La vecchia rateizzazione non si tocca, né si riaprono i termini per chi ci avesse ripensato; e per chi non ha pagato anche una sola rata, oltre a decadere dal diritto alla rateizzazione, scatta come penale anche la revoca delle quote latte aggiuntive.
E’ questo il responso del Consiglio di Stato, al quale si era rivolto la scorsa estate il ministero delle Politiche agricole, su sollecitazione della direzione di Agea.
Secondo tale parere, la normativa nazionale sarebbe in contrasto con il dispositivo previsto dalla legge n. 33/2009.
Si tratta della norma con la quale l'Italia aveva recepito l’accordo raggiunto a Bruxelles nel 2008, quando l’allora ministro delle Politiche agricole, il leghista Luca Zaia, aveva ottenuto per l’Italia un consistente aumento della quota latte nazionale (circa 600mila tonnellate), girate poi come priorità proprio agli allevatori più multati, in cambio dell'impegno a pagare le multe nel frattempo accumulate.
Per il saldo del debito, Bruxelles aveva avallato un periodo molto ampio - per gli importi più elevati si poteva arrivare anche fino a 30 anni - con rate costanti e con importi e interessi fissi. Paletti più rigidi, rispetto alla maggiore flessibilità della citata legge 44, che prevede anche la variabilità della rata a seconda delle condizioni di solvibilità del singolo debitore.
Ed è proprio questo contrasto sulle modalità di rateizzazione, si deduce dalle argomentazioni richiamate nel parere espresso, a escludere l’applicabilità della legge 44/2012 ai conti in sospeso sulle multe latte.
Il debito degli allevatori nei confronti dello Stato, che nel frattempo ha già subito la “trattenuta alla fonte” da parte dell’Unione europea sulle liquidazioni finanziarie riconosciute all’Italia, ammonta a circa 700 milioni di euro, riferiti solo ai cosiddetti crediti esigibili.
Ma nell’ingloriosa gestione delle multe latte degli ultimi vent'anni, c’è un buco molto più elevato: si tratta di circa 1,7 miliardi di euro, che restano ancora incagliati nel labirinto di rinvii e sospensive su cui hanno potuto contare i cosiddetti “splafonatori” delle quote latte.