Conoscere per decidere. Questo potrebbe in sintesi essere la sintesi del webinar tenutosi il 23 giugno presso la sede di Bayer, a Milano, dal titolo "Glifosate: la necessità di una valutazione obiettiva per l'agricoltura italiana". L'evento, gestito nel rispetto delle regole Covid-19, è stato organizzato al fine di condividere lo stato dell'arte sull'erbicida, sia dal punto di vista tecnico-agronomico, sia tossicologico-ambientale. Il processo di ri-autorizzazione europea è infatti ormai alle porte, con i primi pareri degli esperti francesi, olandesi, svedesi e ungheresi che hanno già spezzato una lancia importante a favore dell'erbicida sotto molteplici punti di vista.
Non a caso, appena il parere preliminare è stato pubblicato, sono subito arrivate puntate di repertorio di Report, anche su glifosate, come pure sono apparsi i soliti articoli sensazionalisti nelle usuali pagine antichimica, diffondendo ricerche che alla luce delle analisi fattuali ben poco hanno invece da dire di concreto.
 
Al di là però dei pareri degli esperti dei quattro paesi, cui seguiranno i pareri scientifici finali di Efsa e di Echa, è bene che anche la comunicazione faccia la sua parte nel trasferire al pubblico la corretta percezione che si dovrebbe avere di glifosate. E ciò vale soprattutto per il settore agricolo in primis, ove non sono pochi coloro che per motivi ideologici e, perché no, anche di interessi contrapposti, remano contro glifosate diffondendo compulsivamente sui social ogni possibile notizia, spesso fake, vocata palesemente all'allarmismo. Ed è davvero motivo d'amarezza constatare come sia il settore stesso a covare in sé diversi nuclei di personaggi che spargono irrazionale disinformazione talvolta maramalda già nelle intenzioni.

In più, è bene che anche un pubblico più generalista possa trovare contenuti solidi e attendibili sull'argomento, anche per controbilanciare la ricca messe di fake news e di allarmismo che sull'erbicida è montata nel tempo.
 

Tre presenze d'eccezione

Il convegno, articolato in guisa di talk show, in parte dal vivo, in parte in collegamento da remoto, è stato moderato da Donatello Sandroni, giornalista e divulgatore scientifico nel campo dell'agricoltura in generale e dell'agrochimica in particolare, vedendo la partecipazione di tre diversi esperti. In ordine di intervento, a condividere le proprie esperienze nel campo tecnico è intervenuto Aldo Ferrero, ordinario di agronomia presso il Dipartimento di Scienze agrarie, forestali e alimentari dell'Università di Torino. Quindi profondo conoscitore degli aspetti più squisitamente tecnici dei diserbi in agricoltura, anche in ottica ambientale.

A seguire, Angelo Moretto, tossicologo, ordinario di Medicina del lavoro presso il Dipartimento di Scienze cardio-toraco-vascolari e della sanità pubblica dell'Università degli Studi di Padova. A lungo Direttore dell'Icps, acronimo di Centro internazionale per gli antiparassitari e la prevenzione sanitaria, Moretto è stato più volte coinvolto in passato nelle valutazioni di diverse sostanze attive, partecipando attivamente anche a molteplici gruppi di lavoro del Jmpr (Joint meeting on pesticide residues), composti da esperti sia dell'Oms, sia della Fao.

Infine, ma non per importanza, Alberto Vicàri, professore ordinario presso il Dipartimento di Scienze e tecnologie agroalimentari dell'Università di Bologna, il quale si è occupato fra le molte cose anche di alcune ricerche incentrate sul comportamento di glifosate nell'ambiente, con focus particolare sulle acque.
 

Strategico, semplice e a basso rischio

Al termine dei tre interventi - e a conferma dei molteplici pareri già espressi in passato dalle Autorità internazionali di regolamentazione - il quadro complessivo che emerge su glifosate è decisamente positivo, vuoi per il peso considerevole che l'erbicida mostra nella redditività e nella facilità di gestione delle pratiche agricole nazionali, vuoi per i profili tossicologici e ambientali ben lungi dall'essere quelli dipinti dai detrattori della molecola. Stanti infatti le sue caratteristiche, se glifosate venisse presentato oggi come nuova sostanza attiva verrebbe accolto dai normatori con estremo favore, presentando rischi decisamente bassi, sia per l'uomo, sia per l'ambiente, a fronte di indiscutibili vantaggi tecnici ed economici.

