È notizia dei giorni scorsi, riportata anche dal Financial Times, il più importante quotidiano economico europeo, che la Cina ha adottato una strategia articolata per contenere i prezzi dei suini, alla luce degli aumenti di prezzi che hanno caratterizzato questo importante alimento per la cultura cinese.

Pechino, scrive infatti il Financial Times, “si è impegnata a immettere sul mercato parte delle sue scorte, nel tentativo di contenere il costo dell'alimento proteico. Quando si parla di carni suine, la Cina guida il mondo, sia in termini di offerta, sia in termini di domanda. Ma, anno dopo anno, l'aumento della classe media ha portato il maiale su un numero sempre maggiore di tavole - e determinato un'impennata dell'inflazione”.
A marzo – prosegue il Financial Times - il maiale è stato oggetto di particolare attenzione, dopo che il prezzo ha registrato una crescita del 28,4% su base annua, contribuendo con 0,64 punti percentuali a un'inflazione del 2,3 per cento”. Tanto che il prezzo al chilogrammo di maiale ha superato il picco registrato nel 2011.

Secondo le ultime stime, diffuse a gennaio, le scorte cinesi di scrofe ammontano a poco meno di 38 milioni di capi, in calo rispetto al picco massimo di oltre 50 milioni toccato alla fine del 2012. Di conseguenza, le importazioni sono in aumento.

AgroNotizie ha chiesto al professor Gabriele Canali, docente di Economia agraria all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza e Cremona, direttore del Centro di ricerca delle filiere suinicole (Crefis) e - da alcune settimane - anche consulente del ministero delle Politiche agricole, un commento sulla notizia.

Come è noto, la Cina è il principale produttore e consumatore mondiale di carni suine – osserva Canali -. Ciò che forse è meno noto è che le previsioni per i prossimi anni segnalano una crescente dipendenza di questo Paese da importazioni di questa particolare tipologia di carni. L’aumento dei redditi medi dei cinesi, infatti, impatta soprattutto sui consumi di carni e in particolare sulla domanda di carni avicole e suine. Ma mentre per la produzione nazionale di pollame i problemi sono relativamente meno importanti, per la filiera delle carni suine i problemi non mancano”.

Che tipo di problemi?
Innanzitutto, esiste una questione di approvvigionamento di materie prime da usare per l’alimentazione, in particolare mais e soia. Ciò spiega la grande attenzione che il ministero dell’Agricoltura cinese ha dedicato, e continua a dedicare, a queste due produzioni. È di questi giorni la decisione di promuovere un aumento delle superfici a soia, dopo che gli stock cinesi di mais hanno raggiungo livelli decisamente elevati, e considerati i prezzi relativamente bassi anche sul mercato internazionale”.

Qual è lo scenario per la suinicoltura?
C’è ancora molto da fare per raggiungere livelli di competitività accettabili. Le ragioni di questa crisi della produzione di carni suine vanno individuate in allevamenti non efficienti, nello sviluppo di diverse patologie, nella forte diminuzione del parco scrofe negli ultimi anni, nelle inefficienze diffuse in tutta la filiera. Ragioni per le quali la Cina è un mercato sempre più interessante per le produzioni europee”.

Anche per quelle italiane?
Certamente. E per questo è ancor più importante che si concluda quanto prima l’iter per l’apertura delle nostre esportazioni verso questo Paese. Sono già stati fatti tutti i passi necessari dal Mipaaf e dal ministero della Salute, oltre che dal ministero degli Esteri. Ora manca solo l’atto finale, che - speriamo - arrivi prima possibile. Peraltro, la possibilità di vendere in Cina potrebbe rappresentare un importante contributo al miglioramento delle condizioni economiche sul nostro mercato suinicolo nazionale”.

Quando si pensa alla Cina si fa riferimento, forse sbagliano, a un colosso che non bada molto alla sicurezza alimentare…
Ed è sbagliato. La Cina è particolarmente sensibile in generale rispetto al tema della sicurezza alimentare, sia in termini di safety, e cioè di sicurezza sanitaria, sia in termini di security, intesa come sicurezza degli approvvigionamenti. E quest’ultimo tema, che ha giustificato anche tanti investimenti in giro per il mondo, dal land grabbing in paesi africani, asiatici e sud americani, all’acquisto della Smithfield, la principale multinazionale Usa della lavorazione e del commercio di carni suine, è rilevante soprattutto dal punto di vista del controllo dell’accessibilità dei consumatori a questi prodotti”.

La suinicoltura è dunque un settore strategico per Pechino?
Sì. Decisamente. È centrale per la Cina tenere sotto controllo il prezzo medio di vendita dei prodotti alimentari, e in particolare della carne suina, a livello di dettaglio. La Cina non vuole che il prezzo delle carni suine aumenti troppo al suo interno. E a questo scopo è disposta a mobilitare anche importanti risorse”.