E' recente la notizia dell'abbattimento di qualche centinaio di suini in Sardegna. La loro colpa è stata quella di essere al pascolo, privi di custodia e di qualunque registrazione che consentisse di risalire al legittimo proprietario.

La vicenda ha sollevato non poche polemiche, chi per lamentare la cattiva sorte toccata agli animali, chi per il danno arrecato allo sconosciuto allevatore. Poi, dopo l'esame degli animali abbattuti, si è scoperto che la quasi totalità (il 75% per la precisione) di questi animali era affetto da Peste suina africana.

Non stupisce allora che in Sardegna, dove per antica consuetudine i suini sono lasciati liberi di pascolare dove vogliono, rifuggendo da qualunque controllo sanitario, la Peste suina africana sia presente da circa 40 anni, a dispetto delle campagne di lotta contro questa malattia, costate alla collettività milioni di lire prima e di euro poi.

Ora si è passati alle maniere forti, con la decisione di lottare con fermezza contro il pascolo brado illegale di suini non registrati e senza controllo sanitario. Era ora, verrebbe da dire. Ma vediamone il perché.
 

Virus resistente

Quasi lo sapesse, il virus della Peste suina africana sceglie proprio i suini al pascolo, meglio se scarsamente accuditi, come serbatoio di sopravvivenza, nel quale proliferare e diffondersi con facilità.
In grado di resistere a lungo nell'ambiente esterno, questo virus può restare attivo per settimane per poi diffondersi con facilità per numerose vie, comprese le carni degli animali infetti.

E' per questo motivo che le carni suine della Sardegna non possono abbandonare l'isola, dove la malattia è confinata, mentre il resto della Penisola ne è indenne.
 

Trappola infernale

Se anche un solo caso si verificasse in un'altra regione italiana, per tutto il settore scatterebbe una trappola infernale, fatta di blocco degli allevamenti e, peggio ancora, con lo stop alle esportazioni.

Una debacle per le eccellenze italiane che escono dai tanti salumifici e prosciuttifici sparsi per lo Stivale. Uno smacco per la credibilità dell'intero settore agroalimentare.
 

Il pericolo viene da Est

Dunque bisogna tenere alta la sorveglianza, tanto più che la Peste suina africana sta premendo ai confini orientali dell'Europa e ci minaccia sempre più da vicino.

Assente dall'Europa (con l'eccezione della Sardegna), la Peste suina africana si è presentata nel 2007 nel Caucaso, dove si è rapidamente diffusa nella fitta rete di allevamenti rurali.
Da lì si è spostata a Nord (verso Sud si incontra la Turchia, dove gli allevamenti di suini sono assenti), veicolata con inaspettata rapidità da merci e persone che ne hanno favorito la diffusione a grande distanza. Così focolai di questa malattia sono stati segnalati in Polonia e poi in Estonia, Lituania e Lettonia.
 

Prevenire, unica arma

Per difendersi da questa malattia non ci sono cure e nemmeno vaccini (sono però allo studio).
L'unica arma è la prevenzione e drastiche misure di controllo.
Il pericolo di una recrudescenza della malattia è elevato, tanto più con l'aumento della popolazione di cinghiali (anche loro sono un serbatoio di sopravvivenza del virus) che si registra un po' ovunque.

Se a questo si aggiunge il pascolo incontrollato e l'alimentazione degli animali con scarti di cucina (è vietato), lo scoppio di nuovi focolai si fa sempre più concreto. Il ricordo dei 400 allevamenti sardi colpiti dal virus e dei 17mila suini abbattuti e distrutti nel 2004 dovrebbe convincere tutti che con la Peste suina africana non si può abbassare la guardia.