"Ma almeno sono naturali...". Così si concluse una conversazione che sostenni tempo fa con una collega particolarmente accalorata in tema di prodotti "naturali" e alimenti biologici.

Da agronomo ed ecotossicologo non era la prima volta che mi cimentavo in discussioni di questo tipo, ma quella volta la conversazione si rivelò a doppio senso di circolazione in uscita, ma particolarmente a senso unico in ricezione.
Lei, cittadina abituata allo shopping in Corso Buenos Aires a Milano, aveva sposato il bio dopo il colpo di fulmine scoccato da una delle varie trasmissioni "pseudo agricole" domenicali.
Attraverso il tubo catodico (gli schermi a Led giacevano ancora nel mondo dei sogni tecnologici) qualche non meglio specificato produttore agricolo aveva decantato i pregi dell'alimentazione biologica rispetto a quella convenzionale.
Nulla di male a sostenere in televisione i propri business commerciali, ci mancherebbe. Anche perché di solito chi vuole ricevere le visite di certe troupe televisive mica s'illuda che sia proprio tutto tutto gratis. Dal punto di vista etico, però, una mente accorta dovrebbe comprendere al volo quanto la pubblicità ingannevole non sia solo materia di detersivi, bevande o altri generi di grande consumo.
La reclame più subdola è infatti quella che entra nelle case della gente dopo aver fatto bussare a un referente giudicato autorevole. Un volto noto e magari simpatico che induce ad abbassare i filtri critici della sfera razionale, aprendo la strada anche a messaggi furbescamente fuorvianti che possono così dilagare nella mente dello sprovveduto telespettatore.
Il produttore intervistato in tv aveva ovviamente decantato l'assenza di residui, come pure i maggiori contenuti nutrizionali, di profumi e di sapori. Lunga la filippica anche in termini salutistici ed ecologici. In pratica, tutto quello che invece era andato perduto per colpa dei pesticidi e dei fertilizzanti chimici, venduti solo per soddisfare le ambizioni di profitto di multinazionali senza scrupoli. Questo almeno nella malcelata opinione della collega.

A prescindere dal fatto che da una di queste multinazionali prendeva uno stipendio pure lei, cercai di condividere qualche informazione utile a farle correggere autonomamente questa percezione fuorviante, sia del "naturale", sia della chimica.
Iniziai spiegandole che biologico non vuol dire "non trattato", contrariamente a quanto lei stessa pensava di aver capito.
Questa distorsione comunicativa è  purtroppo uno dei pilastri della disinformazione con cui si auto-abbindola una parte dei consumatori. Un malintendimento che produttori come quello apparso in tv mi pare che non si indaffarino poi molto per correggere.
I prodotti bio sono trattati eccome, semplicemente non vengono usate sostanze di sintesi, eccezion fatta per i feromoni per la confusione sessuale. A dimostrazione che l'elasticità mentale premia sempre, queste preziose soluzioni tecniche sono infatti ammesse anche nei disciplinari di lotta biologica.
Il rame, per esempio, è ammesso nel biologico perché non di sisntesi. Dato che non nasce in qualche laboratorio chimico,bensì viene estratto da qualche miniera oppure ricavato da materiali di risulta, questo prezioso elemento chimico risponde infatti ai requisiti per essere utilizzato anche nel bio.
Molti consumatori "da supermercato", però, ignorano il fatto che il rame sia un metallo pesante(1), con una sua tossicità per l'uomo, per quanto modesta, per gli animali (molto tossico per gli organismi acquatici) e perfino per i vegetali al di sopra di certi dosaggi. In altre parole, è un agrofarmaco a tutti gli effetti.
Per giunta, a differenza degli attuali agrofarmaci di sintesi che hanno tempi di decadimento ambientale mediamente compresi fra i giorni e i mesi, il rame è virtualmente eterno. Per questa ragione la sua sostenibilità nel lungo periodo è stata resa possibile fissando limitazioni annue per ettaro quanto a dosaggi.
Sia come sia, resta il fatto che il rame è un mezzo tecnico di produzione al quale devono la vita intere generazioni. Basti pensare che l'arrivo della peronospora sulle patate europee causò carestie così gravi da indurre migrazioni di massa Oltreoceano, dopo avere abbrutito le fasce più basse della popolazione con fame e malattie. Se il rame fosse stato già conosciuto come antiperonosporico, quindi, si sarebbero potute salvare milioni di vite.
Per di più, molte fra le più importanti produzioni bio non potrebbero essere coltivate in assenza del rame. E forse anche per questa ragione a taluni fa poco piacere ricordare che usare il rame non equivale affatto a non trattare.

