L'ipotesi di nuova Pac, post 2027, ha sollevato un coro di no unanime, anche se con sfumature diverse, al 7° Forum Internazionale sulla Gestione del Rischio in Agricoltura che si è tenuto il 27 e 28 novembre scorsi a Roma, organizzato da Asnacodi Italia. La nota contrarietà del Governo rispetto alla proposta formulata dalla Commissione Europea lo scorso luglio, nonostante le concessioni minori comunicate con una lettera lo scorso 9 novembre, è stata ribadita da Giorgio Salvitti, in rappresentanza del Ministero dell'Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste (Masaf). Si sono collegati due europarlamentari come Herbert Dorfmann (Gruppo Partito Popolare Europeo) e Stefano Bonaccini (Gruppo dell'Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo).

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"300 miliardi - ha detto Dorfmann - non sono sufficienti per una Pac efficace ed efficiente. Abbiamo infatti capito che la sicurezza alimentare non è scontata, nemmeno in Europa. L'inserimento della Pac nel nuovo fondo unico significa una rinazionalizzazione della Pac. C'è certo bisogno di flessibilità ma per poter disegnare nuove politiche non si può rinunciare alla 'c' di Pac". Anche Paolo de Castro, oggi presidente dell'Associazione Filiera Italia, sempre in collegamento, ha sottolineato la pericolosità di una rinazionalizzazione delle politiche agricole europee.

 

Mentre Stefano Bonaccini, con toni decisi e battaglieri, ha promesso una manifestazione imponente il prossimo 18 dicembre a Bruxelles quando sono attesi 10mila agricoltori in protesta. "La proposta di bilancio per me è irricevibile - ha detto Bonaccini - tagli di circa il 20% dei fondi per l'agricoltura non sono accettabili. Il fondo unico significa che tutto sarà deciso fra Commissione e Governi nazionali. Io da governatore dell'Emilia Romagna non mi sarei fidato di affidare a Bruxelles e a Roma i fondi che dovevano arrivare nella mia regione. Lo schieramento in Italia è molto ampio, ci sono tutti gli elementi per muoversi in maniera comune e senza divisioni".

 

La proposta presentata a luglio 2025, parte del Quadro Finanziario Pluriennale 2028-2034, gira tutta attorno all'istituzione di un Fondo Unico Europeo (il Fondo di Partenariato Nazionale e Regionale), che non solo accorperebbe i due fondi storicamente destinati a finanziare i pagamenti diretti Pac e gli interventi di sviluppo rurale (Feaga e Feasr), ma metterebbe in un solo calderone anche altri fondi, di altre politiche. Sarebbe quindi un contenitore unico per risorse agricole, rurali, di coesione, anche se con sezioni distinte e vincolate. I Piani di Partenariato Nazionale e Regionale (Ppnr), che sarebbero predisposti dagli Stati e approvati da Bruxelles, sostituirebbero i Piani Strategici Pac. Occorrerebbe quindi coordinare a livello di Stato-Nazione le politiche agricole con le altre politiche. Al di là dell'erosione della dotazione finanziaria per le politiche agricole dovuta all'inflazione, la proposta prevede una riduzione di circa il 20% delle risorse rispetto al settennato precedente e l'incidenza della spesa agricola sul bilancio dell'Unione complessivamente passerebbe dal 31% al 15%.

 

Chi ha fatto sentire forte la sua voce e scandito la sua contrarietà, in qualità di tecnico che poi deve far funzionare i meccanismi, è stato Giuseppe Blasi, responsabile del Dipartimento della Politica Agricola Comune e dello Sviluppo Rurale del Masaf. "A noi questa riforma non piace per niente, né per come è impostata, per il contenitore proposto, per i finanziamenti che sono tagliati, né per l'organizzazione. Noi ci confrontiamo costantemente - ha detto Blasi - con i problemi gestionali tipici del reparto che, trasferito in un contenitore enorme (il fondo unico e di conseguenza i Ppnr, Ndr) ci fa rabbrividire per quello che potrebbe succedere. Non si tratta solo di approvare lo strumento ma anche, nel tempo, di apportare le modifiche".

