Dietro ad una mozzarella, a una bottiglia di vino o ad un pacco di pasta ci sono dati, moltissimi dati. Dati che riguardano l'agricoltore e il modo in cui ha condotto il suo campo. Dati relativi alle consegne dei fornitori di mangimi e alle prescrizioni del veterinario. Dati che riguardano la cooperativa che ha ritirato il prodotto e lo ha lavorato. Dati relativi ai grossisti, ai commercianti, ai rivenditori e alla Gdo. Da solo il Mipaaft gestisce una grande mole di dati, come anche l'Agea o l'Icqrf (Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi). Insomma, di dati oggi ce n'è in abbondanza e domani saranno ancora di più.

E i dati hanno un valore. Ad esempio per offrire un servizio di tracciabilità al consumatore o per risalire in maniera veloce e sicura ad un lotto con criticità sotto il profilo sanitario. Ma l'analisi dei big data è utile anche per individuare inefficienze lungo la catena del valore, ottimizzare i processi e aumentare i margini.

Durante il convegno organizzato ad Eima 2018 da Image Line e in cui ha partecipato anche l'Osservatorio Smart AgriFood del Politecnico di Milano e dell'Università di Brescia si è discusso proprio della valorizzazione dei big data e delle caratteristiche che questi devono avere per essere realmente utili.

Dati - fase agricola
(Fonte foto: Osservatorio Smart AgriFood)


Le cinque regole del dato

Già, perché un dato, perché sia davvero utile, deve avere cinque caratteristiche:
  • Deve essere raccolto dove nasce, quindi l'agricoltore registrerà i dati relativi alle operazioni in campagna, l'azienda di trasformazione quelli relativi alle sue attività industriali e così via.
  • Va registrato una sola volta e archiviato in una sola piattaforma, al fine di evitare sovrapposizioni e distorsioni.
  • Va sfruttato da tutti gli interessati, quindi da tutti gli attori della filiera.
  • Deve produrre vantaggi per chi lo raccoglie, presupposto perché un soggetto sia interessato a investire tempo e denaro in questa attività.
  • Deve essere costantemente aggiornato, perché prendere decisioni su dati vecchi, che quindi non descrivono più la realtà, è fuorviante.

Dato in agricoltura


La condivisione genera valore

La gestione digitale di una azienda agricola porta molti vantaggi per l'agricoltore, in termini ad esempio di snellimento burocratico, ottimizzazione delle risorse, aumento delle produzioni e così via. Eppure se il dato rimane nel computer dell'agricoltore viene sfruttata solo una piccola parte delle sue potenzialità.

Come sottolineato al punto tre 'il dato va sfruttato da tutti gli interessati' perché solo una condivisione dello stesso può generare valore lungo tutta la filiera. Un esempio? Allo scorso Vinitaly il Mipaaft ha presentato il progetto eNology che sfrutta i dati che la Pubblica amministrazione ha già in pancia (attraverso il Sian) per offrire un sistema di tracciabilità parziale del vino, dalla raccolta all'imbottigliamento.

Parziale perché viene raccontata solo una sezione della catena del valore che sta dietro ad una bottiglia, mancando ad esempio tutta la parte relativa alla gestione del vigneto. Informazioni che però sono in mano all'agricoltore che potrebbe mettere a fattor comune per completare 'la storia' di un calice di vino, questa volta veramente dalla pianta allo scaffale.

Per ottenere questo obiettivo serve però che piattaforme differenti si parlino e si scambino dati al fine di offrire al consumatore, come ad altri stakeholder, informazioni utili. E' necessaria ad esempio una integrazione tra le piattaforme di digital farming (come QdC® - Quaderno di Campagna) e i registri pubblici (come il Sian - Sistema informativo agricolo nazionale), ma anche con i gestionali delle aziende di trasformazione fino alle piattaforme utilizzate nella logistica e a quelle sfruttate dalla Gdo per gestire le referenze in scaffale.

Perché tutta la filiera si avvantaggi dall'analisi dei big data occorre che ogni soggetto registri in maniera corretta i dati inerenti le sue attività e che li condivida (pur mantenendone la proprietà) con gli altri attori della filiera. Solo in questo modo si può ottenere un valore aggiunto di molto superiore rispetto alla somma delle singole parti.


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