 
In olivicoltura l'uso di glifosate è utile soprattutto nella pulizia delle piazzole di raccolta e, in area Xylella, per eliminare la flora spontanea ospite intermedia della sputacchina
In olivicoltura l'uso di glifosate è utile soprattutto nella pulizia delle piazzole di raccolta e, in area Xylella, per eliminare la flora spontanea ospite intermedia della sputacchina
(Fonte: Donatello Sandroni)

Come detto, tali aspetti agronomici sono stati trattati da Aldo Ferrero, il quale ha evidenziato l'estrema utilità di glifosate sia in campo di colture alte, come la vite, le colture frutticole e l'olivo, sia come strumento essenziale per le virtuose pratiche di minima lavorazione, a tutto vantaggio della sostenibilità ambientale della cerealicoltura italiana. Basti pensare che oltre al taglio considerevole dei consumi di gasolio, generato dall'eliminazione delle lavorazioni del terreno, quindi delle emissioni di gas serra, la semina su sodo contrasta anche i fenomeni di erosione del terreno. Un grave fenomeno che si esalta soprattutto nelle aree collinari dell'Italia cerealicola centro-meridionale. Il tutto, rendendo più remunerativa l'attività dei cerealicoltori che seguano tali pratiche.
 

In viticoltura glifosate può essere impiegato in alternanza alle lavorazioni meccaniche, semplificando enormemente la gestione dei sottofila
In viticoltura glifosate può essere impiegato in alternanza alle lavorazioni meccaniche, semplificando enormemente la gestione dei sottofila
(Fonte: Donatello Sandroni)

Anche dal punto di vista economico, infatti, glifosate rappresenta oggi una soluzione a forte sostegno di un'agricoltura italiana, perennemente in crisi competitiva verso le produzioni estere. Ciò grazie all'estrema semplificazione delle pratiche agronomiche di moltissime colture permesse dall'uso dell'erbicida. Basti pensare che si può stimare un uso di glifosate su circa 1,2 milioni di ettari solo in Italia. In caso di suo abbandono, gli aggravi dei costi per gli agricoltori sono stimati fra i 135 e i 265 euro all'ettaro, per un valore complessivo di alcune centinaia di milioni di euro l'anno. E se viene a mancare la sostenibilità economica, significa che presto potrebbe calare anche la sostenibilità sociale.

Sempre secondo Ferrero, molte delle soluzioni alternative proposte, per quanto alcune si presentino realizzabili a diversi gradi di difficoltà, non sembrano infatti in grado di sostituire i vantaggi derivanti dall'uso dell'erbicida. Considerazione valida anche per gli usi extra-agricoli, soprattutto per i diserbi ferroviari e stradali, i quali a oggi rappresentano circa il 10% del totale impiego di glifosate. Basti pensare che le ferrovie italiane hanno uno sviluppo di circa 17mila chilometri e la loro pulizia è necessaria anche per la stabilità stessa di binari, traversine e massicciate. In tal senso, le alternative oggi proposte possono moltiplicare i costi di gestione fino a otto volte. Motivo per il quale, per esempio, in Francia si è passati dai toni abolizionisti iniziali a quelli più prudenti espressi recentemente, anche grazie alle forti pressioni del mondo agricolo, particolarmente unito Oltralpe al contrario di quanto avviene in Italia.

 
In caso di mancato diserbo, anche le ferrovie possono cadere vittime delle infestazioni di erbe infestanti
In caso di mancato diserbo, anche le ferrovie possono cadere vittime delle infestazioni di erbe infestanti
(Fonte: Donatello Sandroni)

Di certo, dal bando di glifosate nei centri urbani frequentati dalle persone molto è peggiorato nel decoro cittadino, con erbacce che hanno ormai invaso marciapiedi e piazze, anche con specie allergeniche. Motivo per il quale si sono moltiplicate nel tempo le proteste dei cittadini stessi. A partire da Roma, città sommersa da molteplici criticità gestionali del problema infestanti.

Altrettanto certamente, anche per glifosate, come per qualsiasi altro agrofarmaco, vanno evitati gli abusi. In primis per questioni legate alle resistenze, oggi in Italia a vantaggio soprattutto di Lolium e Conyza. Ma anche gli usi che creino condizioni favorevoli a diffusioni ambientali indesiderabili.
 

