofissatrici, come il favino, per poi effettuare il sovescio.

 

Ma un ruolo fondamentale nella nutrizione dell'oliveto lo possono giocare anche il digestato e il letame, a cui abbiamo dedicato questo articolo.

 

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Il digestato, un ottimo concime e ammendante (quando disponibile)

Il digestato è il sottoprodotto della digestione anaerobica svolta dai batteri all'interno degli impianti di produzione di biogas. Si tratta di biodigestori, appunto, all'interno dei quali possono essere conferiti residui vegetali, sottoprodotti dell'industria agroalimentare, liquami e letami, che vengono "digeriti" da specifici batteri che producono metano, bruciato poi in cogeneratori per produrre energia elettrica.

 

Una volta che tali batteri hanno finito di fermentare il materiale in ingresso, quello che rimane è il digestato. "Separando la parte solida da quella liquida si possono ottenere due frazioni molto diverse tra di loro, ma in entrambi i casi con ottime caratteristiche fertilizzanti", racconta Giancarlo Roccuzzo, ricercatore del Crea Centro di Ricerca Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura di Acireale (Ct), che da anni studia l'impiego di digestato e letame in frutticoltura.

 

"La frazione liquida contiene un'elevata percentuale di azoto ammoniacale, prontamente disponibile per le piante, e può essere impiegata tal quale in fertirrigazione, avendo cura di filtrarla attentamente. La frazione solida, invece, concentra in sé la componente organica e ha dunque ottime proprietà ammendanti, inoltre contiene un'elevata percentuale di azoto organico, che per essere assimilato dalle piante ha bisogno di maggiore tempo".

 

Sia la frazione liquida che quella solida del digestato possono dunque essere impiegate in olivicoltura. Il punto critico è la disponibilità della materia prima ad una distanza ragionevole dagli oliveti. Se infatti in Pianura padana i digestori sono molti e il digestato viene talvolta ceduto gratuitamente per garantire l'operatività degli impianti, nelle regioni a vocazione olivicola, come quelle del Sud, tali strutture sono davvero poche.

 

"La frazione solida ha una elevata percentuale di acqua e dunque ha senso ritirare questo materiale se si ha un impianto nelle vicinanze, in un raggio di circa 20-30 chilometri. Distanze superiori rendono economicamente non sostenibile il suo utilizzo", sottolinea Roccuzzo.

 

Ma quando usare il digestato e in quale misura? La frazione liquida può essere impiegata in fertirrigazione e apporta azoto (e in parte anche fosforo) prontamente assimilabile per le piante ed è dunque indicata in primavera, quando si vuole sostenere la produttività dell'oliveto. Ma può essere usata anche in altri periodi.

 

La frazione solida invece può essere distribuita in autunno, oppure all'inizio della primavera, soprattutto nei climi caldi, avendo cura di interrarla per evitare la dispersione in ambiente della frazione azotata volatile.

 

Per quanto riguarda le dosi non esiste una ricetta univoca, in quanto i nutrienti contenuti nel digestato variano a seconda della matrice di partenza (effluente suino o bovino, insilato di mais, mix di matrici, eccetera) e del periodo di maturazione del digestato stesso. Ogni olivicoltore dovrebbe far analizzare il composto o almeno chiedere all'impianto di biogas tali analisi, in modo da poter valutare la quantità da applicare al suolo all'interno di una strategia nutritiva complessiva. Strategia che, è bene dirlo, non dovrebbe prescindere da una analisi dei terreni (almeno una volta ogni tre-quattro anni) per capire la situazione di partenza.

 

Ma perché un olivicoltore dovrebbe usare del digestato?

Ecco i principali vantaggi:

  • Si tratta di un concime di buona qualità e a basso costo, quando questo può essere reperito nelle immediate vicinanze dell'azienda agricola.
  • Apporta sostanza organica al campo, migliorando le caratteristiche fisiche e biologiche del suolo (vitalità microbiologica, capacità di trattenere l'acqua, lavorabilità, eccetera).
  • La digestione anaerobica stabilizza e igienizza la matrice di partenza, rendendola sicura per l'applicazione.
  • L'interramento del digestato consente di aumentare lo stock di carbonio nel suolo, contribuendo a ridurre la presenza di anidride carbonica in atmosfera.

