I cinghiali sono una specie estremamente dannosa per l'agricoltura e per gli ecosistemi naturali. Si stima che in Italia ci siano oltre 2 milioni di questi ungulati, che hanno la caratteristica di essere altamente polifagi e prolifici, nonché di sapersi adattare a diversi ambienti. Come conseguenza i cinghiali tendono ad invadere tutti gli ecosistemi, arrecando seri danni alla fauna e alla flora selvatica. Mentre la ricerca di cibo li porta a devastare i campi coltivati.

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Lo sanno bene gli agricoltori, che ogni anno si trovano a dover fare i conti con i danni causati da questi ungulati. Ma ultimamente, oltre ai danni diretti alle colture, si è aggiunta una nuova minaccia, quella della peste suina africana (Psa). L'agente patogeno di questa malattia è infatti un virus, innocuo per l'uomo, che si trasmette molto facilmente tra le specie appartenenti alla famiglia dei suini, come cinghiali e maiali appunto. Da qui il dito puntato contro i primi, considerati una delle cause della diffusione della Psa nel Nord Italia.


Ma è davvero così? E soprattutto, esistono politiche di gestione dei cinghiali che siano efficaci? Per capirlo abbiamo intervistato Claudio De Paola, direttore del Parco del Ticino, il Parco fluviale più grande d'Europa che segue tutto il corso del Ticino dall'uscita dal Lago Maggiore fino all'ingresso nel Po. Un Parco di oltre 900 chilometri quadrati, che si snoda tra tre province (Varese, Milano e Pavia) e 47 comuni a vocazione agricola. All'interno del Parco regionale vi è il Parco Naturale, su cui ha competenza faunistica l'Ente Parco del Ticino (Legge 394/91), che con una superficie di 20mila ettari comprende il percorso del fiume, boschi e campi coltivati.

 

Un esemplare di cinghiale nel Parco del Ticino

Un esemplare di cinghiale nel Parco del Ticino

(Fonte foto: Archivio Parco Ticino)

 

Direttore, partiamo dalla peste suina africana, qual è la situazione all'interno del Parco Naturale?
"Qui abbiamo circa 1.250 aziende agricole e oltre un centinaio di allevamenti di suini, in nessuno dei quali è stata rilevata la presenza del virus della peste suina africana. Questa patologia è stata rilevata in allevamenti localizzati nella provincia di Pavia, non lontano dai nostri confini, in cui si sono già attivate le misure di contenimento".

 

L'Ente Parco è fra le istituzioni che hanno in carico la sorveglianza precoce della Psa attraverso il monitoraggio per individuare eventuali carcasse di cinghiale. Come procede questa attività?

"In accordo con il Servizio Veterinario Regionale abbiamo dato incarico a quaranta operatori di sorvegliare il territorio alla ricerca di eventuali carcasse di cinghiali, che come sappiamo possono essere fonte di contagio. Ad oggi, tuttavia, anche nella nostra porzione in provincia di Pavia, non abbiamo trovato animali morti".

 

Il virus non circola dunque tra i cinghiali?
"Questo non possiamo dirlo con certezza, ma il fatto di non aver trovato carcasse lascia pensare che il contagio all'interno degli allevamenti sia stato causato da altri fattori, come l'ingresso di suini provenienti da altri allevamenti o tramite persone e merci. Sembra invece difficile che sia stato veicolato dai cinghiali, che oltre a non dare segni di malattia difficilmente possono entrare in contatto con i maiali degli allevamenti".

 

Qual è il suo giudizio sull'impatto del cinghiale sugli ecosistemi del Parco?
"Il cinghiale oggi preponderante in Italia è di origine alloctona ed è quindi alieno ai nostri ambienti. A causa della sua prolificità e alla spiccata polifagia è in grado di colonizzare velocemente ambienti diversi, anche in contesti periurbani, come abbiamo visto. Una volta insediato su un territorio la ricerca di cibo provoca una pressione eccessiva sugli ecosistemi, stravolgendo gli equilibri naturali. Inoltre è estremamente dannoso per l'agricoltura".

