Investire nella ricerca e nell’innovazione a livello nazionale ed europeo, in modo da rafforzare le basi innovative e tecnologiche dell’Industria alimentare italiana, favorendone lo sviluppo e la competitività di un settore trainante fatto soprattutto di piccole e medie imprese. E’ questo l’obiettivo che si prefigge la Piattaforma tecnologica nazionale “Italian Food for Life” - che sarà operativa alla fine dell’anno - lanciata presso l’Università Alma Mater Studiorum di Bologna alla presenza del ministro Paolo De Castro, del Rettore dell’Università di Bologna Pier Ugo Calzolari e del consigliere delegato Federalimentare Silvio Ferrari.
Originata dalla Piattaforma tecnologica europea “Food for Life”, la Piattaforma italiana – promossa da Federalimentare congiuntamente all’Università di Bologna, a Enea biotec e alla Crui (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) - riunisce i principali attori della filiera agroalimentare, della ricerca, delle istituzioni e dei consumatori.

L’obiettivo della piattaforma italiana è quello di incentivare la ricerca e l’innovazione tecnologica a livello nazionale, per rafforzare le basi scientifiche e tecnologiche dell’industria alimentare, favorendone lo sviluppo e la competitività, soprattutto delle piccole e medie Imprese. E’ il risultato di un esteso processo di consultazione partito a Bologna a fine marzo e portato avanti da Federalimentare e dall’Università di Bologna da maggio a settembre.
Nell’aula Magna di Santa Lucia, insieme al Vision Document della Piattaforma (documento programmatico) che individua le priorità strategiche per il comparto alimentare fino al 2020 nell’ambito della ricerca, dell’innovazione, della formazione e del trasferimento tecnologico alle imprese alimentari, sono stati presentati i risultati dell'indagine effettuata sull’offerta di ricerca pubblica italiana e sulla domanda da parte delle Pmi in Italia ed in Europa (progetto SMEs-NET).

Dai dati si evince che le Pmi italiane investono in innovazione e sviluppo meno di quelle europee e che privilegiano innovazioni “piccole”, ma continuative nel tempo, soprattutto di prodotto (52,9%). Le innovazioni di processo sono invece al secondo posto (51,6%), seguite da innovazioni di packaging (38,5%), delle proprietà sensoriali (32,8%), dell’organizzazione (29,4%).
Confrontando le priorità delle aziende europee e quelle delle aziende italiane circa gli ambiti nei quali introdurre innovazioni alimentari troviamo alcune differenze: se tutte concordano sull’importanza degli investimenti in materia di sicurezza alimentare (aziende italiane ed europee si attestano sul 73-74%) e sul rapporto con il consumatore (62%), diversa è l’attenzione per altri aspetti. Il 65% delle aziende europee predilige indirizzare gli investimenti sul rapporto tra cibi e salute, una percentuale che in Italia scende al 56,6%. Le aziende italiane invece danno maggior importanza agli investimenti nella gestione della catena alimentare (67,1% contro il 46% degli europei), in una produzione alimentare sostenibile (62,2% contro il 46%) ed in attività di formazione e trasferimento tecnologico (60,2% contro il 47%).

Nel suo intervento Silvio Ferrari, consigliere e delegato Federalimentare al Comitato Innovazione e Ricerca di Confindustria, ha illustrato le sfide che attendono, nei prossimi anni, l’Industria alimentare, secondo settore manifatturiero del nostro Paese con un fatturato di 110 miliardi di euro nel 2006.
Dal quadro delineato emerge che una notevole fetta del mercato nazionale (17%) è rappresentata dal “tradizionale evoluto” (alimenti che vanno incontro a nuove proposte di confezionamento, di servizio e di caratterizzazione qualitativa e nutrizionale) e dai cosiddetti “nuovi prodotti” (8%) (alimenti funzionali ad alto contenuto salutistico quali ad esempio gli alimenti light o fortificati, i cibi salutistici - fitness, wellness - i prodotti per categorie specifiche di consumatori, ecc.. .).

E’ inoltre essenziale – aggiunge Daniele Rossi, Chairman della Piattaforma “Italian Food for Life” e Direttore Generale di Federalimentare – elaborare linee strategiche rivolte soprattutto alle PMI che rappresentano il 98% dell’Industria alimentare italiana e che sono spesso troppo piccole per competere (67.000 imprese alimentari di cui 6.650, il 10% con più di 9 addetti). Questo problema, spesso legato ad una gestione “familiare” non sempre adeguata ed efficiente, riduce la capacità di resistenza alla forte pressione della Grande Distribuzione. Ancora insufficiente, soprattutto tra le Piccole e Medie Imprese, risulta poi l’innovazione: sebbene ogni anno l’Industria alimentare destini il 2,6% del proprio fatturato (circa 2.700 milioni di euro) ad attività di controllo qualità e sicurezza e di ricerca applicata i dati dimostrano che non è ancora abbastanza. Il Made in Italy di domani infatti deve passare necessariamente attraverso la specializzazione, la ricerca e l’innovazione tecnologica non solo di processo ma anche di prodotto, per rendere unica al mondo la nostra produzione alimentare.

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