L'impenetrabilità espressiva della collega mi fece capire che non era convinta. Proseguii.

Un'altra percezione fuorviante della chimica agraria è che la tossicità di una molecola sia legata alla sua artificialità: ciò che è di sintesi è sempre cattivo, ciò che è naturale è sempre buono.
Le spiegai quindi che il rotenone(2) era si un insetticida naturale estratto da radici di piante, eppure aveva una tossicità tutt'altro che trascurabile. Negli States, a titolo d'esempio, si è ricorsi spesso al rotenone quando si trattava di "bonificare" dai pesci laghi e invasi artificiali. Essendo altamente tossico per gli organismi acquatici, il rotenone veniva versato nell'acqua sterminando la fauna ittica in men che non si dica. Per giunta, il suo profilo tossicologico verso l'Uomo e altri organismi animali era ben lontano dall'essere leggero. Vi sono molte sostanze attive prodotte dall'uomo che quanto a tossicità, come si suol dire, prendono serenamente la paga dal rotenone: se proprio obbligato, fra un drink al diflubenzuron o uno al rotenone io non esiterei un istante a scegliere quello al diflubenzuron. Personalmente però, preferisco un mojito. (Come viene scritto in piccolo sotto certe pubblicità televisive: "Ciò che state leggendo è pericoloso, non fatelo a casa vostra").
 

Nessun muscolo facciale della collega accennò la benché minima contrazione.

Rafforzai quindi il concetto ricordando che, in fondo, Lucrezia Borgia mica utilizzava esteri fosforici per avvelenare le sue vittime. Sebbene la figura di Lucrezia, a quanto pare, non fosse quella agghiacciante tramandata dalla tradizione, resta il fatto che una tisana di Belladonna preferirei non gustarmela. Socrate si avvelenò con la cicuta, mica con il methomyl. Neppure un liquore all'oleandro lo vedrei di buon occhio nel mio mobile bar.
Limitandoci poi alle colture agrarie, la solanina contenuta nelle parti verdi di patate e pomodori è un alcaloide che proprio bene non fa e ha un profilo tossicologico peggiore di buona parte degli eventuali residui di agrofarmaci che risultassero all'analisi.
Quindi la Natura è in realtà molto lontana da quella distorta rappresentazione oleografica dell'Eden perpetuo e a ogni costo. Anche Lei quando vuole fare male ci riesce benissimo. Anche meglio dei prodotti dell'Uomo.

Qualche goccia di sudore iniziava a colarmi sulle tempie, perché l'aspetto della collega era ormai simile a quello delle statue di cera del museo di Londra.

