Tutta colpa della Blue Tongue, la malattia “della lingua blu” che in Sardegna e non solo ha colpito allevamenti ovini e bovini. Perché l'emergenza Blue Tongue ne ha fatta dimenticare un'altra, quella della Peste suina africana (Psa), che nascosta in qualche piccolo e isolato allevamento della Sardegna ne ha approfittato per riemergere dall'isolamento nel quale i piani di eradicazione l'avevano relegata, senza però debellarla completamente. E a novembre la Psa si è ripresentata con nuovi focolai facendo scattare l'allarme sanitario. Allarme grave, perché si tratta di una malattia contagiosa per i suini, facilmente trasmissibile, impossibile da prevenire con le vaccinazioni, impossibile da curare. L'unica risposta è l'abbattimento degli animali negli allevamenti colpiti dall'infezione. Tutti abbattuti, sani o malati che siano. E poi l'istituzione di cordoni sanitari attorno al focolaio di infezione per impedire che il virus possa sfuggire. Misure draconiane previste dai regolamenti di polizia di veterinaria che arrecano colpi durissimi agli allevamenti, anche se poi arrivano gli indennizzi. Non sempre puntuali, però, e non sempre adeguati.

 

Malattia subdola

L'indispensabile collaborazione degli allevatori nel portare a compimento i piani di eradicazione è così venuta meno, almeno in qualche caso. E' quanto accaduto in Sardegna, dove la Peste suina africana è arrivata nel 1978 per poi non lasciare più l'isola, con fasi alterne di recrudescenza. Una malattia endemica che sopravvive a causa dell'isolamento di qualche piccolo allevamento dove è abitudine praticare il pascolo, favorendo così il diffondersi del virus . Nel resto d'Italia e in tutta la Ue le cose sono andate diversamente. I piani di eradicazione, pur se “dolorosi” e costosi, hanno dato i loro frutti e oggi la Psa è stata sconfitta. Ma basta un virus nascosto in un pezzo di carne, un insaccato o un gustoso “porceddu”, e la frittata è fatta. La Psa potrebbe tornare a flagellare gli allevamenti europei e saremmo daccapo con abbattimenti e fosse della morte dove bruciare e seppellire migliaia di animali. Scene che le autorità sanitarie di tutta Europa hanno il terrore di tornare a vedere. Ecco spiegato l'altolà che Bruxelles ha decretato nei confronti delle produzioni suinicole provenienti dalla Sardegna. Un blocco inevitabile tenendo conto delle possibili conseguenze sanitarie. Ma che per gli allevamenti sardi professionali, e sono molti, è insostenibile sotto il profilo economico. In situazioni di normalità le carni e gli insaccati prodotti in Sardegna trovano ovviamente sbocco nelle altre regioni italiane e in qualche caso anche all'estero. Bloccare questa possibilità equivale a decretare il fallimento e la chiusura degli allevamenti.

 

Un corridoio sanitario

Da più parti si sono sollevate proteste per la decisione di Bruxelles, che colpirebbe tutti gli allevamenti dell'isola, quelli dove la peste si annida e che di questa emergenza sono responsabili, ma allo stesso tempo anche quelli ad elevata professionalità, che hanno investito nell'igiene e nella prevenzione, testimoniata da continui controlli e verifiche che escludono la presenza del virus della Psa. Forti allora si sono levate le richieste di aprire un “corridoio sanitario” dal quale fare transitare i prodotti di queste aziende “sicure”. Bruxelles, insomma, starebbe peccando di un eccesso di precauzione le cui conseguenze per la suinicoltura della Sardegna potrebbero essere devastanti. Vero. Ma prendersela con Bruxelles non ha molto senso. Le colpe ci sono, ma sono tutte in casa nostra. Al primo posto l'inadeguatezza dei piani di eradicazione della Psa dalla Sardegna che hanno “bruciato” fior di finanziamenti senza portare al risultato voluto. Difficile immaginare che oltre 30 anni di insuccessi nella lotta alla Psa siano dovuti soltanto alla mancata collaborazione degli allevatori sardi. Cosa che non è accaduta nel resto d'Europa, che la Psa è riuscita cacciarla via. Ora si ricomincia daccapo e l'assessore regionale all'Agricoltura Oscar Cherchi ha dichiarato in questi giorni che altri 8,5 milioni di euro saranno investiti per il miglioramento degli allevamenti. Potevamo risparmiarli, o utilizzarli con più efficacia, se i piani precedenti avessero dato esiti migliori.

 

Aiutare gli allevamenti

Ma adesso bisogna far fronte all'emergenza, inutile recriminare su cosa non è stato fatto. Sarà difficile aprire un corridoio sanitario per consentire la commercializzazione delle carni suine fuori dalla Sardegna. Non per questo gli allevatori potranno essere lasciati soli. Se blocco sarà, che sia almeno compensato da aiuti che ne annullino gli effetti economici negativi. E si proceda davvero a eradicare la Peste suina africana dall'isola. Di mezzo c'è la sopravvivenza di molti allevamenti e, perché no, l'immagine dei prodotti locali e della capacità dell'Italia di far fronte alle emergenze sanitarie. Altrimenti sarà difficile vantare la superiorità dei nostri prodotti se non siamo nemmeno in grado di sconfiggere una malattia ormai scomparsa da tutta Europa.