Questi avrebbero osservato una correlazione fra numero di contagiati e valori fuori soglia di particolato sottile. Fra il 10 e il 29 febbraio si sarebbero infatti registrati superamenti delle soglie ammissibili di particolato atmosferico (50 µg/mc), assistendo poi a un innalzamento delle positività dopo circa 14 giorni, assunti dai ricercatori come necessari perché il virus potesse palesarsi.
Di rimando, un invito alla prudenza è arrivato il 20 marzo dalla Società italiana di aerosol, la quale ha sollecitato maggiori certezze in tema di causalità. Del resto, i mesi invernali sono quelli a maggior incidenza di malattie alle vie respiratorie, ma sono anche quelli a maggior presenza di polveri sottili, soprattutto per via dei riscaldamenti. Quindi oltre alla correlazione temporale serve anche la dimostrazione che l'eventuale carica virale sul particolato sia anche sufficiente a provocare nuove infezioni. E in tal senso le prove ancora non ci sono.
In attesa che virologi ed epidemiologi trovino risposte o meno, può essere quindi utile analizzare i fatti avvenuti successivamente allo scambio di pareri di cui sopra. Magari iniziando a riportare i dati reali su quanto l'agricoltura nel suo insieme contribuisca al particolato sottile atmosferico.
Le accuse alla zootecnia, infatti, derivano dalla seguente elucubrazione: se le province di Lodi, Bergamo, Cremona e Brescia sono le più colpite dal Covid-19 e hanno un'alta densità di animali allevati, fra le due variabili ci deve per forza essere una correlazione. Così, per fortuna, pare non sia affatto. Peraltro, nessuno ha notato come Mantova, anch'essa di buona impronta zootecnica, non sia fra le province più colpite. Lasciamo quindi da parte le illazioni e facciamo parlare i numeri.
Agricoltura e polveri sottili
Premessa: PM10 sta per Particulate matter, ovvero il particolato sottile atmosferico proveniente da fonti tra le più disparate. Il numero 10 significa che tale particolato ha un diametro di 10 µm (micrometri). Poi c'è anche il PM2.5 che quanto a diametro arriva a soli 2,5 µm. Questo può anche essere di origine secondaria, cioè creatosi spontaneamente in aria a seguito di reazioni avvenute fra diversi gas presenti, uno su tutti l'ammoniaca. E in effetti quest'ultima vedremo essere causata quasi totalmente dalla zootecnia. Per fortuna i sistemi di mitigazione ci sono: ci si deve decidere velocemente ad ampliarne la diffusione anche tramite specifici contributi.Quanto a fonti del particolato atmosferico, un riassunto dei dati italiani lo ha fornito Giuseppe Pulina, Presidente onorario dell'Associazione per le scienze e le produzioni animali (Aspa) e presidente di Carni sostenibili, il quale ha anche riportato il caso della nube di particolato sottile proveniente dal Mar Caspio. Un evento le cui dinamiche si approfondiranno meglio in seguito. Ovviamente, il comparto zootecnico respinge al mittente le accuse di essere lui a causare i problemi all'oggetto. E a quanto pare ne ha tutte le ragioni.
Guarda il video di Giuseppe Pulina:
Entrando più in dettaglio sulla sola Regione Lombardia, Arpa riporta un 43% di contributi di PM10 da parte dei riscaldamenti, del 25% dai trasporti, il 9% dall'industria e il 6% dall'agricoltura. Questa sarebbe invece responsabile del 98% della presenza di ammoniaca, soprattutto nelle aree rurali. E l'ammoniaca, come detto, è parte significativa della costituzione di PM2.5 secondari.
Il primato per gli NOx spetterebbe invece al traffico automobilistico, con il 59%, seguito dall'industria con il 17% e dai riscaldamenti col 9%. Agricoltura? Solo l'1%. Valori simili sono riportati per il "macrosettore padano". I riscaldamenti salgono in tal caso al 56% dei PM10 seguiti dai trasporti col 20%. L'agricoltura segnerebbe solo i 4%. Per gli NOx i trasporti inciderebbero per il 50%, l'industria per il 15%, i riscaldamenti per il 9%, le raffinerie per il 6% e l'agricoltura ancora per l'1%.
Non cambia purtroppo la forte predominanza agricola per la produzione di ammoniaca: 97%. Come detto sopra, questo è il fronte sul quale impegnarsi maggiormente dal punto di vista dei già disponibili strumenti di mitigazione, come i macchinari per l'interramento di liquami, nonché i digestori per la produzione di biogas.
L'evento del Mar Caspio
Osservando ancora i dati di Arpa Lombardia, fra il 28 e il 29 marzo si è registrato un picco di polveri sottili in diverse postazioni lombarde, in special modo PM10. Molto inferiori i PM2.5, quelli in buona parte di origine secondaria. Una diminuzione tanto marcata, quella deiPM2.5 rispetto ai PM10, da determinare una variazione significativa nel rapporto fra i due particolati. Quindi, iniziamo col dire che la zootecnia si può escludere come causa di tale fenomeno improvviso.Ad aumentare sarebbe stata infatti solo la frazione con le particelle di maggiori dimensioni, mostrando un incremento tanto brusco quanto importante. A Mantova, per esempio, si è passati in un giorno (28 marzo) da 58 µg/mc a 125. A Milano due punti di campionamento (Marche e Verziere) hanno segnato rispettivamente un salto da 38 a 125 µg/mc il primo e da 24 a 138 µg/mc il secondo. A Ponti sul Mincio le polveri sottili sono salite da 31 a 143 µg/mc, mentre a Sannazzaro de' Burgondi (PV) da 27 a 101 µg/mc.
Per contro, Arpa Lombardia conferma che i dati sugli spandimenti dei liquami zootecnici sarebbe in linea nel 2020 con i valori del 2019. Quindi, quell'onda di polveri sottili non la si può attribuire certo agli allevatori. Cosa avrebbe allora generato tale perturbazione di fine marzo?
Il dito viene puntato proprio sulla citata onda proveniente dal Mar Caspio tramite correnti d'aria cariche di polveri sottili figlie di una “dust storm”, ovvero una tempesta di polvere. Questa corrente sarebbe giunta in Italia fra il 26 e il 29 marzo, tanto da far alzare i valori atmosferici in quasi tutta la Pianura Padana e ingiallendo di pulviscolo i filtri delle centraline di molte città italiane, a partire da quelle venete.
Stando ad Arpav si sarebbe passati infatti da valori medi storici del periodo, fra i 20 e i 30 microgrammi per metro cubo, a concentrazioni nell'ordine delle centinaia di microgrammi. Sono stati infatti toccati i 164 µg/mc nel parco dei Colli Euganei, mentre nelle stazioni dislocate fra Mestre e Venezia i valori sarebbero stati fra un minimo di 226 e un massimo di 239 µg/mc. Circa uguale la Marca Trevigiana, con punte di 225 µg/mc in Treviso città. Un po' meglio a Mansuè e Conegliano, con 195 e 167 µg/mc rispettivamente. Scendendo verso Sud-Ovest i dati risultano comparabili, toccando i 171 ad Adria (RO) per poi scendere a Legnago (VR) a 142. Spetta però alla slovena Lubiana il record, con 400 µg/mc.
L'ondata di particolato orientale ha quindi schiacciato ogni altra fonte locale, di qualsiasi origine e tipo. Incluse soprattutto quelle agricole, divenute particolarmente insignificanti in tale frangente. Ma questo riguarda solo una fase di tutta l'epidemia, nata in Italia a febbraio e ancora non finita, purtroppo. Quindi vediamo l'andamento dei contagi dopo che è stato emesso il position paper italiano e dopo il passaggio della nuvola di particolato.
Trend dei contagiati
Chiarito quindi che l'agricoltura in sé ha contribuito davvero poco all'ammontare totale di polveri sottili, vediamo ora i trend di contagiati rispetto a quanto accaduto in Pianura Padana fra il 26 e il 29 marzo. Partiamo dai dati nazionali: il picco dei contagi si sarebbe raggiunto il 21 marzo con 6.557 nuovi contagi su base giornaliera. Poi, da lì, la discesa, seppur in modo altalenante. Ma il trend è inequivocabile, mostrando come il calo nei nuovi positivi sia giunto dopo l'ondata di polveri sottili arrivate da Oriente.Anche considerando una latenza di 10-14 giorni, giusto per dare il tempo al virus di manifestarsi, ci si ritrova nella seconda settimana di aprile. Lì, se fosse vera la tesi per la quale il particolato esalta le potenzialità del virus di creare nuovi contagi, avremmo dovuto misurare un picco significativo di nuovi infettati. Invece il 7 aprile si era scesi a 3.039, tornando a 4.694 l'11 aprile e ridiscendendo a 2.667 il 15 aprile. Anche i valori riferiti alla media settimanale, non giornaliera, confermano comunque tale trend, con il valore più alto intorno al 26 marzo (5.643 contagiati), decrescendo poi progressivamente fino al 17 aprile (3.551 contagiati).
Analizziamo ora i trend specifici delle Regioni più colpite dal Coronavirus, ovvero Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte e Veneto. Tutti i dati sono espressi in percentuale e relativi al periodo 20 marzo - 17 aprile, ovvero dopo i position paper dei ricercatori italiani e della Società Italiana di Aerosol. Si è giunti fino al 17 aprile in quanto sono circa le tre settimane successive al fenomeno atmosferico inquinante venuto dal Mar Caspio. Un lasso temporale sufficiente per consentire al virus di palesarsi in modo completo. Se infatti le polveri sottili avessero un chiaro effetto sui casi di coronavirus, un'ondata come quella verificatasi a fine marzo avrebbe indotto un aumento significativo dei contagi. Un aumento che peraltro si attenderebbe perdurare diversi giorni per via dei differenti tempi di risposta delle persone infettate.
