Proprio per indagare le potenzialità che i microrganismi racchiudono l'Unione europea ha deciso di finanziare con circa 10 milioni di euro, nell'ambito del programma Horizon2020, il progetto Simba (Sustainable innovation of microbiome applications in food system), coordinato dall'Istituto finlandese Luke.
Suddiviso in nove filoni di ricerca, su cui si applicheranno i ricercatori di 23 enti tra istituti di ricerca e partner industriali (per l'Italia l'Enea, l'Università di Parma e le aziende Agriges e Ccs Aosta), Simba sfrutterà le potenzialità dei microbiomi marini e terrestri per aumentare la produttività, la sostenibilità e la sicurezza degli alimenti.
"Con il termine microbioma si intende l'insieme di microrganismi (batteri, funghi, protozoi e virus), dei loro genomi e delle interazioni che questi stabiliscono in un determinato ambiente, come il suolo o il mare, o in un corpo umano o animale", spiega ad AgroNotizie Annamaria Bevivino, responsabile del Laboratorio sostenibilità, qualità e sicurezza delle produzioni agroalimentari dell'Enea. "I microbiomi sono vitali per la vita e la salute degli uomini e degli animali e rappresentano i componenti essenziali delle catene alimentari".
"L'obiettivo generale di Simba è quello di comprendere meglio la struttura e le funzioni dei microbiomi delle catene alimentari marine e terrestri e di verificare la sostenibilità delle innovazioni microbiche del sistema alimentare nel suo complesso", spiega sul sito del Luke Natural resources Institute Finland Anne Pihlanto, coordinatrice del progetto. "La nostra ricerca porterà ad una maggiore produzione di cibo e ad una migliore qualità e sicurezza alimentare".
Si studieranno i microrganismi nel contesto dell'agricoltura e in quello dell'acquacoltura. Si identificheranno i più promettenti consorzi microbici, si ottimizzerà la composizione dei microbiomi e si verificherà quale applicazione commerciale possono avere e quali effetti sulla salute umana hanno.
"Enea è responsabile del Work Package 2 e coordinerà lo studio di quei consorzi microbici che promuovono la crescita delle piante. Il nostro mandato è quello di valutarne l'efficienza in laboratorio, in serra e in campo su quattro colture: il mais, il grano, la patata e il pomodoro. Il tutto in condizioni climatiche differenti: dai campi della Germania fino a quelli del Sud Italia", spiega Bevivino.
La grande forza dei microrganismi
I microrganismi svolgono un ruolo fondamentale in agricoltura. Sono infatti responsabili della degradazione della materia organica in campo, come i residui colturali, che vengono 'demoliti' in elementi semplici che possono essere assimilati dalle piante. Alcuni funghi, come quelli micorrizici, vivono in simbiosi con le colture, aiutandole a nutrirsi formando nel terreno una rete di radici secondarie in grado di estendere la superficie esplorata dalla rizosfera della pianta.Altri microrganismi ancora riescono a difendere le colture dai batteri patogeni, sollecitando le risposte immunitarie della pianta stessa o competendo per le stesse fonti nutritive.
Individuare ceppi batterici utili all'agricoltura significa mettere a disposizione degli agricoltori strumenti in più per fare meglio il proprio lavoro. I consorzi microbici possono avere un ruolo nel migliorare la nutrizione delle colture, concorrere alla difesa delle stesse o migliorare le proprietà nutritive degli alimenti.
Produrre di più con meno. La sfida del secolo
D'altronde secondo le Nazioni Unite l'umanità sfiorerà i dieci miliardi di persone nel 2050. Per poter fornire a tutti cibo sano, nutriente e sostenibile è necessario migliorare le performance del settore primario. E l'utilizzo dei microrganismi giocherà un ruolo fondamentale.Già oggi diverse aziende hanno lanciato sul mercato prodotti che sfruttano le potenzialità dei microrganismi ma non sempre questi prodotti commerciali sono efficaci. Negli Stati Uniti ci sono investimenti impressionanti volti a imbrigliare la forza di batteri e funghi.
Oltre agli enti di ricerca, partner del progetto sono anche aziende che già oggi lavorano in questo settore. Per evitare infatti che i risultati della ricerca finiscano nel cassetto di qualche laboratorio, un focus particolare sarà dedicato al trasformare il lavoro dei ricercatori in prodotti utili agli agricoltori.
"Uno degli ostacoli principali da superare è il fatto che i batteri selezionati in laboratorio hanno prestazioni eccellenti in vitro e in serra, in condizioni controllate, ma una volta immessi in campo non sono così efficienti", spiega Bevivino. "Questo perché devono competere con i microrganismi indigeni, naturalmente presenti in un determinato ambiente, resistere agli stress ambientali. E non sempre hanno la meglio". Basti pensare che in un grammo di terreno vivono 10 miliardi di microrganismi e che in un ettaro di campo si arrivano ad avere fino a 10 tonnellate di biomassa composta da batteri e 5 tonnellate di funghi.