Nella seconda metà del 2015, è ipotizzabile che la situazione dei prezzi del latte troverà una progressiva normalizzazione, standardizzandosi tuttavia su valori migliori rispetto agli attuali, ma non così vicini ai picchi toccati un anno fa, quando il prezzo alla stalla in Lombardia arrivò a 44,50 euro/100 chilogrammi.
Le produzioni di latte a livello europeo sono in aumento. Nel periodo gennaio-ottobre 2014 (fonte: Eurostat) le consegne di latte nell’Ue-27 hanno toccato quota 124.701.000 tonnellate, il 4,80% in più sullo stesso periodo dell’anno precedente. Nel mosaico dei diversi Paesi comunitari, si va dal +2,52% dell’Olanda al +3,53% dell’Italia, al +4,06% e +4,09% rispettivamente di Germania e Francia, fino al +8,36% dei Paesi Baltici. Il trend potrebbe aver seguito un andamento accelerato anche negli ultimi due mesi del 2014 (anche se le produzioni francesi nell’ultima settimana dello scorso anno si sono rivelate inferiori rispetto allo stesso periodo del 2013), ma non è così scontato.
È l’ultimo giro di valzer delle quote latte – gli olandesi hanno fissato con il prossimo 1 aprile la “Festa della Liberazione” – e gli allevatori non sarebbero così propensi a dover subire l’ennesimo prelievo forzoso, per quanto sia l’ultimo dell’era delle produzioni controllate. Motivo per cui non è esclusa una decelerazione delle produzioni, per evitare splafonamenti eccessivamente onerosi per gli allevatori, soprattutto in una fase in cui il prezzo del latte in tutta Europa si mantiene su livelli mediocri.
A livello europeo manca una posizione univoca per valorizzare il prodotto. L’Italia ha avanzato l’ipotesi – non del tutto chiara nei suoi meccanismi – del Fondo Latte di Qualità, un plafond di 110 milioni di euro spalmato nel triennio 2015-2017, per assicurare agli allevatori in regola con le quote (e le multe) la possibilità di investire.
L’Irlanda del ministro all’Agricoltura Simon Coveney chiede di poter alzare i prezzi base di intervento, con l’obiettivo di aumentare gli stock di polveri di latte e burro e decongestionare da una fase di sovrapproduzione il mercato europeo, asfittico anche (ma non solo) per effetto dell’embargo russo. Alcuni esperti ritengono che questa possa essere una strada percorribile, ma non con risultati automaticamente positivi nel breve termine.
I consorzi di tutela del Grana Padano e del Parmigiano-Reggiano non si sono espressi in materia. Per quale motivo? Eppure entrambi i grandi formaggi Dop italiani stanno attraversando una fase di profonda sofferenza. I listini sono impietosi: 6,48 euro/kg per il Grana Padano (stagionatura 10 mesi, piazza di Mantova, 29 dicembre 2014), che significa una flessione del 13,67% rispetto ai 12 mesi precedenti; per il Parmigiano-Reggiano la Borsa merci di Milano dello scorso 29 dicembre conferma 7,50 euro/kg, ovvero un calo del 14,77% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Sorge spontanea una domanda: tale diminuzione è dovuta a un eccesso di offerta o è fisiologica e indipendente dai volumi?
Secondo gli operatori francesi è giunto il momento di affrontare il mercato libero dall’aprile 2015 attraverso un adeguato sistema di controllo, con l’obiettivo di disincentivare la produzione di latte. Ma se i francesi, con il beneficio del dubbio, potessero fronteggiare un nuovo sistema contabile tutto ancora da definire, siamo sicuri che l’Italia – che ha già mostrato di aver fallito con le quote – saprà districarsi con nuovi paletti?
Negli Stati Uniti, che in una lunga fase del 2014 hanno visto i prezzi del latte alla stalla in ascesa, è stato comunque predisposto un sistema di assicurazione all’interno del Farm Bill. Si tratta del Market Protection Project (Mpp). Questo per evitare di subire crolli (o rialzi) eccessivi, di fronteggiare variabili impazzite (ad esempio la siccità) e di non poter sostenere la politica di investimenti nelle stalle che parte degli allevatori a stelle e strisce ha adottato negli ultimi 12 mesi.
Il sistema assicurativo potrebbe essere applicato anche in Europa, purché venga studiato un programma di fattibilità a medio-lungo periodo, sostengono gli esperti di Clal. Ma dagli Stati Uniti e dall’area anglosassone potrebbero essere mutuati anche i futures, in grado di garantire non soltanto i produttori, ma anche gli operatori che acquistano.