In Italia la superficie coltivata a cece è stata soggetta negli anni ad un forte saliscendi: in base ai dati Istat gli ettari coltivati a questo legume sono scesi da 110mila nel 1950 a circa 3.400 nel 1999, localizzati prevalentemente nelle regioni del sud e nelle isole, per poi risalire nel corso degli anni successivi. Oggi la coltivazione del cece è distribuita su 26.024 ettari per una produzione di 474.376 quintali, mentre nel 2008 era di 5.265 ettari per 65.125 quintali.
CECE
Oltre che un calo produttivo il cece ha subito una riduzione dei consumi interni, visto il cambio delle abitudini alimentari e lo sviluppo di una nuova percezione colturale. Oggi però il cece, insieme alla lenticchia, è tra le colture più in crescita alla luce dei nuovi sistemi agricoli e della politica di sviluppo rurale 2014-2020, che affida alle leguminose un ruolo cruciale sia per la sostenibilità ambientale che per il recupero delle produzioni agroalimentari d’eccellenza. Nel 2017 infatti i circa 100mila ettari coltivati a legumi nel Bel Paese (+35%) hanno prodotto 190mila tonnellate (+37%) di granella secca. Particolarmente spiccato è l’incremento delle colture di ceci (+72%), seguito dalle lenticchie (+60%) e dai piselli (+52%).
In base ai dati Faostat 2017 sono stati prodotte 14.776.827 tonnellate di ceci nel mondo su una superficie di 14.564.399 ettari. Con questi numeri la pianta del cece è la terza leguminosa per produzione, dopo la soia e il fagiolo. L'Italia è al 17esimo posto mentre le prime tre posizioni sono di India con 9.075.00 tonnellate (su una superficie di 9.539.000 ettari), Australia con 2.004.000 tonnellate (su una superficie di 1.069.000 ettari) e Myanmar con 526.772 tonnellate (su una superficie di 375.620 ettari). In Europa l'Italia è al secondo posto per la coltivazione del cece, preceduta dalla Spagna con 56.498 tonnellate.
La coltivazione del cece in Italia è distribuita su 26.024 ettari per una produzione di 474.376 quintali
(Fonte foto: © Ulleo - Pixabay)
Il cece in passato veniva coltivato diffusamente in Italia perché forniva, anche nei terreni aridi e sassosi, una produzione limitata ma di elevato valore nutritivo. La sua farina, infatti, contiene il 20% di proteine e circa il 50% di carboidrati. Per capirne il trend in Italia e per individuare le principali prospettive future abbiamo intervistato Bruno Parisi, del Crea-Cin, il Centro di ricerca per le colture industriali di Bologna.
Professore, qual è la situazione generale del cece in Italia?
"La coltura del cece va inquadrata nell’ambito della produzione dei legumi secchi (fagioli, lenticchie, piselli, fave) che in Italia ha conosciuto una pesantissima diminuzione a partire dagli anni ’60, passando da un quantitativo complessivo di 640mila tonnellate al picco negativo di 135mila tonnellate raggiunto negli anni 2010-2015. L’Italia ha di recente cominciato a recuperare posizioni, il tutto determinato dalle scelte alimentari che hanno sempre più premiato l’impiego dei legumi: il consumo apparente pro-capite è passato nel periodo 2013-2017 da 6,5 chili a quasi 9 chili.
Per il cece negli ultimi si sono registrati buoni trend di crescita nella produzione nazionale: nel periodo 2013-2017 si è passati da 10mila a 35mila tonnellate. Forte la tendenza di crescita nel biologico: nel periodo 2013-2017 si è passati da circa 9mila ettari a 20mila. La vivacità attuale vissuta dalla coltura del cece è ampiamente confermata dalla performance del settore sementiero che con quasi 1.400 ettari investiti nel 2018 ha decuplicato le superfici del 2016".
E' in crescita la coltivazione biologica del cece made in Italy
(Fonte foto: © Johndav - Pixabay)
Quali le prospettive prossime future di questa leguminosa?
"L'attuale Pac prevede diversi strumenti che riconoscono direttamente o indirettamente i benefici delle leguminose, sia dal punto di vista ambientale o da quella del sostengono alla produzione di colture proteiche nell'Ue, come ad esempio: pagamento ecologico (greening) - attraverso la possibilità di coltivare alcune colture che fissano l'azoto a beneficio della biodiversità nelle aree di interesse ecologico (Efa) è un requisito di diversificazione delle colture - che in Italia sarà anche nel 2019 pari al 30% dei pagamenti diretti; programmi di sviluppo rurale, ad esempio attraverso misure agro-climatico-ambientali, trasferimento di conoscenze, servizi di consulenza, cooperazione e innovazione e strumenti di investimento; un sostegno accoppiato facoltativo.
Il cece, insieme ad altre leguminose da granella, continuerà a beneficiare, anche per il 2019 nell’ambito del sostegno della Pac, dell’aiuto accoppiato. Il plafond 2019 fissato dal Mipaaft è di circa 11,2 milioni di euro: le regioni beneficiarie sono Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna".
Può indicarci alcune attività di ricerca su cui state lavorando per lo sviluppo del cece made in Italy, e di tutte le leguminose da granella?
"Il Mipaaft ha di recente finanziato un progetto di ricerca (Prolegu) che intende affrontare con un approccio multidisciplinare le problematiche che riducono le rese produttive di alcune delle principali leguminose da granella: principalmente cece e fagiolo, in subordine soia e pisello.
L’incremento della resa per ettaro e della sostenibilità delle leguminose da granella può essere raggiunto attraverso il miglioramento genetico (tradizionale ed evoluto) e l'uso di agrotecniche innovative (utilizzo di batteri simbionti e micorrize selezionate, modelli decisionali in grado di gestire le diverse tecniche colturali in base ai diversi scenari economici e agronomici, un più efficiente uso delle risorse idriche).
Nei tre anni di progetto nei campi sperimentali di Foggia e Bologna, ma anche a Rovigo e in ulteriori località, si confronteranno alcune varietà delle principali tipologie di cece e fagiolo, in sistemi colturali a gestione convenzionale o biologica. Per il cece si farà ricorso sia a materiali genetici sviluppati in Italia che all’estero (Europa e Asia), mentre per il fagiolo si utilizzeranno in buona parte le varietà costituite negli ultimi anni dal Crea-Cin di Bologna, assieme a varietà locali o migliorate da altri enti di ricerca o università italiane. I materiali genetici oggetto delle diverse sperimentazioni verranno qualificati attraverso analisi chimiche per caratterizzare i principali fattori nutrizionali ed antinutrizionali; si vogliono così fornire ulteriori elementi nella scelta varietale nei vari ambienti anche a seconda della tipologia di coltivazione.
I dati registrati nel corso dei tre anni di prove verranno quindi utilizzati per migliorare quei modelli di simulazione agricola ed ambientale atti a sviluppare sistemi decisionali predittivi in modo migliorare le performance economiche".