L'aumento del prezzo dei fertilizzanti azotati e la richiesta di un'agricoltura con un impatto ambientale sempre più ridotto hanno acceso l'attenzione verso alcune varietà particolari di mais che crescono in Messico senza alcun bisogno di fertilizzanti azotati.

 

Nella regione di Oaxaca, nel Messico del Sud, gli agricoltori locali coltivano infatti delle varietà particolari di mais in cui l'apporto di azoto è fornito dalla simbiosi con consorzi di batteri azotofissatori in grado di rendere disponibile l'azoto presente in atmosfera.

 

Le varietà particolari di mais

(Fonte foto: University of Wisconsin–Madison)

 

Il ciclo dell'azoto e la sua sostenibilità

L'azoto è il principale elemento nutritivo che serve alle piante per crescere. Esso si trova sotto forma gassosa in abbondanza nell'atmosfera terrestre, ma è in una forma che le piante non riescono ad assimilare.


Per questo motivo gli agricoltori utilizzano i fertilizzanti azotati, che sono prodotti però grazie all'impiego di ingenti risorse energetiche. Si calcola che oltre l'1% di tutta la energia prodotta dall'uomo attraverso diverse fonti è destinata proprio alla produzione dei concimi azotati.


Questi rappresentano un costo per l'agricoltore, come sappiamo bene in questi ultimi mesi in cui il loro prezzo è schizzato verso l'altro. Ma rappresentano anche una sfida a livello ambientale in quanto per la loro produzione vengono immessi in atmosfera ingenti quantità di gas ad effetto serra, come l'anidride carbonica. Bisogna però anche considerare le energie fossili consumate per trasportare i fertilizzanti e applicarli al suolo.

 

Le radici del mais coltivato in Messico

(Fonte foto: University of Wisconsin–Madison)


Ma c'è di più, perché una quota variabile, ma talvolta ingente, dei fertilizzanti applicati al terreno di fatto non viene assimilata dalla pianta ma si disperde nell'ambiente per volatilizzazione o percolazione, con impatti negativi anche a livello di inquinamento dei corpi idrici superficiali e non.


In natura, invece, l'azoto gassoso viene assimilato dalle piante sostanzialmente in due modi. Il primo è attraverso i fulmini, che grazie all'energia sprigionata ossidano l'azoto atmosferico che poi si scioglie nella pioggia e raggiunge le piante sotto forma di acido nitrico. L'altro modo (che copre il 90% del fabbisogno vegetale) è attraverso l'opera di batteri, cosiddetti azotofissatori, che riescono a trasformare l'azoto atmosferico in una forma bioassimilabile.


L'esempio classico è quello delle leguminose, che a livello radicale hanno sviluppato delle vere e proprie strutture per ospitare i batteri che in cambio di carboidrati forniscono alla pianta l'azoto di cui ha bisogno. Alla morte del vegetale i microrganismi del terreno decompongono la sostanza organica che diventa così disponibile per le altre piante. Questo è in fondo il principio del sovescio.

 

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Il mais che non ha bisogno di concimi azotati

Torniamo al mais. Fino a qualche tempo fa si pensava che le uniche piante a poter instaurare questo rapporto di simbiosi con i batteri azotofissatori fossero le leguminose e poche altre specie. Invece si è scoperto che in Messico esistono delle piante di mais in grado di poter fare esattamente la stessa cosa.

 

Un gruppo di ricercatori provenienti da diverse istituzioni (University of Wisconsin–Madison, University of California, Davis, e Mars Inc.) ha infatti scoperto che alcune particolari varietà di mais sviluppano delle piccole radici aeree che sono ricoperte da un gel ricco di carboidrati all'interno del quale vivono consorzi batterici che riescono a trasformare l'azoto gassoso in una forma ammoniacale assimilabile dalla pianta.

 

 

Il gel fornisce un ambiente privo di ossigeno, ideale per la crescita di questi batteri, e ricco di carboidrati, che sono la fonte di energia dei microrganismi. Vi è dunque una stretta simbiosi che permette alle piante di crescere anche in terreni poveri di sostanza organica e ai batteri di sopravvivere. Secondo i ricercatori, grazie a questo sistema di radici aeree le piante possono soddisfare dal 30 all'80% del proprio fabbisogno di azoto.

 

Nulla di nuovo per le popolazioni indigene che da secoli coltivano queste piante, pur non conoscendo fino in fondo la funzione delle radici aeree.

 

Mais, la sfida della genetica

I ricercatori stanno ora tentando di sfruttare questa caratteristica per produrre nuove varietà di mais in grado di procacciarsi da sole buona parte dell'azoto di cui hanno bisogno. Attraverso gli incroci tradizionali il lavoro è quasi impossibile, in quanto richiederebbe decenni ed ingenti investimenti per arrivare a nuove varietà, senza peraltro alcuna garanzia di successo.


Sarebbe invece possibile ottenerle grazie alle Tecnologie di Evoluzione Assistita (Tea), che permettono di ottenere nuove varietà in maniera sicura e veloce. Anche perché non si genererebbero organismi transgenici, ma nuove varietà frutto dell'incrocio (possibile grazie alla cisgenesi) tra due specie sessualmente compatibili e quindi sulla carta ottenibili anche grazie all'incrocio tradizionale.

 

Le radici del mais coltivato in Messico

(Fonte foto: University of Wisconsin–Madison)

 

In futuro, si spera presto, si potrebbero così avere delle piante che rispondono alle esigenze degli agricoltori e dell'industria e che avranno la necessità di un apporto ridottissimo di concimi azotati, lo stretto necessario per sopperire a quella quota che i batteri non sono in grado di fornire.

 

Fra le numerose sfide che i ricercatori dovranno affrontare c'è anche quella di riuscire a replicare un processo che sembra essere strettamente legato al territorio in cui crescono queste varietà di mais, caratterizzato da un clima tropicale e quindi da frequenti piogge ed elevati livelli di umidità. Condizioni che non appartengono ad esempio alla Pianura Padana, dove durante l'estate le piogge sono scarse.

 

Bisognerà dunque trovare il modo di adattare questo meccanismo di nutrizione ai diversi contesti pedoclimatici, sfruttando le conoscenze genetiche e biologiche che oggi abbiamo sia sulle piante che sui microrganismi.