La pratica della semina su sodo è di enorme valenza ambientale: senza glifosate potrebbe divenire insostenibile in ampie aree del Paese, con grave danno soprattutto nelle aree collinari
La pratica della semina su sodo è di enorme valenza ambientale: senza glifosate potrebbe divenire insostenibile in ampie aree del Paese, con grave danno soprattutto nelle aree collinari
(Fonte: Donatello Sandroni)
 

Luce verde anche dalla tossicologia

Per quanto riguarda invece gli aspetti tossicologici, Angelo Moretto ha spiegato come per glifosate non vi siano criticità degne di nota. Molto meno tossico di gran parte delle sostanze di comune assunzione alimentare, per esempio la caffeina, glifosate si è confermato non genotossico, non mutageno, non tossico per i processi riproduttivi e nei confronti degli organi interni. Inoltre, non dà origine a fenomeni di accumulo negli organismi, dal momento che la sua spiccata idrofilia lo fa eliminare completamente dal corpo umano via feci e via urine. Del resto, è un aminoacido, la glicina, aggiunto di un gruppo fosforico. Quindi, una delle molecole più semplici che si potesse concepire.

Anche le dosi assunte con l'alimentazione, cioè l'esposizione umana preponderante, non sarebbero tali da destare alcuna preoccupazione, dal momento che sarebbero su livelli migliaia o milioni di volte inferiori a quelle che potrebbero rappresentare una prima soglia di attenzione. L'Oms ha infatti stimato che le dosi assunte dall'Uomo non arrivino nemmeno all'1% della soglia considerata sicura, cioè l'Acceptable daily intake (Adi). Ciò elimina per esempio anche i dubbi sorti negli ultimi anni sui paventati effetti sul microbioma intestinale, poiché gli studi dimostrano che per ottenere tali interazioni servirebbero assunzioni di glifosate enormemente superiori a quelle reali.
 
Moretto ha anche ricordato l'insensatezza di alcuni test, in vitro o in vivo, ove le dosi somministrate sono talmente alte da svuotare di qualsivoglia significato il risultato finale degli studi stessi. Argomento, questo, che purtroppo ai divulgatori scientifici tocca trattare ripetutamente, vista la ricca messe di pubblicazioni prive di senso scientifico alcuno, ma capaci di trasferire al pubblico una percezione altamente distorta di glifosate.

Dal punto di vista tossicologico glifosate incontra pienamente i più moderno requisiti richiesti agli agrofarmaci
Nella foto: Angelo Moretto. Dal punto di vista tossicologico glifosate incontra pienamente i più moderni requisiti richiesti agli agrofarmaci, inclusi quelli legati all'ipotizzata cancerogenicità

Delicato poi il tema della cancerogenesi, di certo il più "caldo" quando si parli di glifosate, sebbene nel tempo gli attacchi alla molecola si siano progressivamente spostati su altri fronti. Ciò perché le evidenze di probabile cancerogenicità dell'erbicida, nate dalla monografia Iarc del 2015, starebbero perdendo mordente, grazie anche al lavoro di diciassette agenzie e autorità internazionali di regolamentazione che da anni contraddirebbero la Iarc, unitamente dall'Oms stessa, la quale tramite i succitati lavori del Jmpr ha tratto più volte conclusioni opposte a quelle dell'agenzia di Lione.

Moretto ha poi sottolineato le incongruenze derivanti dal classificare gli agenti supposti cancerogeni in classi ben definite, come appunto fa Iarc. Tramite tale sistema a gruppi, l'erbicida si trova infatti al fianco delle carni rosse e perfino del mate, bevanda che supera anche i 65°C provocando azioni nocive sulle mucose buccali, esofagee e gastriche. Analogamente, l'amianto è al fianco delle carni lavorate, ma mentre il primo è stato abolito di netto, a seguito dell'impossibilità di individuare dosi ritenute sicure, sulle seconde l'Oms ha emanato delle specifiche raccomandazioni circa le quantità massime consigliate. Quindi, persino degli agenti presenti in Gruppo 1 vengono correttamente percepiti secondo l'intramontabile logica per la quale è sempre e solo la dose a fare il veleno.

Pertanto, sono del tutto inutili tali classi per elaborare una razionale valutazione del rischio, passo essenziale questo per concedere o negare l'autorizzazione a una molecola. E non a caso, valutando l'esposizione e quindi il rischio, non v'è mai stato un giudizio delle Autorità scientifiche internazionali che abbia gettato ombre sulla sicurezza di glifosate.

