Il caso di peste suina africana su un cinghiale ritrovato morto a Ovada in Piemonte è l'ulteriore dimostrazione che la Sardegna è un territorio sicuro, che ormai ha preso le giuste misure nei confronti del virus, visto che è da circa quattro anni non viene aperto un focolaio e non ha mai (in 42 anni) esportato il sierotipo oltre i propri confini mettendo a repentaglio gli allevamenti di altri territori, come invece avviene in questi giorni.

"È un ulteriore certificato della nostra serietà e capacità di isolare la malattia - afferma il presidente di Coldiretti Sardegna Battista Cualbu che si appella al governatore Christian Solinas - affinché scriva al ministro della Salute e all'Unione Europea per prendere definitivamente atto di questa realtà, sbloccando la possibilità di esportare le carni suine allevate in Sardegna".

Coldiretti Sardegna chiede inoltre che dopo questo primo caso di peste suina in altre regioni della Penisola si accerti "se si tratti di un caso isolato o se invece la diffusione sia fuori controllo" dice il direttore di Coldiretti Sardegna Luca Saba
"Dal primo caso accertato in Germania nell'autunno del 2020 - ricorda Battista Cualbu - abbiamo chiesto anche attraverso il nostro presidente nazionale Ettore Prandini di fermare immediatamente le importazioni di animali vivi provenienti o in transito dalle zone interessate da peste suina per tutelare gli allevamenti nazionali. Purtroppo - constata Cualbu - le maglie larghe adottate nel resto dell'Europa contro una Sardegna che subisce l'embargo da ormai 12 anni (dall'Isola dal novembre del 2011 in via precauzionale non si possono esportare né animali vivi né tanto meno carne fresca o a lunga stagionatura Ndr) stanno permettendo il diffondersi della malattia in tutti i paesi dell'Europa dell'Est mettendo a repentaglio purtroppo anche gli allevamenti italiani".

È da circa 40 mesi che in Sardegna non si verificano focolai di peste suina, dimostrando con i fatti di averla superata dopo aver pagato davvero un prezzo pesantissimo anche con prescrizioni radicali che vietano dal 2011 di esportare qualsiasi tipo di carne suina, nonostante da tempo il virus fosse circoscritto solo ad una zona della Sardegna e ci siano dall'altra allevamenti in bio sicurezza, ormai esempio in tutta Europa.

Secondo le elaborazioni Coldiretti Sardegna sui dati dell'Anagrafe Nazionale Zootecnica, gli allevamenti di suini in Sardegna sono circa 14mila per un totale di circa 180mila capi. La maggior parte degli allevamenti costituiscono un'attività secondaria testimoniata anche dal fatto che circa il 70% di queste aziende alleva anche altre specie animali. Circa il 50% dei suini sono allevati tra Cagliari e il Medio Campidano dove le aziende hanno maggior consistenza di capi. Mentre nelle province di Oristano e Sassari sono presenti il maggior numero di allevamenti. L'Asl di Sanluri ha la più alta densità di capi per chilometro quadrato.

"Stiamo riscontrando due pesi e due misure tra le norme applicate in Sardegna e quelle nel resto dell'Europa con il serio rischio di ritrovarci con un nuovo sierotipo - afferma Pierluigi Mamusa, allevatore di San Gavino e referente del settore suinicolo di Coldiretti Sardegna -. Purtroppo questo dimostra che mentre la Sardegna, nonostante non ci siano focolai di peste suina da quasi quattro anni, è ostaggio di norme severe dall'altra si riscontra molta leggerezza. Nelle zone infette come Polonia, Ungheria, Romania si può addirittura cacciare liberamente con il serio e concreto rischio di esportare il virus".

"Dopo quarant'anni di gogna la Sardegna è divenuta un modello in Europa - sostiene Battista Cualbu -, non esportiamo il virus e lo governiamo nel nostro territorio. Inoltre abbiamo degli allevamenti esempio per biosicurezza. Il governatore deve portare con forza ed orgoglio il nostro esempio al Ministero ed in Europa. Il superamento di tutte le prescrizioni è nei fatti e ciò che succede in altre regioni d'Europa lo dimostra con maggiore evidenza".