 

Venendo invece specificamente alla gestione del rischio e alle prospettive che si aprono con la Pac post 2027, Pasquale Di Rubbo, vice capo dell'Unità Policy Perspective della Dg Agri della Commissione Europea, ha spiegato come si articolerebbe la gestione del rischio nella nuova Pac, a partire dal 2028. "La nuova gestione del rischio, nella proposta, entra nella Pac a 360°. Non si tratta solo di strumenti ex post, ma con la nuova programmazione chiediamo agli Stati membri di presentare una strategia complessiva di resilienza, di prevenire i rischi, di gestirli e di trasformare i processi produttivi per ridurre le probabilità di danni in futuro. Bisogna quindi anche lavorare con gli strumenti d'investimento e di trasferimento delle conoscenze, con la cooperazione, con misure agroambientali per arrivare poi a gestire le crisi", ha spiegato Di Rubbo.

 

Pasquale Di Rubbo ha poi analizzato come, nella proposta attuale, le crisi vedono una netta separazione fra calamità naturali e crisi di mercato. Per le crisi di mercato c'è una dotazione di 900 milioni l'anno (è la cosiddetta Unity Safety Net con 6,3 miliardi per l'intero periodo, Ndr). "È una dotazione che spetta ed è limitata al mondo agricolo", ha specificato. Poi ha aggiunto che "per le calamità introduciamo i pagamenti per la gestione delle crisi da calamità naturali, comprese epizoozie e fitopatie. Lo Stato membro poi potrà riprogrammare il piano nazionale e spostare fino all'1% delle risorse dal fondo unico. Sono risorse che non si devono attivare ex ante, ma si possono attivare ex post".

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Pur rimanendo fortemente critico e contrario alla proposta della Commissione Europea, Albano Agabiti, presidente di Asnacodi Italia, ha sottolineato ciò che c'è di positivo, rispetto alla gestione del rischio. "Credo che, per quanto riguarda la gestione del rischio, sia positivo il fatto che possiamo andare avanti seguendo la traiettoria che noi abbiamo imposto all'Europa e che oggi è oggetto delle politiche comunitarie. Con la nostra immaginazione e creatività starà a noi migliorare".

 

Mentre il professore Angelo Frascarelli dell'Università degli Studi di Perugia, da sempre fine analista delle politiche agricole europee, ci ha detto: "Sulla gestione del rischio, l'Ue darà più potere agli Stati membri. Se dobbiamo costruire un buon sistema, occorre lavorare da subito perché il 90% sarà deciso a livello nazionale. E per quanto riguarda la gestione del rischio attiva, più responsabilità agli Stati membri vuol dire anche allocare le risorse fra i vari interventi. In questi interventi ci possono essere anche strumenti di difesa attiva e quindi sarà l'Italia che deciderà quante risorse mettere. Per esempio non possiamo immaginare che si risolva il problema della siccità con le assicurazioni. Il problema si risolve con l'acqua, con gli invasi, e allora l'Italia potrebbe, con la nuova Pac, destinare più risorse all'irrigazione agli invasi".

 

Nuova Politica Agricola Comune e gestione del rischio

 

E Camillo Zaccarini Bonelli di Ismea, contrario alla riduzione dei fondi Pac, fa di necessità virtù e guarda al bicchiere mezzo pieno. "Se le cose saranno così, personalmente, penso che la prospettata riduzione degli aiuti diretti, in qualche modo, porterà ad allargare la base assicurativa perché qualcuno dovrà intervenire a supportare le aziende", ha affermato Camillo Zaccarini Bonelli. E l'allargamento della base assicurativa è proprio ciò di cui ha bisogno il sistema della gestione del rischio passiva.

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