 

Sul fronte opposto, i possibili rischi sono principalmente due. Il primo riguarda la possibilità che si verifichino delle perdite di nitrati nella falda acquifera nel caso in cui venga distribuito in maniera scorretta (a dosi troppo elevate o se lo si lascia troppo a lungo sul terreno nudo prima dell'interramento). Bisogna quindi sempre seguire le buone pratiche e le norme ambientali (Direttiva Nitrati, Testo Unico Ambientale). In secondo luogo, se il digestato non viene interrato si possono avere delle emissioni di ammoniaca in atmosfera.

 

Il letame, ottimo alleato dell'olivicoltore

Maggiormente disponibile nelle regioni del Sud Italia è il letame, sia bovino, suino, caprino o avicolo (pollina). Il letame altro non è che l'insieme delle deiezioni animali abbinate ad una matrice vegetale, come la paglia, i trucioli o gli stocchi di mais che compongono la lettiera delle stalle.

 

Nel letame la quantità di elementi nutritivi e la loro forma varia a seconda della specie che ha prodotto le deiezioni e del grado di maturazione a cui è sottoposto. A titolo di esempio, possiamo dire che il letame bovino è meno ricco di azoto rispetto a quello ovino, mentre la pollina è ricca di azoto ammoniacale, quindi velocemente assimilabile dalle piante, rispetto ad un letame suino.

 

"Prima di spandere il letame in campo sarebbe buona norma lasciarlo maturare a lungo, lasciando cioè il tempo ai microrganismi di avviare la fermentazione aerobica del composto", sottolinea Giancarlo Roccuzzo. "La maturazione permette di sanificare il letame, eliminando batteri, funghi e virus indesiderati. Inoltre permette di devitalizzare i semi delle infestanti e di stabilizzare la frazione azotata, rendendola meno soggetta a volatilizzazione".

 

Il letame fresco (tre-quattro mesi di maturazione) contiene molta acqua e azoto minerale prontamente assimilabile, mentre il letame maturo (almeno nove mesi) è meno umido e più stabile. Letami che superano i dodici mesi iniziano a trasformarsi in humus, che è la forma più nobile di fertilizzante che si possa applicare al campo, ma sono rare le volte che le aziende agricole possono aspettare tanto prima di utilizzarlo.

 

Ma perché un olivicoltore dovrebbe utilizzare del letame?

Perché:

  • Agisce come ammendante, migliorando le caratteristiche fisiche del terreno (maggiore lavorabilità e capacità di ritenzione idrica).
  • Aumenta la varietà e la vitalità dei microrganismi, che giocano un ruolo fondamentale in tanti processi biologici della pianta, rendendo ad esempio biodisponibili elementi immobilizzati nel terreno (come il ferro o il fosforo).
  • Apporta nutrienti disponibili per le piante in diverse fasi. L'azoto è infatti presente in differenti forme, da quelle più mineralizzate a quelle più organiche, che possono coprire il fabbisogno della pianta per un lasso di tempo elevato.
  • Il letame apporta anche una serie di micro e mesoelementi utili, quali calcio, zinco, ferro, magnesio, boro, eccetera.


Ma quanto letame dare e quando? Nei climi freschi il periodo ideale per interrare il letame maturo è l'autunno, in quanto ai microrganismi del terreno servono alcuni mesi per rendere disponibili i nutrienti. Nei climi più caldi si può dare direttamente in primavera, nel momento di massimo sviluppo dell'olivo. Dato che il rilascio dell'azoto è graduale e dura anni, non c'è bisogno di applicare il letame ad ogni stagione, ma anche ogni tre-quattro.

 

Per la dose si rimanda a quanto detto per il digestato. E cioè, l'agricoltore deve conoscere la composizione del terreno e le caratteristiche del letame (rapporto azoto/sostanza organica) e valutare quindi l'apporto in relazione alla strategia di concimazione nel suo complesso. In generale, in frutticoltura, si possono dare 25-35 tonnellate di letame maturo per ettaro, avendo cura di incorporarlo nei primi 15 centimetri di suolo.