Sfatato da Moretto anche il falso mito dei "dati prodotti dall'industria", cavallo di battaglia di chi cerchi di avanzare dubbi sull'attendibilità dei dossier prodotti da contractors specializzati, i cui costi sono coperti appunto dalle industrie. Di fatto, gli audit e i controlli cui soggiacciono queste strutture sono maniacali, rendendo impossibile una falsificazione dei dati. Inoltre, aspetto fondamentale, nei processi di valutazione i dati sono disponibili in toto per gli esperti, anche quelli grezzi. In sostanza, è possibile per i valutatori andare a vedere cosa sia successo a ogni singola cavia impiegata negli esperimenti. Cosa impossibile invece con le pubblicazioni su riviste scientifiche, essendo solo delle sintesi.

Cade di conseguenza anche il mito del "copia incolla" di Efsa dai dossier di Monsanto: una volta che la valutazione è stata prodotta, i singoli passaggi dei dossier possono essere infatti copiati e incollati per semplicità nei documenti finali, ma questo non implica, come adombrato in passato, che Efsa scriva "sotto dettatura" delle multinazionali. Banalmente, significa che concorda con quanto riportato nei dossier, reputandoli corretti. Quindi ne riporta integralmente i passaggi dopo, e solo dopo, averli approvati.

Chiarito anche un altro punto delicato: quello delle sentenze in tribunale avverse a glifosate. Purtroppo, nei processi americani i pareri presi in considerazione sono stati esclusivamente quelli della Iarc, ignorando tutti quelli proposti dalle altre agenzie, Epa in primis. L'Agenzia americana ha infatti ribadito con molteplici report la non cancerogenicità dell'erbicida, rimanendo purtroppo inascoltata. Del resto, negli States l'uso di glifosate è salito di quindici volte dalla metà degli anni '90, senza che le incidenze dei linfomi non Hodgkin si spostassero di una virgola. Anzi, ultimamente sembrerebbero anche in leggera flessione, mostrandosi peraltro più incisivi in Stati a bassissima presenza agricola, come New Jersey e New Hampshire.
 

Nonostante l'uso di glifosate sia aumentato di 15 volte dalla metà degli anni '90, l'incidenza dei linfomi non Hodgkin appare del tutto scollegata dall'erbicida
Nonostante l'uso di glifosate sia aumentato di 15 volte dalla metà degli anni '90, l'incidenza dei linfomi non Hodgkin appare del tutto scollegata dall'erbicida
(Fonte: Donatello Sandroni)

A ciò si aggiunga l lavoro svolto da alcuni ricercatori del National cancer institute americano (Andreotti et. Al, 2017), che smentirebbe anche l'ipotesi di una maggiore incidenza di tali linfomi negli operatori professionali. Lavoro che sebbene fosse pronto già prima della valutazione della Iarc è rimasto "inspiegabilmente" nei cassetti di Aaron Blair, chairman appunto di quel gruppo di lavoro a Lione. In sostanza, il lavoro epidemiologico più vasto esistente sull'erbicida non è stato utilizzato da Iarc, dando spazio ad altri di valenza statistica infinitamente inferiore. A dimostrazione che certi "processi" possono risultare profondamente falsati se sono i "giudici" stessi a impedire l'ammissione delle prove quando queste vadano in direzione opposta a quella desiderata.

Inoltre, molto di quanto addossato a glifosate nei tribunali americani dipende dal banale fatto che in etichetta non sia riportata una frase che ne ricordi la potenziale cancerogenicità. Ma a decidere per tale frase sono le autorità, non le società. E non ritenendo le autorità glifosate cancerogeno, non hanno mai obbligato Monsanto a inserire tale dicitura nelle etichette dei propri prodotti. Solo in California è stato espressamente stabilito che se una sostanza attiva viene catalogata in Gruppo 1 o 2A da Iarc, debba avere in etichetta tale dicitura. Il tutto, in palese contrasto con ogni processo logico e normativo alla base degli iter, questi sì robusti, di valutazione scientifica di prodotto nell'intero paese. Iter spettante in America alla succitata Epa. In estrema sintesi, la scienza non la si dovrebbe discutere nei tribunali. Perché quando ciò accade, la scienza perde. Basti pensare a certe sentenze italiane a favore della correlazione vaccini-autismo, più altre assurdità similari.
 

Ambiente: presenza non implica rischio

Infine Alberto Vicàri e gli aspetti ambientali di glifosate. Dalle esperienze maturate nel tempo, glifosate è rapidamente adsorbito nel terreno dai colloidi, venendo degradato in un lasso temporale decisamente breve, variabile dai giorni alle settimane in funzione delle condizioni esterne e del terreno stesso. Una sua asportazione dai campi verso le acque superficiali può quindi avvenire solo quando, nelle 24-48 ore dopo il trattamento, glifosate sia ancora presente nella soluzione circolante del suolo. Un'asportazione che avviene sostanzialmente per runoff superficiale insieme al trasporto solido di terra.

