Torna la questione dell’uso del rame come anticrittogamico, soprattutto in agricoltura biologica. A porsi delle domande questa volta è l’Arsial, l’Agenzia regionale per lo sviluppo e l’innovazione in agricoltura del Lazio.

Lo spunto è stato l’andamento di questa annata agraria che, a causa dell’andamento stagionale particolarmente piovoso, ha messo a dura prova gli agricoltori nel controllare gli attacchi fungini, soprattutto in agricoltura biologica, dove per certe patologie, il rame rimane pressoché l’unico principio attivo utilizzabile.

Attualmente infatti  il recente regolamento Ue 1584 del 22 ottobre 2018, conferma il limite di 6 chilo/anno per ettaro sia per le coltivazioni biologiche che convenzionali.

Il regolamento comunque prevede possibilità per gli Stati membri di autorizzare in deroga per le coltivazioni biologiche perenni il superamento del tetto massimo annuale, a condizione che non vengano oltrepassati i 30 chili complessivi nell’arco di 5 anni.

Resta quindi il dilemma per le amministrazioni regionali se concedere o meno la deroga e una volta concessa se fissare, come sembrerebbe ragionevole, un qualche criterio per evitare comunque un sovraccarico di somministrazione nel singolo anno. Infatti, teoricamente, come sottolinea l’Arsial, si deve evitare il paradosso che i 30 chili possano essere concentrati anche in un solo anno nell’arco del quinquennio.

D’altro canto, in annate particolarmente avverse, il vincolo dei 6 chilogrammi a ettaro si è dimostrato un tetto troppo basso a garantire il raccolto nelle coltivazioni biologiche, tanto che non sono infrequenti casi di superamento del limite annuo da parte degli agricoltori, prontamente sanzionati dagli organismi di controllo, fermo restando il rispetto del quantitativo massimo ammesso nel quinquennio.

Per questo Arsial chiede di aprire una riflessione sull’opportunità di procedere alla concessione della deroga, mettendo eventualmente in discussione quanto stabilito a livello regionale nel 2010, tenuto conto anche della frequenza negli anni più recenti di andamenti climatici estremi, per piovosità o siccità, che rendono più problematica l’efficacia dei piani di difesa in agricoltura biologica.