Proprio per condividere informazioni tecniche e novità di rilievo per il mondo-riso, è stata tenuta presso il Centro di ricerche sul riso di Castello d'Agogna, in Provincia di Pavia, una giornata di approfondimenti sulle tecniche di gestione della flora infestante, specialmente quando si seguano pratiche di semina interrata.
Cristian Mancuso, dell’Ente Nazionale Risi, ha infatti approfondito proprio questa tecnica mentre Giovanni Ferrari di Sagea ha portato i risultati di alcune sperimentazioni in campo con una nuova miscela di imminente registrazione a base di clomazone e pendimethalin.
La semina interrata
La superficie seminata con la tecnica interrata copre ormai circa un terzo delle superfici coltivate, La Provincia di Pavia è quella che vi crede di più, applicandola su circa 55 mila ettari. In pratica, l’80% della semina interrata viene effettuata nelle aree a cavallo fra le Province di Pavia e Milano. Tra i vantaggi, la semina interrata offre una riduzione nei costi dell’acqua e delle lavorazioni meccaniche, aprendo alla risicoltura anche aziende non tradizionalmente vocate quanto a sistemi colturali. Relativamente al riso, assicura poi un miglior ancoraggio al terreno delle piante, foriero di minori allettamenti successivi. Pure semplifica le rotazioni colturali e contribuisce a semplificare la gestione della flora infestante.
Come per qualsiasi altra cosa, la semina interrata mostra anche degli svantaggi, come la perdita le acque di parte dell’azoto nitrico, sviluppatosi maggiormente in assenza di acqua. Il ciclo appare poi più lungo rispetto alle semine in acqua, ciò implica la scelta di varietà tendenzialmente più precoci con le conseguenti limitazioni produttive finali. La flora di sostituzione è infine un altro problema, con la tendenziale prevalenza delle graminacee come Setaria, Digitaria, Echinocloa, Panicum e Leptocloa, ma tendono a crescere anche Bidens, Cyperus esculentum, Commellina comunis, Abutilon e Polygonum.
Resistenze sempre più diffuse
Il Gire stima ormai nel 30% della superficie a riso soggetta a resistenze, con forti percentuali che mostrano presenza di Scirpus mucronatus, Alisma plantago, Cyperus difformis, Schoenoplectus mucronatus, ma anche riso crodo e giavoni.
Soprattutto i giavoni occupano il primo posto nella scala di pericolosità quanto a resistenze: rilevata la prima volta nel 2007, oggi si conta una quarantina di aree ove i giavoni sono divenuti resistenti dapprima agli Als, poi agli ACC-asi (i noti “dim” e “fop”), oppure entrambi.
La semina interrata può esser vista quindi come sistema per contenere le infestanti più tipiche del riso sommerso, come pure contro le infestanti resistenti. Gli interventi meccanici contro le malerbe possono infatti essere utilizzati fino a ridosso della semina contenendo le popolazioni di infestanti.
La lotta chimica, peraltro, può essere approcciata più decisamente secondo la tecnica dei pre-emergenza, posizionato subito dopo la semina ma prima dell’emersione della coltura. A questo intervento, eseguibile con sostanze attive quali clomazone, pendimethalin e oxadiazon, seguono generalmente due interventi di post-emergenza. Il primo può essere a base di cyhalofop-butile, profoxidim oppure imazamox ove si segua la tecnologia Clearfield, basata su ibridi resistenti a questo erbicida. Il secondo trattamento di post-emergenza può invece contare su penoxulam, byspiripac-sodium, azimsulfuron, bensulfuron (con o senza metsulfuron), imazasulfuron, halosulfuron-metile, etossisulfuron, Mcpa e triclopyr, in miscela con propanile.
