Luci e ombre si sono alternativamente proiettate, nel corso dei secoli, sul settore primario; quelle stesse ombre che oggi sembrano per la prima volta dissiparsi per lasciare spazio alla sua piena affermazione.
A segnare il punto di svolta è stato, pochi giorni fa, il primo ministro Medvedev. "Il nostro paese è destinato dal cielo a nutrire l'intero pianeta. E proveremo a farlo", ha dichiarato in un'intervista rilasciata ai giornalisti dei principali canali televisivi russi. Quasi un'investitura divina, verrebbe da dire, se non fosse che i dati lo confermano: secondo quanto riporta il sito di informazione "Russia Today", quest'anno la Russia ha registrato una crescita importante delle sue esportazioni agricole, diventando il primo esportatore mondiale di grano.
Giusto per fare qualche numero: da gennaio a settembre 2018 le esportazioni di grano e frumento di segale russo sono aumentate del 54,3% rispetto all'anno precedente. Per contro, le importazioni di cereali sono diminuite dell'11,1% durante lo stesso periodo; l'import di orzo ha subito un autentico tracollo, arrivando a sfiorare il -94%.
"È un importante passo avanti - ha commentato il presidente Vladimir Putin in occasione di un recente incontro con gli agricoltori -. I proventi delle esportazioni dell'agricoltura, che hanno raggiunto oltre 20 miliardi di dollari nel 2017, superano ora quelli di segmenti storicamente forti come quelle che si occupano della vendita di armamenti". A trainare il settore è il grano, ha ribadito Putin: "Nel 2016 la Russia è diventata il primo esportatore mondiale di grano, un evento che non accadeva dai tempi della rivoluzione russa". Una leadership, come si è visto, rafforzata negli anni seguenti.
Come riporta la piattaforma di informazione online russa Sputnik, secondo le cifre del dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti (Usda), la Russia in effetti controlla oggi il 22% del mercato mondiale del grano, con l'Unione europea e gli Stati Uniti che si fermano rispettivamente al 14% e al 13%.
Una supremazia riconosciuta anche oltreoceano: alla fine del 2017, il gruppo commerciale US Wheat Associates, il più grande gruppo esportatore di grano al mondo, ha annunciato che avrebbe chiuso il suo ufficio in Egitto a causa della concorrenza russa. Sempre nel 2017 la Russia ha iniziato a operare sui mercati a tradizione francese in Africa, tra i quali il Senegal e il Marocco. E il grano russo sta guadagnando terreno anche in Nigeria, Bangladesh e Indonesia, Algeria e Messico, quest'ultimo normalmente considerato un punto fermo per i produttori di grano degli Stati Uniti. Eppure, in Messico l'anno scorso la Russia si è imposta vendendo oltre 100mila tonnellate di grano.
Questa produzione, che il settimanale inglese The Economist ha definito "ruggente", è il risultato di una confluenza di fattori a breve e lungo termine. "Una delle ragioni principali del boom dell'industria agricola russa è stata la guerra di sanzioni lanciata dall'Occidente nel 2014, in seguito alla quale la Russia ha annunciato misure di ritorsione limitando l'importazione di prodotti alimentari occidentali - spiega l'osservatore economico Maxim Rubchenko -. Di conseguenza, le importazioni alimentari dall'Ue sono diminuite del 40%, liberando il mercato per la produzione interna. Negli anni successivi le importazioni agricole russe sono diminuite dal 35% dell'anno 2013 a non più del 20% di oggi".
Sempre secondo l'agenzia di stampa Sputnik, sul fronte delle esportazioni una campagna del governo a sostegno dei produttori ha contribuito ad estendere l'impronta agricola della Russia all'estero. La Federazione Russa ha aumentato i prestiti e le concessioni agevolate e ha apportato correzioni alla legislazione in materia di terreni, consentendo un aumento sostanziale dell'area di semina, che ha superato gli 80 milioni di ettari a partire dal 2017. Tassi agevolati per il trasporto ferroviario, la costruzione di nuovi terminali per il grano nei porti principali e la creazione di una rete di centri di distribuzione all'ingrosso hanno completato la strategia.
Ma la Russia ha altri due importanti assi nella manica. Uno di questi è la presenza massiccia di terreni agricoli abbandonati o inutilizzati. Secondo il ministro dell'Agricoltura, Alexander Tkachev, sarebbe "assolutamente realistico recuperare almeno dieci milioni di ettari". A tal fine, il ministero ha preparato nuovi progetti di legge volti a semplificare le procedure per il recupero di queste terre, aumentando le tasse sui terreni agricoli non utilizzati. Il governo ha anche esteso i finanziamenti per l'industria agricola, da 242 miliardi di rubli (circa 3,85 miliardi di dollari) lo scorso anno a 272 miliardi di rubli (4,32 miliardi di dollari).
Il secondo asso nella manica, almeno secondo Rubchenko, sarebbe il cambiamento climatico. Un recente studio della Kansas State University ha osservato che, rispetto alla fine degli anni '80, le temperature medie nelle regioni cerealicole dell'Eurasia aumenteranno di 1,8 gradi Celsius entro il 2020 e di 3,9 gradi entro il 2050. In combinazione con le nuove tecnologie, questi cambiamenti permetteranno alla Russia di trasformare altri 57 milioni di ettari di terreno in terreni agricoli.
Insomma, il futuro appare luminoso per l'agricoltura russa, complici l'aumento delle temperature, il miglioramento delle tecnologie e le ultime tendenze globali, ma anche azioni diplomatiche che, invece di mettere in ginocchio il paese, l'hanno spronato a fare di più. Milioni di ettari di terreno abbandonati dopo il crollo sovietico potrebbero essere recuperati. E gli investimenti nelle tecnologie digitali, dove la Russia è in ritardo, potrebbero portare a un aumento della produttività. Forse ha davvero ragione Medvedev: l'unico limite della Russia, oggi, è il cielo.