Basse, peraltro, le concentrazioni nelle acque superficiali, tanto da escludere danni agli organismi acquatici, vuoi per la scarsa concentrazione presente, vuoi per la transitorietà di tale presenza. Nelle acque profonde, di falda, il problema non si pone, data la scarsissima predisposizione di glifosate a migrare lungo il profilo, nonché ai limiti che tale molecola si è vista assegnare da alcuni Paesi anglosassoni che fissano le soglie di sicurezza in base a specifiche valutazioni tossicologiche, anziché rifarsi all'ormai attempato limite di 0,1 µg/L. Questo sarebbe infatti nato nel 1980 da una Direttiva europea che stabilì tale valore uguale per tutti gli agrofarmaci, indipendentemente dai loro profili tossicologici. Non a caso, in altri Paesi glifosate trova soglie di alcune migliaia di volte superiori al fatidico 0,1 µg/L. Meglio sarebbe quindi ricordare tale evidenza al prossimo allarmismo diffuso sulla salubrità delle acque potabili.

Il vero punto chiave, però, sarebbero gli inquinamenti di tipo puntiforme, ovvero quelli in corrispondenza del carico, scarico e lavaggio delle botti da diserbo. Troppe volte l'acqua di lavaggio finisce infatti nel terreno, quando non addirittura direttamente nei fossetti, generando input diretti alle acque. Questo apporto puntiforme, ben più significativo della deriva durante i trattamenti e del runoff, diverrebbe trascurabile adottando le già esistenti installazioni per il trattamento dei reflui fitosanitari. Purtroppo, tali installazioni comportano costi e complicazioni gestionali che dissuadono gli agricoltori dall'adottarle. Bene sarebbe quindi che i normatori iniziassero a concentrarsi su questi temi di assoluta rilevanza, stabilendo appositi contributi finalizzati alla loro adozione da parte delle aziende agricole. Se le tecnologie ci sono, infatti, non si capiscono i perché debbano finire nel dimenticatoio.
 

Installazione di Phytobac, messo a punto da Bayer, al fine di stoccare e abbattere i residui di agrofarmaci dopo i trattamenti: le soluzioni ci sono, basterebbe attivarsi a livello normativo per consentirne l'adozione da parte degli agricoltori
Installazione di Phytobac, messo a punto da Bayer, al fine di stoccare e abbattere i residui di agrofarmaci dopo i trattamenti: le soluzioni ci sono, basterebbe attivarsi a livello normativo per consentirne l'adozione da parte degli agricoltori
(Fonte: AgroNotizie - Montemassi)

A conclusione, Vicàri ha toccato il tema Ampa, metabolita di glifosate, chiarendone l'origine anche industriale e civile. Ampa è infatti ampiamente utilizzato per una molteplicità di scopi, spesso ignorati quando si parli di acque e ambiente. L'origine urbana e industriale di Ampa, infatti, viene sempre lasciata indistinta da quella agricola, gonfiando le vele degli anti-glifosate. Impossibile però stabilire una percentuale precisa di tali apporti, sebbene si sappia come città e industrie siano capaci di produrre molti più inquinanti acquatici delle tanto vituperate attività agricole.
 

Conclusioni

Ciò che è stato condiviso nel corso del webinar, tutto sommato, non ha alcunché di nuovo. Tali informazioni sono note da anni e anche le più recenti aggiuntesi nel frattempo non hanno fatto che confermare quanto già si sapeva.

Eppure, nonostante ciò, nubi grigie si stanno di nuovo addensando sulla testa dell'erbicida. Sebbene appaia ormai scontato il parere scientifico positivo, va ricordato infatti come a valle di tale parere attenda il livello dei decisori politici, molto più soggetti agli umori popolari e mediatici rispetto agli scienziati.

Si spera quindi che anche a questo giro, come nel 2017, la ragione vinca, magari ancora al colpo di reni, ma vinca. A tutto vantaggio dell'agricoltura europea, già oggi abbastanza sotto pressione rispetto a quelle di altri continenti dai quali l'Europa importa una quantità di materie prime agricole da far tremare i polsi. Una quantità che se certe linee oscurantiste dovessero passare, non potrebbe fare altro che aumentare.