 

All'interno del Parco del Ticino vi sono circa 1.200 aziende agricole

All'interno del Parco del Ticino vi sono circa 1.200 aziende agricole

(Fonte foto: Archivio Parco Ticino)

 

All'interno del Parco come gestite questo problema?
"Come Parco abbiamo adottato un Programma di contenimento del cinghiale e programmiamo con frequenza gli abbattimenti. Su questo fronte ci facciamo aiutare dagli Operatori Faunistici Volontari (Ofv), in genere cacciatori che dopo aver seguito un apposito programma di formazione e con il coordinamento dei nostri Guardia Parco sono autorizzati ad abbattere i cinghiali all'interno del Parco".

 

Si è instaurata una sorta di alleanza tra il Parco e il mondo venatorio?
"I mezzi che abbiamo a disposizione non sarebbero sufficienti ad effettuare gli abbattimenti, che ogni anno sono più di seicento. Gli Ofv, il cui ruolo è regolato dalla Legge 394 del 1991, hanno le competenze venatorie necessarie ad eseguire le battute in sicurezza, coordinati dal nostro Ufficio Tecnico, e sono quindi un prezioso aiuto".

 

Dopo gli abbattimenti cosa ne è delle carcasse di cinghiale?
"Vengono portate in diversi Centri di stazionamento temporaneo, alcuni realizzati recentemente grazie ai fondi della Regione, dove i veterinari dell'Ats, Azienda di Tutela della Salute, effettuano i controlli di routine e, in provincia di Pavia, anche quelli legati alla Psa. Se gli animali superano tali test vengono poi conferiti ai Centri di lavorazione della selvaggina, dove la carne viene processata per essere poi venduta".

 

La selvaggina diventa quindi una fonte di introiti per il Parco?
"I ricavi che si ottengono dalla vendita delle carcasse non coprono neppure lontanamente i costi di gestione del cinghiale. E se consideriamo i danni che questo animale sta causando al nostro territorio il bilancio è assolutamente negativo".

 

Non si può dunque parlare di una "filiera" della carne di cinghiale?
"Non la definirei una filiera, poiché implicherebbe qualcosa di stabile nel tempo, mentre noi vorremmo eliminare il prima possibile il problema del cinghiale. Per ora stiamo solo cercando di gestire al meglio gli abbattimenti".

 

La peste suina africana ha tassi di mortalità molto elevati, anche oltre il 90%. Non può essere considerata una opportunità per eradicare la specie?
"Se il contagio di Psa dovesse espandersi l'impatto sul tessuto produttivo agricolo sarebbe enorme. Basti pensare che in Lombardia si concentra metà della produzione di suini italiana, che a sua volta alimenta filiere importantissime, come quella del prosciutto o dei tanti prodotti di eccellenza a scala locale. Se è vero che la Psa potenzialmente può ridurre drasticamente il numero di cinghiali selvatici, è anche vero che causerebbe danni enormi all'economia italiana".

 

Gli abbattimenti che effettuate con l'aiuto degli Operatori Faunistici Volontari sono sufficienti a mantenere la popolazione di cinghiali sotto controllo?
"Effettuiamo costantemente le operazioni di controllo e ogni anno abbattiamo circa seicento esemplari. Tuttavia, sempre nuovi cinghiali attraversano i confini del Parco, giungendo dalle aree limitrofe, come ad esempio l'Oltrepò pavese e le aree alpine e prealpine del varesotto. Inoltre il cinghiale è molto prolifico e dunque il numero di esemplari cresce velocemente".

 

Come se ne esce?
"Serve un coordinamento tra tutti i soggetti coinvolti: enti parco, comuni, province, regioni, Atc e associazioni venatorie, al fine di realizzare Programmi di contenimento di ampio respiro. È veramente importante limitare l'espansione negli ambienti non idonei e nelle aree coltivate. Sicuramente tutti insieme si può fare ancora di più per tenere sotto controllo questa specie".