Sapendo che amava il buon vino, la indussi quindi a ragionare sul fatto che in una bottiglia da 75 centilitri vi sono circa 90-100 grammi di alcol, ipotizzando un grado alcolico pari a dodici-tredici. Vale a dire che bevendo quel vino introduceva nel proprio corpo, e in modo cospicuo, una sostanza reputata dall'Organizzazione mondiale di sanità la terza droga pesante dopo eroina e cocaina. Una sostanza i cui abusi spediscono all'altro mondo decine di migliaia di persone all'anno solo in Italia.
La presenza in quel medesimo vino di tre o quattro diversi residui di agrofarmaci, in ragione quindi di milligrammi e non di grammi, non può essere considerata certo peggiore dell'alcol stesso. Anzi. Nella maggior parte dei casi i residui sono poi al di sotto della scala dei ppm (milligrammi/litro), posizionandosi su quella dei microgrammi, ovvero milionesimi di grammo. Chi beve troppo vino, tradotto in soldoni, rischia per lo più di andare in coma etilico o di sviluppare cirrosi epatica e tumori e quello dei residui dovrebbe quindi essere l'ultimo dei suoi problemi.
Per le stesse ragioni, forse perché non fumatore, penso alle cavalcate di marketing incentrate sul severo controllo dei residui di agrofarmaci quando si parli di tabacco. Le sigarette ammazzano anche loro decine di migliaia di persone all'anno, ma quello che importa, a quanto pare, è che i residui di agrofarmaci siano bassissimi "per una maggiore tutela del consumatore".
Divertendosi a ragionare un po' per assurdo e seguendo questa (il)logica, forse anche i produttori di cocaina, marijuana od oppio seguiranno in futuro dei disciplinari di produzione atti a garantire una maggiore "salubrità" delle loro produzioni. Perché sulla salute mica si scherza, ci mancherebbe.

Ancora nessuna reazione. Pensai che forse avrei dovuto pungerla con una forchetta, per verificare se per caso fosse vittima della tossina paralizzante del Pesce Palla servito nei ristoranti giapponesi (nda: anche questa tossina naturale è terrificante e ne bastano pochi miligrammi per sterminare una tavolata di improvvidi commensali).

Calai quindi l'asso delle micotossine, ovvero quelle tossine liberate su mais, cereali, uva e cibi vari da funghi "naturalmente" presenti nei campi, come fusario, aspergilli, penicilli e compagnia briscola.
Queste sostanze naturali, utili alla competizione dei funghi verso altri microrganismi, sono molto tossiche e, soprattutto, pesantemente cancerogene. Basti pensare alle morti, alle amputazioni degli arti e ai malori psichedelici indotti in passato dalle tossine di Claviceps purpurea (2), ovvero il fungo che causa la nota "segale cornuta". A quanto pare, persino la follia collettiva che colpì Salem, la famigerata cittadina stratunitense "delle streghe", sarebbe derivata da intossicazioni da Claviceps, soprattutto a carico di quei soggetti più giovani tra i quali rientravano appunto quelle allucinate adolescenti che avevano dato vita alla caccia alle "streghe". Oltre cento le vittime innocenti causate da quel evento. Mica pizza e fichi.
Per queste ragioni, l'attenzione tossicologica verso le micotossine si posiziona su valori che giacciono nell'ordine dei nanogrammi/chilo di peso corporeo (3). Vale a dire miliardesimi di grammo. Come pure i limiti dei residui negli alimenti per le micotossine si aggirano mediamente intorno alle decine di microgrammi/chilo (milionesimi di grammo)(4)(5), quando diversi agrofarmaci sono abbondantemente nel campo dei milligrammi/chilo (millesimi di grammo). Cioè, vi è un limite di confidenza superiore di circa mille volte a favore della chimica rispetto alle "naturali" micotossine. 
Detta in altri termini, l'agrofarmaco con il peggior profilo tossicologico pare debba impallidire di fronte alla migliore delle micotossine. Per giunta, se si trattano le colture con gli opportuni agrofarmaci, vengono controllati proprio i funghi che queste tossine producono. Quindi, trovo sia cosa sana e razionale utilizzare sostanze chimiche a pericolosità "uno" per contrastare funghi le cui tossine hanno pericolosità "mille".
Per inverso, appare quindi cosa malsana e irrazionale decidere di non trattare le colture per paura dei "pesticidi" e poi sciropparsi le micotossine.
A tal proposito, giunse a mio supporto anche uno studio del dipartimento di tossicologia dell'Università di Bologna: analizzando dei succhi di frutta bio e non bio, ciò che venne scoperto non si mostrò esattamente in linea con le illusioni cittadine di salubrità nutrizionale.
Pari quanto ad assenza di residui, i succhi non-bio mostravano un livello di micotossine venti volte inferiori rispetto a quelli bio, sebbene entrambi i gruppi di campioni mostrassero valori al di sotto dei limiti di legge. Viste però le richieste sfinenti che certe Gdo fanno circa il famigerato 30% dei limiti legali dei residui chimici, mi chiedo se questa richiesta valga anche per le micotossine, oppure solo per gli agrofarmaci. Sarò grato quindi a chi potrà colmare la mia curiosità.
La professoressa Patrizia Hrelia, relatrice sui risultati di questo studio in occasione delle Giornate Fitopatologiche del 2002, seminò un certo disappunto in platea, ove non pochi erano i sostenitori del bio. O meglio, sollevò il disappunto di coloro che hanno interessi diretti o indiretti che del bio si parli solo in termini entusiastici. Perché l'interesse, è bene disilludersi, non è materia esclusiva delle grandi multinazionali, come spesso si vuol dare invece a intendere.
Ovviamente, altri studi dimostrerebbero invece la sostanziale equivalenza fra bio e non-bio quanto a micotossine. Ognuno dia quindi alle rispettive ricerche il valore che pensa che meritino, come pure attinga alle proprie esperienze personali per giudicare con la propria testa. Tanto la querelle resta e credo resterà aperta ancora a lungo.
Personalmente però, quello studio bolognese lo invierei per prudenza a tutti quei sindaci e dirigenti scolastici che pensano di essere ganzi a rendere 100% bio le mense dei bambini. Magari non cambierebbe le cose, ma almeno non potrebbero più dire che nulla sapevano a riguardo.

