Dopo lo sciopero dei prosciutti è arrivato anche quello del latte. Sulla scia delle contestazioni prima degli allevatori tedeschi e poi degli altri Paesi del Nord Europa, fra i quali Olanda, Austria e Francia  è arrivato il turno di quelli italiani. Ma andiamo con ordine. A dare il via alle proteste sono stati gli allevatori di suini. In Italia gran parte degli allevamenti sono specializzati nella produzione del suino pesante,  materia prima indispensabile per i prosciutti Dop e per i salumi della nostra migliore tradizione. Allevare questi suini costa però di più rispetto a quelli “magri” destinati alla produzione di carne fresca. Attività quest’ultima che si svolge soprattutto al di là delle Alpi, da dove arrivano però ogni anno 60 milioni di cosci, destinati a diventare prosciutti, magari di qualità non eccelsa, ma sempre prosciutti. Con il risultato che il mercato è in affanno e i prezzi di vendita del suino pesante non coprono nemmeno le spese di produzione. Una situazione che va avanti da quasi due anni. Decisamente troppo, tanto che molti allevamenti hanno chiuso i battenti e per i superstiti si profila minacciosa l’ombra del fallimento.

 

Lo sciopero dei suini, un successo

Il presidente dei suinicoltori italiani (Anas) Giandomenico Gusmaroli, dopo i tanti appelli caduti nel vuoto ha avuto un’idea, provocatoria fin che si vuole, ma anche efficace. Ha infatti invitato gli allevatori a non rilasciare i certificati unificati di conformità  per i suini da macello ed i certificati intermedi per i suinetti. Bloccando così la certificazione dei prosciutti dei circuiti Dop. E il 2 giugno, dopo aver cercato in ogni possibile sede una risposta alle attese degli allevatori, lo sciopero è partito. Ed ha avuto l’adesione di migliaia di allevatori.

All’indomani dello sciopero, casualità degli eventi, sono arrivati i dati relativi all’andamento del comparto salumiero in Italia che parlano di buone performance del settore. I numeri resi noti durante l’assemblea di Assica (l’associazione degli industriali delle carni) indicano per il 2007 una crescita dell’1,3% nella produzione di salumi, il che porta il fatturato del settore a 7,5 miliardi di euro. Ottimi risultati, sottolineano in Assica, ma i maggiori benefici sono andati tutti alla parte finale della filiera, cioè la distribuzione che si aggiudica il 59% del prezzo finale del prodotto, mentre agli allevatori va il 15% e alla industria di trasformazione il restante 26%.

Che nel lungo percorso dalla stalla alla tavola ci siano numerosi problemi da risolvere è innegabile. Se ne parla peraltro da tempo, senza trovare soluzioni adeguate. Resta intanto, e da risolvere invece con urgenza, il problema degli allevamenti, che non possono continuare a produrre in perdita. Lo sciopero dei prosciutti, riducendo le quantità che vanno nel circuito dei Dop, potrà forse tonificare il mercato. Staremo a vedere. Intanto c’è da registrare un primo importante risultato. Tutta la filiera si sta occupando del problema dei suinicoltori italiani. Merito anche dell’eco che lo sciopero ha avuto su tutti i media, dalla carta stampata alle televisioni e, non ultimo, il grande contenitore del web. Il presidente dei suinicoltori ha trovato l’argomento giusto per mettere in luce i problemi del settore. Non è cosa da poco.

 

Prende il via lo sciopero del latte

E lo sciopero del latte potrebbe sortire risultati analoghi, anche se l’Italia parte buon ultima in questa protesta che ha ormai connotati europei. Vediamo i fatti. Dalla fine di marzo gli allevatori di bovine da latte attendono di siglare il nuovo accordo con le industrie del latte in merito al prezzo per la prossima campagna. Si era ventilata anche la proposta di un’intesa sulla modulazione del prezzo in funzione dell’andamento di mercato, ma non se ne è fatto nulla. Intanto gli allevatori si sono dati un’ordine di scuderia, non si vende a meno di 0,42 euro al litro. Pretese non eccessive se si tiene conto che per produrre un litro di latte  gli allevatori spendono oltre 0,42 euro, come testimoniano le analisi del Crpa di Reggio Emilia dell’ottobre 2007 e che oggi vanno riviste al rialzo. Una posizione distante da quella degli industriali, che vorrebbero fermare il prezzo a quota 0,37 euro.

Posizioni al momento inconciliabili, ma la ricerca di un compromesso si fa sempre più urgente. La fibrillazione dei mercati cerealicoli e l'aumento del costo dell'energia stanno spingendo ancora più in alto i costi di produzione. Un problema in più per gli allevatori che già si trovano ancora una volta alle prese con multe milionarie  per aver superato le quote di produzione.

Tante dunque le motivazioni per questa protesta che nel Nord Europa sta già producendo i suoi effetti con una riduzione sensibile delle consegne di latte. Riduzione la cui eco arriva anche in Italia, che dall'estero si rifornisce per circa il 40% dei suoi fabbisogni interni. Un motivo in più per sostenere la tesi, portata avanti dal ministro Zaia, di rivedere la posizione dell'Italia in tema di quote latte, accordandole un aumento superiore a quello di altri paesi. Una proposta che il Commissario europeo Mariann Fischer Boel considera accettabile. Ora tocca al ministro trovare alleanze in Europa per sostenere questa tesi e tradurla in realtà. Un bel banco di prova per le capacità di mediazione del nuovo ministro

 

Foto Chriss Breeze