Per fare un uovo ci vuole una gallina, non è una novità.

I maschi delle razze da uova non servono e la loro genetica li rende inadatti a produrre carne.

Per questo il loro destino è segnato sin dalla nascita.

 

Agli albori dell'avicoltura moderna, negli anni 50 del secolo scorso, era necessario ricorrere a legioni di esperti che a colpo d'occhio distinguevano tra maschi e femmine i pulcini appena nati.

I più bravi si dice venissero dal Giappone. Poi la selezione genetica ha compiuto la grande svolta, differenziando i sessi in base al piumaggio.

Chiunque è in grado di distinguere un pulcino femmina da un pulcino maschio, perché differenti. 


Uno "spreco" da evitare

Ieri come oggi, per quel pulcino maschio non c'è futuro.

Uno "scarto" che nella migliore delle ipotesi può essere riciclato nella catena alimentare per la produzione di alimenti destinati ad altri animali.

Una sorte alla quale vanno incontro ogni anno circa 300 milioni di pulcini in Europa.

Una situazione che oltre a rappresentare uno spreco solleva problemi di carattere etico.

Da tempo se ne discute senza che le proposte sul tavolo vadano oltre al divieto di scartare ed eliminare i pulcini maschi. 


Verso il divieto

Ultima in ordine di tempo è l'identica proposta di divieto avanzata da alcuni ministri dell'Agricoltura degli Stati europei in occasione del Consiglio Agricolo di metà ottobre.

A guidare la richiesta sono Germania e Francia e il commissario europeo alla Sicurezza Alimentare, Stella Kyriakides, propone che tale divieto venga inserito nella prossima revisione delle norme europee sul benessere animale.

Anche l'Italia ha preso posizione su questo tema approvando la legge di delegazione europea che impedisce questa pratica a partire dal 2026.


I "numeri" delle uova

Una scelta che senza opportuni correttivi rischia di incidere sui costi di produzione delle uova e dunque sul loro prezzo.

E' bene ricordare che l'uovo è un'importante fonte di proteine a basso costo, presente nella dieta di miliardi di persone.

 

Prendendo in esame solo il caso dell'Italia, la produzione di uova è di 12 miliardi e 350 milioni (dati Unaitalia riferiti al 2020) per un consumo procapite di 216 uova per anno.

Oltre tremila il numero degli allevamenti di galline ovaiole censite dall'Anagrafe Zootecnica, con oltre 51 milioni di galline "in attività".

Interessante notare che la metà delle galline sono allevate "a terra" e circa il 10 % è distribuito fra allevamenti all'aperto e biologici.

Il rimanente 40% di galline è allevato in gabbie "arricchite" nel rispetto delle norme sul benessere animale.


Le soluzioni

Con ogni probabilità non sarà necessario attendere quattro anni per abbandonare la pratica di scarto dei pulcini maschi.

Si sta infatti lavorando su più fronti per trovare una soluzione capace di evitarla.

La ricerca genetica, da sempre molto avanzata in campo avicolo, sta cercando di mettere a punto linee genetiche che pur mirando ad ottimizzare la produzione di uova nelle femmine, lasci ai soggetti maschi accettabili performance di crescita


Tecnologie innovative

Già operative sono poi le tecnologie per il sessaggio embrionale, dunque prima della schiusa delle uova.

Il sistema permette infatti di predire il sesso del pulcino quando l'uovo è ancora in incubatrice.

Con un microforo che non incide sulla possibilità di schiusa, viene prelevata una piccola quantità di liquido amniotico nel quale si evidenzia la presenza di uno specifico ormone sessuale.

Il sistema è peraltro automatizzato e già in funzione in alcuni impianti.


L'avicoltura è pronta

Il mondo avicolo sembra dunque un passo avanti rispetto alle critiche che gli vengono mosse dai movimenti animalisti e sarà pronto ad accogliere eventuali futuri divieti.

In ogni caso bene ha fatto il legislatore italiano nello stabilire adeguati tempi di adeguamento alla normativa, prevedendo fra l'altro il supporto all'introduzione delle nuove tecnologie.

Perché è intuibile come senza adeguati correttivi si finirebbe con il penalizzare la produzione nazionale ed europea a vantaggio di quanti, fuori dai confini dell'Unione, non sono tenuti al rispetto del benessere animale.

Per questo è stato proposto a livello comunitario di estendere il divieto anche al prodotto di importazione, prevedendo al contempo aiuti alle aziende avicole per far fronte agli obblighi delle nuove normative.