I pre-emergenza presentano il vantaggio di ridurre la competizione delle infestanti fin da subito, coprendo poi una finestra temporale consistente. Fra gli svantaggi, presentano una tempistica ridotta per l’esecuzione, circa 3-5 giorni dopo la semina, e possono patire andamenti climatici piovosi, i quali amplificano anche la diffusione delle sostanze attive nelle acque.
clomazone può essere utilizzato a 0,3-0,5 L/ha. Venendo assorbito da radici e germogli agisce su un ampio spettro di infestanti, come Panicum, giavone, digitaria, Setaria, e Leptocloa, abutilon e polygonum. Presenta una fitotossicità transitoria, i noti sbiancamenti, che però non impatta significativamente il ciclo colturale e la produzione finale. pendimethalin inibisce invece la germinazione. Essendo attivo solo negli strati superficiali di terreno, tendenzialmente non migra nella fascia in cui si sviluppa l’apparato radicale della coltura. In caso però di percolazione verso il basso, si possono vedere alcuni sintomi di fitotossicità, noti anche come “radici a cipolla”.
Nuove miscele in arrivo
Alcune novità stanno ora facendo capolino sul fronte dei diserbi, con due nuovi formulati attualmente in corso di registrazione. Il primo verrà commercializzato in formulazione CS, ovvero microincapsulato, contenente clomazone in ragione di 360 g/L. Il secondo, anch’esso microincapsulato, contiene 55 g/L di clomazone e 275 g/L di pendimetalin. Quest’ultimo risulta specificatamente studiato proprio per la semina interrata.
A Giovanni Ferrari, di Sagea, è spettata la condivisione di alcuni risultati ottenuti in campo con i due formulati, i quali sono ormai di imminente commercializzazione e dei quali, dopo l’arrivo del decreto, si darà ampia descrizione..
Sei prove sperimentali sono state ripartite fra le province di Pavia e Vercelli, eseguendo un’unica applicazione in pre-emergenza a dosi differenziate: il formulato a base del solo clomazone a 0,4 L/ha, mentre la miscela è stata testata a dosi di 2, 2,5 e infine 3 L/ha. Come reference sono stati adottate formulazioni singole di clomazone e pendimethalin.
L’epoca dei trattamenti nelle prove di Pavia è caduta il 22 aprile e il 13 maggio, mentre nel Vercellese il diserbo è avvenuto il 25/04, oppure l’8 e il 30 maggio.
Echinocloa presente in tutte le prove, sul quale il formulato a base di clomazone+pendimethalin ha funzionato sopra il 90% di controllo anche con i 2L, toccando il vertice del 95% con i 3L. In tali situazioni, e con popolazioni numerose, probabilmente si dovrà intervenire anche in post-emergenza, ma i pre-emergenza con la miscela di clomazone+pendimethalin danno in ogni caso maggiore flessibilità e tranquillità nel corso della stagione.
Panicum dichotomiflorum è stato controllato efficacemente già dal solo clomazone, mentre per quanto riguarda la miscela delle due sostanze attive Digitaria necessita di almeno 2,5 litri.
Anche per controllare Abutilon è risultata indispensabile la miscela, con dosi che risultano già ottimali (97-98%) con i due litri per ettaro. Stesso discorso contro Erucastrum nasturtifolium e Lindernia dubia. Portulaca oleracea, invece, è stata controllata al 100% da tutte le tesi.
Fra i punti di debolezza: Persicaria maculosa, sulla quale nessuna tesi è arrivata al 90% d’efficacia richiedendo un intervento specifico di post-emergenza. Inutili invece i trattamenti su Cyperus esculentum: efficacia quasi zero. In caso di presenza di questa infestante servono quindi interventi specifici.
Ottima la selettività dei due nuovi formulati, con la lunghezza dell’apparato radicale che è risultata leggermente maggiore nelle tesi trattate rispetto al Test: più di 12 centimetri nelle parcelle diserbate contro lunghezze inferiori a 12 centimetri nel Test non trattato.
La percentuale di sbiancamento è stata rilevata intorno al 5%, ma solo entro il 18 giorno dal trattamento e alla dose superiore di 3 L/ha. Dopo 60 giorni lo sbiancamento era già sceso intorno all’1-2%. Quasi nulla la fito invece in corrispondenza delle dosi inferiori.
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