Lombardia
Il valore più alto nel grafico è del 23 marzo. Da lì le positività hanno continuato a scendere, seppur in modo altalenante, fino al 13-14 aprile, quando si è palesato un picco di modeste dimensioni, calando subito dopo. Ciò sarebbe quindi avvenuto a distanza di circa 16-17 giorni dal passaggio del particolato sottile “straniero” e sarebbe durato solo due giorni. Difficile vi sia quindi una correlazione fra i due fenomeni. Difficile, ma non del tutto impossibile. Di certo, il fenomeno non è stato affatto elevato come invece ci si sarebbe dovuti attendere se fra polveri e Covid-19 vi fosse davvero una correlazione spiccata.
Emilia-Romagna
Valore massimo riscontrato nel periodo considerato: 20 marzo. Praticamente uguali i dati di 23 e 24 marzo. Purtroppo, nei dati emiliano romagnoli mancano proprio i due giorni immediatamente successivi al passaggio della nube di particolato. Comunque, rispetto al valore di positivi del 28 marzo vi sarebbe stato un picco il 2 aprile, cioè a 4-5 giorni di distanza: onestamente davvero troppo poco. Poi, la discesa, sempre molto altalenante. Tanto altalenante da mantenere un sano scetticismo sul leggero picco verificatosi il 13 aprile, sovrapponibile a quello visto in Lombardia. Pare più un'oscillazione che un vero e proprio picco. Ancora, da un macro fenomeno come quello passato sulla Pianura Padana ci si dovrebbe infatti aspettare un'incidenza ben più marcata sui numeri, sia per entità, sia per lunghezza temporale.
Piemonte
Anche in Piemonte, come in Lombardia e in Emilia Romagna, la massima concentrazione rilevata si posiziona all'inizio del periodo considerato, ante “dust” orientale, quindi. L'impennata da circa 20 a poco meno di 50 positivi su 100 si è verificata 7-8 giorni dopo il fenomeno atmosferico ed è immediatamente precipitata poco sopra al 10% nel volgere di tre soli giorni. Un comportamento che appare quindi molto diverso rispetto sia alla Lombardia, sia all'Emilia-Romagna. Anche in questo caso si dubita fortemente che il particolato transitato sulla Pianura padana abbia lasciato traccia di sé in termini di contagi, nonostante il lieve incremento mostrato in Piemonte proprio verso il 14 aprile, vagamente coerente con quelli già visti sopra.
Neanche in Piemonte il passaggio della nube di particolato pare aver impennato i contagi, i quali sono progressivamente scesi, per lo meno come trend. Il picco a 7-8 giorni appare infatti troppo anticipato e ristretto per essere attribuibile alle polveri sottili transitate sulla Regione
Veneto
Prima Regione ad essere investita dalle correnti corpuscolate giunte da Est, ma anche la meno colpita soprattutto in termini di contagi assoluti. I numeri di positivi sono infatti molto più bassi che nelle altre tre Regioni sopra citate. Anche dal punto di vista delle percentuali sul totale dei tamponi il Veneto si stacca nettamente, con un picco il 27 marzo, il cui valore è seguito dappresso da quello rilevato il 21 dello stesso mese, in linea quindi con le altre tre Regioni. Quel dato del 27 marzo è però praticamente coincidente con il transito delle correnti inquinanti, quindi si può escludere sia ad esse dovuto. Poi, il calo prosegue fino a dati a una sola cifra percentuale. Pare cioè che il passaggio di una gran copia di particolato sottile non abbia minimamente spostato i contagi in Veneto, a conferma dello scetticismo già palesato per le altre tre Regioni.
Andamento completamente differente in Veneto, con i dati che non mostrano alcuna influenza sui contagi dovuti al passaggio di una significativa corrente di polveri sottili. Il picco rilevato il 27 marzo non può ovviamente riferirsi a eventuali effetti delle polveri sottili giunte da Oriente
Conclusioni
Analizzando i trend dei contagi, questi non sarebbero stati influenzati dall'ondata inusuale e significativa di polveri sottili giunte sul Nord Italia. Ogni Regione ha infatti mostrato andamenti differenti, anche in termini di tempi in cui si sono manifestati i picchi, più o meno marcati che fossero. Difficile appare quindi provare la tesi "particolato-Covid" espressa dai ricercatori italiani.Ancor meno provata appare a maggior ragione la sotto-tesi per la quale gli allevamenti zootecnici avrebbero influito sui contagi tramite la produzione di particolato sottile. Non solo perché i contributi agricoli, come visto, sono alquanto modesti rispetto ad altre fonti, ma anche perché le polveri sottili stesse non pare abbiano influito affatto sull'epidemia.
Nonostante ciò, qualche sedicente trasmissione di inchiesta si è subito gettata sul ghiotto scoop anti-zootecnia, diffondendo informazioni che alla luce dei dati sono del tutto fuorvianti. Per giunta, sorge un dubbio: se i riscaldamenti domestici producono molte più polveri sottili dell'agricoltura nel suo insieme e della zootecnia in particolare, a quando una puntata che intimi alla gente di spegnere stufe e caloriferi?