Lo scorso luglio la Corte di giustizia dell'Ue ha emesso una sentenza che avrà un impatto pesante sul futuro del miglioramento genetico vegetale in Europa. I togati di Lussemburgo hanno deciso che gli organismi ottenuti con le New breeding techniques (Nbt) come il genome editing (famiglia di nuove tecnologie di cui fa parte l'ormai famoso Crispr-Cas9) devono sottostare alla stessa normativa europea prevista per gli Ogm transgenici 'tradizionali'.

Della sentenza abbiamo scritto in questo articolo. La decisione della Corte Ue ha lasciato perplessi i ricercatori perché equipara due tecnologie completamente differenti. Da un lato gli Ogm transgenici comportano un passaggio di Dna tra due specie non sessualmente compatibili. Dall'altro le Nbt si limitano ad accelerare e rendere più accurato un passaggio di geni tra due piante compatibili. Si migliora dunque un processo che potrebbe accadere in natura spontaneamente.

Una decisione, quella della Corte Ue, che secondo molti frenerà il miglioramento varietale. "Io non credo che questo accadrà, sarà solo più complicato e costoso dare agli agricoltori piante migliori", racconta ad AgroNotizie Haven Baker, chief business officer di Pairwise, società statunitense attiva nel miglioramento genetico delle colture tramite il genome editing.

"Una parte del nostro lavoro è quello di sviluppare tratti genetici interessanti per l'industria sementiera. Parliamo ad esempio di resistenze ai patogeni. Per le imprese sarà più lungo e più costoso completare l'iter autorizzativo europeo, ma alla fine credo che sia possibile e conveniente", ci spiega Baker durante il World Agri-Tech Innovation Summit di Londra (di cui AgroNotizie è partner).

Il problema semmai riguarda i piccoli laboratori di ricerca, che non si possono permettere investimenti milionari per completare l'iter autorizzativo. Ma a rimetterci potrebbero essere anche gli agricoltori che lavorano sulle colture minori, come le orticole, dove un investimento di decine di milioni di euro difficilmente si ripaga, se non nel lunghissimo periodo.

"L'altra parte del nostro lavoro è mettere a punto dei prodotti che i consumatori apprezzino. Stiamo ad esempio lavorando per migliorare i piccoli frutti, come mirtilli, more e lamponi. Credo che quando il consumatore tocca con mano i benefici che le Nbt portano con sé sia più propenso ad accettarle".

Già, perché uno dei problemi fondamentali è l'accettazione sociale. Oggi la maggioranza dei consumatori non vuole sentire parlare di Organismi geneticamente modificati e preferisce prodotti 'naturali'. "Perché non vedono la necessità di affidarsi alle biotecnologie", puntualizza Baker. "Ma quale sarebbe la reazione degli olivicoltori italiani se fossimo in grado di risolvere il problema della Xylella rendendo tolleranti a questo batterio le cultivar italiane? Accetterebbero il cambiamento o preferirebbero vedere scomparire gli uliveti?"

Gli agricoltori forse accetterebbero piante modificate con le Nbt, ma il consumatore a quel punto probabilmente preferirebbe altri tipi di prodotti. "Dipende da che cosa hanno in cambio. Tutti noi siamo riluttanti ad uscire dalla nostra comfort zone per provare qualcosa di nuovo. E lo facciamo solo se possiamo averne un beneficio. Se ad esempio offriamo nuovi frutti che incontrano il gusto dei consumatori. Se prolunghiamo la shelf life, in modo che una mora si mantenga bene anche dopo giorni dalla raccolta. Oppure se mettiamo a punto prodotti più salubri o completi dal punto di vista nutrizionale", conclude Baker.

Per dire come la sentenza della Corte Ue influenzerà il futuro dell'agricoltura europea è ancora presto. Quel che è certo è che negli Usa il miglioramento genetico con le Nbt sta andando spedito non essendoci gli stessi fardelli burocratici. E ad oggi non ci sono tecnologie che permettano di stabilire se un seme di soia proveniente dagli Stati Uniti appartenga ad una cultivar convenzionale oppure modificata con le Nbt.

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