Secondo i dati elaborati dal Gse, infatti, cresce il numero degli impianti in Italia (+44% nel 2012 rispetto all’anno precedente) e anche la potenza installata, seppure in misura inferiore (+12 per cento).
Tenendo presente che si tratta di affreschi estremamente liquidi e soggetti ad una progressiva implementazione, le fonti rinnovabili agricole hanno portato ad avere circa 2.800 MW installati, per una produzione di energia di quasi 9mila Gwh.
Certamente la dote assegnata alla voce aiuti per le rinnovabili, vicina a 1,5 miliardi di euro nel 2012, ha rappresentato un bel turbo all’espansione delle green Energy.
Al punto che oggi il 13% dell’energia prodotta in Italia proviene da fonti rinnovabili. L’obiettivo è quello di arrivare a quota 17% nel 2020, in base alla Direttiva 28 del 2009 e ispirata con opportune modifiche al documento conosciuto come Europa 20-20-20.
Un obiettivo che sembrava irraggiungibile e che al contrario appare ampiamente alla portata del Paese.
Si cresce, dunque. E questo nonostante alcuni vincoli introdotti recentemente, come la riduzione degli incentivi e una sorta di anagrafe bio-energetica, che impone l’iscrizione obbligatoria in specifici registri per i nuovi impianti che superino i 100 Kw per il biogas e i 200 Kw per le biomasse.
Una volta tanto l’Italia non resta a guardare e, anzi, si colloca nel gruppo di testa dell’Unione europea, dove l’asticella agroenergetica trascina verso l’alto soprattutto i Paesi dell’Ue-15, anche se i nuovi entrati non stanno certo a guardare. Così dicono le cifre elaborate da EurObserER, che guarda in particolare le energie provenienti da biomasse, che pesano per il 10,5% del totale, e sono concentrate per oltre il 90% nella vecchia Europa a 15.
La quota dell’Italia si attesta intorno al 4,5 per cento, con 741.000 Tep (tonnellate equivalenti a petrolio). I dati sono relativi al 2010.
Ad ipotizzare una ulteriore accelerazione anche per i prossimi anni è uno dei pionieri della filiera legno-energia, Angelo Scaravonati, presidente di Rinnova Green Energy e di Rinnova Energia, attraverso la quale sta sviluppando un progetto di teleriscaldamento a servizio anche di una importante casa di riposo nel cremonese.
“La tendenza sarà quella di puntare sull’energia termica piuttosto che su quella elettrica, che ormai interessa meno, considerato che ci avviamo verso un surplus di produzione elettrica rispetto ai fabbisogni reali”, osserva Scaravonati.
Un segnale è arrivato dal boom dei consumi di legna, cippato e pellet, che nel 2012 ha raggiunto i 20 milioni di tonnellate, col +26% dei volumi importati dall’estero.
Le parole d’ordine con le quali si dovrà fare i conti saranno in particolare due: “La sostenibilità ambientale e la quota di energia termica prodotta e la strada appare delineata per un abbandono dell’energia fossile verso la filiera legno-energetica, che offre molti vantaggi con ricadute effettive sul territorio”.
Puntare sulle mrf (medium rotation forestry) e sui sottoprodotti sostiene la filiera corta e favorisce l’occupazione.
“In Danimarca – prosegue Scaravonati – gli imprenditori danesi hanno piantato 2.600 ettari di mrf e puntano di raggiungere l’autosufficienza energetica nel prossimo triennio. Sono venuti a vedere cosa facciamo noi in Italia e si sono detti ancora più convinti che il legno è il nuovo petrolio. Prevedo una crescita di questo segmento a due cifre nei prossimi anni”.
Tuttavia, il presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli, smorza gli entusiasmi sul fronte ambientale. “Il confronto tra i combustibili – afferma Tabarelli ad un convegno organizzato da Assogasliquidi, l’Associazione nazionale delle imprese di gas di petrolio liquefatti (Federchimica) - rileva che le biomasse termiche emettono bruciando, anche nelle migliori condizioni, oltre 1.000 volte più particolato fine delle fonti gassose come il Gpl.
Sebbene sia fondamentale tenere conto del vantaggio economico nell’uso di biomasse e della riduzione, a volte discutibile, della CO2, non dobbiamo dimenticare la priorità ambientale della qualità dell’aria.
Si evidenzia che per quanto riguarda le emissioni di polveri, NOX, diossina, l’utilizzo delle biomasse comporta attualmente emissioni molto più consistenti rispetto ai combustibili tradizionali e, in particolare, a quelli gassosi”.
Una obiezione che Scaravonati minimizza: “E’ comprensibile che al convegno organizzato da Assogasliquidi si dia rilevanza al metano e al gpl, ma è corretto guardare alla sostenibilità ambientale, come abbiamo già detto. Non possiamo non ricordare infatti quanto sia importante promuovere l’aspetto tecnologico legato ai rendimenti della caldaie e contemporaneamente investire nella filtrazione dei fumi, per ridurre ai minimi le emissioni. Una linea di maggiore eticità che in termini pratici potrebbe tradursi nel ridurre i limiti emissivi del 20-30% nei prossimi anni".
In una ipotetica classifica sugli sviluppi futuri delle agroenergie, Scaravonati ritiene che “verrà sicuramente ridimensionato il canale legato all’energia elettrica, agli impianti di biogas alimentati a biomasse come i cereali, mentre in alcune aree d’Italia come la Pianura padana potranno trovare valorizzazione gli impianti alimentati con sottoprodotti; anche l’energia termica risentirà di una forte crescita. I progetti che stiamo perseguendo sono quelli legati alla valorizzazione del termico come opportunità per le imprese agricole.
Si ritorna a fare gli imprenditori dove il valore dell’energia venduta è frutto di trattativa fra produttore e utente finale".
Previsioni che si rispecchiano nel report 2012 sul “Rural Development in the Eu Statistical and Economic Information”, che tratta ovviamente di sviluppo rurale e produzione di energia rinnovabile da biomasse agricole e forestali.
Nell’Ue la produzione energetica da biomasse agricola e forestali ha raggiunto rispettivamente 17,5 e 80,8 milioni di tonnellate di petrolio equivalente nel 2010, con un’incidenza del 10,5% nella produzione di energia rinnovabile e del 48,5% per la silvicoltura.
Il numero uno di Confeuro, Rocco Tiso, richiama il nuovo rapporto della Fao su “Biofuels and the Sustainability Challenge”, secondo cui “la nuova strutturazione per la certificazione dei biocombustibili renderà difficile per i piccoli contadini di molti Paesi in via di sviluppo partecipare al mercato delle esportazioni, poiché riguarda gli attuali piani di certificazione che, essendo maggiormente gestiti da privati, potrebbero estromettere i piccoli contadini a vantaggio delle agro-industrie.
Saranno necessarie normative che prevedano aiuti a tutela dei piccoli agricoltori soprattutto dei Paesi in via di sviluppo, affinché possano avere, al pari delle grandi produzioni, la possibilità di garantire la protezione del territorio e della biodiversità anche tramite l’utilizzo dei biocombustibili”.