Direttiva Nitrati. Nata a Bruxelles nel lontano 1991, attende da ormai 17 anni di essere attuata in Italia, un’applicazione che sarà tutt’altro che indolore, specie per la zootecnia. Coinvolte sono soprattutto le Regioni del Nord, che per tutto il 2007 si sono impegnate per veder ridurre le aree definite vulnerabili e dove pertanto il carico di azoto deve essere ridotto. E non di poco. Si passa dai 340 kg N/ha ad appena la metà, solo 170 kg N/ha. Il risultato finale è che in Lombardia sono riconosciute come vulnerabili oltre il 56% delle aree di pianura. Non va meglio per il Veneto che sale al 60% ed anche per l’Emilia Romagna con il suo 57%, mentre il Piemonte si ferma al 52% .

E si tratta delle Regioni dove è più diffuso l’allevamento intensivo del bestiame e dove la concentrazione di animali è tale da destare più di una preoccupazione. In Lombardia e  in Piemonte l’80% degli allevamenti di vacche da latte insiste su terreni classificati come vulnerabili. In Emilia Romagna e in Veneto si scende al 50%, ma anche qui si annuncia come drammatico il problema del reperimento di superfici sulle quali “diluire” il carico di bestiame. Perché l’altra soluzione, impraticabile, è quella di dimezzare il numero dei capi allevati. Con tanti saluti alla zootecnia italiana.

 

Le norme di riferimento

Non stupisce allora che l’applicazione della direttiva comunitaria (la 91/676/CEE) abbia atteso tanti anni prima di essere recepita in una normativa nazionale. Arrivata dopo che Bruxelles ha  messo in infrazione l’Italia per il mancato recepimento, giunto poi in due fasi successive con il decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152 e il decreto ministeriale 7 aprile 2006. Quest’ultimo ha definito i criteri generali e le norme tecniche sulla base dei quali le Regioni elaborano i “Programmi d’Azione” per le zone vulnerabili ai nitrati.

 

Le proroghe

Entrare nel dettaglio delle singole scadenze previste dalle Regioni è compito arduo, tanto più che ancora oggi si registrano proroghe agli adempimenti richiesti agli agricoltori. E’ il caso ad esempio della Regione Veneto che il 12 settembre ha deciso di rimandare al prossimo 11 novembre il termine ultimo per la comunicazione dei Pua (piano di utilizzazione agronomica). Poco prima (l’8 agosto) erano stati rivisti, sempre in Veneto, i criteri per la compilazione del Pua, mentre in luglio erano stati aggiornati i valori di azoto ai quali devono fare riferimento gli avicoltori.

Situazioni analoghe si sono registrare anche in altre Regioni, segno delle difficoltà che al settore produttivo derivano per la necessità di adeguare  alla Direttiva nitrati il carico bestiame,  lo stoccaggio delle deiezioni e i trattamenti necessari. In Lombardia, almeno per il momento, è ancora valida la data del 30 settembre per la comunicazione dei Pua.

 

Costi elevati

Per mettersi in regola le aziende agricole (e non solo quelle dedite all’allevamento) dovranno affrontare impegni economici rilevanti, come ha messo in evidenza uno studio del Crpa  che indica fra i 53mila e gli 83mila euro il costo degli investimenti necessari in un allevamento di 100 vacche da latte. Cui si aggiungono circa due centesimi di costi di produzione in più per ogni litro di latte. Dati preoccupanti, specie se si tiene conto che proprio gli allevamenti da latte da tempo non riescono a trovare un accordo con Assolatte per la definizione del prezzo,

A destare le maggiori preoccupazioni è però la mancanza di terreno a disposizione degli allevamenti nelle zone dichiarate vulnerabili e quindi dove il carico di azoto deve essere ridotto a non più di 170 kgN/ha. E’ ancora un volta uno studio del Crpa ad evidenziare la problematicità di questo aspetto. Con la nuova normativa il numero di capi da latte allevabili per ettaro scende da 3,7 unità a 2 nelle zone vulnerabili dell’Emilia Romagna. Ma è prevista una riduzione del carico di bestiame anche al di fuori delle zone vulnerabili, dove si scenderà  dagli attuali 7,6 capi per ettaro a soli 4,1 capi.

Ai maggiori costi di gestione delle deiezioni si aggiunge la ricerca (e il costo) dei terreni necessari a mantenere immutato il numero di animali in stalla. Perché ridurre della metà o quasi il carico di animale equivale in molti casi a rendere non più economica l’attività zootecnica. Insomma molti potrebbero essere invogliati, purtroppo, a chiudere stalle o porcilaie.

In aiuto stanno arrivando i Psr (Piani di sviluppo di rurale) al cui interno sono previsti, con modulazioni diverse da Regione a Regione, interventi per sostenere gli impegni che agricoltori e allevatori sono chiamati ad attuare sul fronte ambientale.

Intanto si avvicina a grandi passi il 2009, anno nel quale le scadenze e gli obblighi conseguenti alla Direttiva nitrati andranno a regime. Ed è meglio farsi trovare preparati. Ulteriori proroghe sono improbabili.

 

Foto Motumboe