In Umbria è nata una nuova realtà che mette la regione in prima fila per quanto riguarda la costituzione di una filiera italiana del luppolo.

Si tratta di una associazione di imprese nata dall'unione di Luppolo made in Italy, il primo progetto in Italia che ha sperimentato con successo questa nuova coltura, insieme al gruppo cooperativo Agricooper e alla Deltafina Srl.

A darne notizia è la Cia Umbria, dopo la presentazione della nuova realtà fatta il 19 luglio a Perugia da Stefano Fancelli, presidente della Rete Luppolo made in Italy e dell'omonima società, Luppolo made in Italy Srl, che svolgerà il compito di capofila della nuova associazione.

Alla base c'è un progetto di filiera cresciuto negli anni e ora consolidato grazie alla misura 16.4.1 del Psr sulle filiere corte. L'obiettivo è quello di aumentare la capacità di aggregazione e di organizzazione dei produttori, la forza economica e di investimento, la visione strategica e di innovazione per portare il luppolo italiano alla conquista del mercato globale.

Un supporto a questa nuova realtà arriva anche dall'assessorato regionale alle politiche agricole dell'Umbria che, come ha annunciato lo stesso assessore Roberto Morroni, ha in programma di inserire la nascente filiera del luppolo tra le filiere strategiche dell'Umbria, proprio per usufruire al meglio della misura 16.4.1.

L'obiettivo per Morroni è quello di irrobustire la capacità delle aziende di creare valore, rafforzando il ruolo delle eccellenze del territorio e delle potenzialità delle nuove colture. E in questa ottica la filiera del luppolo può costituire una opportunità preziosa per consentire all'Umbria di svolgere un ruolo di avanguardia a livello nazionale.

Per Roberto Volpi, direttore tecnico del gruppo cooperativo Agricooper, la presenza del suo gruppo rappresenta una solida base di capacità organizzativa, produttiva e di aggregazione dei produttori, mentre per Giorgio Marchetti di Deltafina Srl, l'azienda porta invece alla nuova realtà associativa una forte capacità di sviluppo della seconda fase di trasformazione e una prospettiva internazionale che può permettere uno sviluppo del mercato europeo e globale.

Deltafina Srl infatti trasforma i due terzi della produzione italiana di tabacco e questa nuova attività legata al luppolo sarà complementare e non sostitutiva a quella tabacchicola.

Per Cia Umbria sarà fondamentale garantire la sostenibilità economica di questa nuova realtà, che conta su una Plv potenziale del luppolo che si aggira intorno ai venti e trentamila euro ad ettaro, il tutto senza perdere di vista anche la sostenibilità sociale e quella ambientale, come ha sottolineato il presidente Matteo Bartolini.

La sostenibilità sociale è rappresentata dalla necessità di trovare nuove strade per gli agricoltori del tabacco che vivono oggi una fase di incertezza sul futuro, e resa evidente dal fatto che anche il luppolo, come il tabacco, richiede manodopera e forza lavoro qualificata, oltre a macchinari specifici, che possono essere quindi riutilizzati anche per la filiera del luppolo.

Mentre la sostenibilità ambientale si baserà soprattutto sul progetto di filiera del luppolo biologico che è in fase di sviluppo.

Oggi la coltivazione professionale del luppolo in Umbria interessa già 3,5 ettari sperimentali, con nove impianti tra Alto Tevere, Valle Umbra e Lago Trasimeno, che hanno dato ottimi risultati in termini di qualità del prodotto, come evidenziato dalle analisi condotte in collaborazione con l'Università di Perugia.

Già nel prossimo anno è previsto l'avvio di nuovi luppoleti, che andranno ad aumentare la capacità produttiva per far fronte ad una domanda sempre crescente per soddisfare il mercato dei birrifici artigianali e degli appassionati autoproduttori domestici.

L'obiettivo, come è stato evidenziato in conferenza, sarà quello di arrivare in Umbria dai 3,5 ettari attuali a 150 ettari in tre anni e iniziare a contribuire in modo sensibile alla domanda di mercato nazionale.

Al momento infatti vengono importate in Italia oltre quattromila tonnellate di luppolo all'anno, pari ad una produzione che supera i 2mila ettari, mentre la capacità produttiva nazionale, secondo i dati del Crea è stimata a 55 ettari pienamente produttivi.