A quel punto, le labbra della collega finalmente si schiusero, mentre lo sguardo parve ritornare ad essere quello di un organismo animato da spirito vitale. E quindi si pronunciò: "Ma almeno sono naturali...".

Alzai le mani e mi arresi, rinunciando persino all'onore delle armi. L'abbandonai quindi a quello stato "nirvanico", parafrasando l'attuale Permier Mario Monti, dove conta di più la reclame televisiva di un produttore sconosciuto, che millanta pregi opinabili e sputa sentenze a capocchia, della competenza di un collega specificatamente preparato in materia.
Mi consolai pensando che, in fondo, i soldi per la spesa erano i suoi. E come ricorda un noto adagio: "Lo sciocco e i propri soldi verranno presto separati".



Note

(1) Si definisce un metallo pesante un elemento chimico la cui densità sia maggiore di 5 g/cm3 oppure una massa atomica maggiore di 20. Il rame ha una  densità di 8,92 g/cm3 e un peso atomico pari a 63,546 uma.

(2) Il rotenone si ricava da radici di alcune piante tropicali del genere Derris spp. e  Lonchocarpus spp. Sull'uomo l'intossicazione induce vomito, nausea, dolori addominali, tremori, convulsioni, irritazioni cutanee, alterazioni del ritmo respiratorio e del battito cardiaco. Test su ratti hanno evidenziato l'induzione del Morbo di Parkinson

(3) RACCOMANDAZIONE DELLA COMMISSIONE del 15 marzo 2012 sul controllo della presenza di alcaloidi della Claviceps spp. in alimenti e mangimi

(4) REGOLAMENTO (CE) N. 1881/2006 DELLA COMMISSIONE del 19 dicembre 2006 che definisce i tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari

(5) REGOLAMENTO (UE) N. 105/2010 DELLA COMMISSIONE del 5 febbraio 2010 recante modifica del regolamento (CE) n. 1881/2006 che definisce i tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari, per quanto riguarda l’ocratossina A

(6) REGOLAMENTO (CE) N. 1881/2006 DELLA COMMISSIONEdel 19 dicembre 2006 che definisce i tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari