Solo una boccata d'ossigeno per sostenere le attività del sistema allevatori guidato da Aia (se ne parla anche su questo numero di Agronotizie), mentre la francese Lactalis è pronta a “bersi” Parmalat. Due vicende fra loro slegate, ma con in comune l'incerto futuro dei lavoratori impegnati nell'una e nell'altra. Quanto basta per far scendere in campo i sindacati del settore agroalimentare (Fai, Flai e Uila) che a Cremona hanno dato appuntamento al “gotha” del settore lattiero-caseario. Ne è scaturito un incontro affollato, complice la presenza del ministro dell'Agricoltura, Saverio Romano, e del presidente della Comagri del Parlamento europeo, Paolo De Castro, e dei tanti “big” del settore (impossibile ricordarli tutti) che hanno accolto l'invito dei sindacati per affrontare i temi caldi del momento. Si è così puntato il dito contro l'annosa difficoltà del settore di “fare sistema” che ha innescato un complicato rapporto fra chi produce latte, chi lo trasforma e chi lo commercializza. La frammentazione del comparto non è stata sconfitta nemmeno dalle Organizzazioni dei Produttori, troppe volte tali solo sulla carta. E ora ci si trova a fare i conti con il “pacchetto qualità” e con il “pacchetto latte” che la Ue promuove e che affida ai contratti di filiera (e dunque alle forme organizzate dei produttori) un ruolo chiave. E così il latte italiano non solo è più fragile di fronte al mercato globale, ma rischia di essere escluso dai vantaggi di questi “pacchetti” o di coglierne solo una parte. (
Se la qualità non basta
Basterà la qualità evocata dal ministro Romano a mettere in sicurezza il latte italiano dalle difficoltà del mercato? Le convinzioni del ministro vacillano di fronte alla constatazione che i pur ottimi requisiti del nostro latte non sono valsi ad oggi a fronteggiare le emergenze. La qualità, infatti, non è bastata a scongiurare la chiusura delle stalle, il cui numero si è dimezzato dal 2000 ad oggi, passando da 75mila unità produttive a sole 40mila. Ma le stalle “professionali”, ha ricordato De Castro, sono assai meno, forse non più di 15mila.
Le divisioni si pagano
Senza una strategia per il futuro altre aziende crolleranno sotto il peso del mercato. La parola d'ordine scaturita dal convegno di Cremona è allora “fare sistema” con un progetto di filiera dove si incontrino produzione, trasformazione e lavoro per valorizzare al meglio le nostre produzioni. Facile a dirsi, un po' meno a tradursi in concreto. Anche il convegno di Cremona si è percepita l'incomunicabilità che ancora affligge i sindacati agricoli. Non a caso sono stati i sindacati dei lavoratori (uniti) e non quelli agricoli (divisi), ad organizzare il podio cremonese dal quale lanciare l'appello per il salvataggio del latte. Difficile con queste premesse immaginarsi una svolta nelle strategie per il settore lattiero o più in generale nella politica agricola. Di una svolta c'è invece grande bisogno.
Dietro l'angolo
All'orizzonte c'è la riforma della Pac e poi, nel 2015, con l'azzeramento delle quote latte, il mercato sarà definitivamente libero. Proprio ora che negli Usa stanno pensando ad introdurre le quote come mezzo per superare la volatilità del prezzo del latte. Ma indietro non si torna, ha ribadito anche De Castro. Bisogna prepararsi allora al dopo-quote finché siamo in tempo. E se Parmalat parlerà francese, come probabile, ci sarà da vigilare. Per il latte italiano e per la sorte dei lavoratori.