Questa, più o meno, l’immagine del settore ortofrutticolo italiano che emerge dal Rapporto sulla competitività del settore ortofrutticolo nazionale 2015, presentato a Roma da Unaproa e Nomisma.
Il corposo rapporto - la cui introduzione è stata curata da Ivano Valmori, direttore di AgroNotizie e Ceo di Image Line - rende l’immagine di un comparto che conta più di 492mila aziende dedicate, un milione di ettari coltivati e quasi 13 miliardi di valore di produzione, ma che nella corsa per mantenere la sua leadership mondiale annaspa e barcolla a causa di una endemica scarsa propensione all'export (per tacere della vocazione all’internazionalizzazione, mai cresciuta oltre il livello dei buoni propositi natalizi), dell’eccesso di burocrazia, di costi poco competitivi nella logistica e di una capacità di aggregazione a malapena sufficiente. Tutti problemi tutt’altro che nuovi per noi, ma che i nostri principali competitor hanno superato da tempo.
Di certo i mercati non hanno aiutato il comparto a tenersi a galla. Sul fronte interno la media di consumo annuo pro capite si attesta a 131 kg.
"La scusa che l'ortofrutta è cara non regge più – ha tuonato il presidente di Unaproa, Ambrogio De Ponti – Ogni anno si spende per frutta e verdura un terzo di quanto costa un telefonino. È il momento di capire quali strategie adottare per tornare a essere protagonisti sul mercato. Un ruolo strategico devono assumerlo le Op, ma bisogna smettere di vederle come organizzazioni che trasferiscono soldi dal pubblico al privato e cominciare a considerarle delle vere imprese".
Le Organizzazioni dei produttori sono uno dei nodi da sciogliere nel sistema nazionale, almeno stando a quanto riportato da Denis Pantini, direttore dell’area agroalimentare di Nomisma. Come numero l’Italia è da primato, ma le Op nostrane sono scarsamente aggregate e rappresentano meno del 50% dei produttori ortofrutticoli nazionali. Nei Paesi Bassi o in Belgio, paesi che ci stanno portando via sostanziose fette di mercato, la percentuale balza oltre il 90%.
L’Italia continua a primeggiare per valore della produzione, per estensione della superfice a biologico e per il numero di Igp e Dop, ma nonostante questo perde velocemente terreno rispetto agli altri, tra cui la Spagna, vera "bestia nera" del settore primario italico. La concorrenza iberica su pere, pesche nettarine, arance e mele, è feroce. Tanto per fare un esempio, rimaniamo il primo produttore Ue di pesche, ma la nostra capacità di esportazione è passata nell’ultimo decennio dal 30,6% al 14,9%. Nello stesso periodo l’uva da tavola è passata dal 24,0% al 15,5%, il kiwi dal 33,8% al 27,2%.
Quali sono i vantaggi dei nostri competitor rispetto a noi? Innanzi tutto il costo di produzione, superiore da noi del 10% rispetto alla media degli altri paesi europei (13,7 euro l’ora contro i 9,4 euro della Spagna). C’è poi il prezzo dell’energia per utilizzi industriali (0,18 euro/Kwh contro i 0,13 della Spagna) e il costo dei trasporti via terra (1,6 euro al chilometro contro 1,22 euro in Spagna). Ancora peggio va a chi volesse esportare via mare, con 19 giorni necessari per poter imbarcare un prodotto in Italia contro i 10 della Spagna (ma anche del Senegal!) e i 7 dei Paesi Bassi.
E ancora: un problema strettamente burocratico che penalizza pesantemente le nostre imprese attiene alla difesa fitosanitaria per la quale sussistono differenze fra Paesi in merito alle possibilità di utilizzo di alcuni prodotti e procedure di livello nazionale che in parte limitano le possibilità di difesa dei produttori italiani rispetto ad alcuni principali competitor (Spagna in testa). Il colpo di grazia lo dà poi la burocrazia che riguarda le OP, che ‘ruba’ tra il 50 e il 70% delle giornate lavorative per attività di supporto alla realizzazione dei controlli.
La necessità di regole e procedure più armoniche, di un'attenzione particolare al mercato interno e di un maggior protagonismo delle Op è stata riconosciuta anche da Paolo de Castro, Coordinatore S&D Commissione Agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo, che ha anche sottolineato l’esigenza di cercare le cause dei problemi, smettendo di dare solo la caccia ai colpevoli.
Paolo De Castro alla presentazione del rapporto di Unaproa e Nomisma
© Alessandro Vespa - AgroNotizie
"Le aziende devono avere il coraggio di scommettere sulle organizzazioni di produzione – ha detto De Castro – Ma serve anche individuare una lista di problemi comuni a cui dare priorità rispetto a quelli particolari. Mi sto occupando del Trattato transatlantico del commercio e per gli investimenti (Ttip) e continua a sentir parlare solo del tema delle barriere tariffarie. Non ho mai ricevuto l'elenco completo delle problematiche legate al mondo dell'ortofrutta, come quello dei limiti dei fitofarmaci, indispensabile per approfittare del negoziato in maniera costruttiva".
"Spero che da questo lavoro – ha concluso De Ponti – possano scaturire proposte anche piccole ma concrete. Il mondo dell’ortofrutta vuole e deve essere più competitivo da subito. Il fatto che i problemi siano molto complessi non può essere un alibi per demandarli ad altri: iniziamo a chiederci che cosa possiamo fare domani mattina perché è sempre meglio una “piccola” cosa fatta che una cosa “grande” da fare".