Non si tratterebbe, comunque, di abbandonare il marchio Igp che la mela di Valtellina ha conseguito nel 2010, sotto la cui egida 559 aziende agricole certificate producono 21.518 tonnellate (dato 2015, fonte: Il sistema agro-alimentare della Lombardia, Rapporto 2016, recentemente presentato a Milano). Al contrario, l'adozione di un ulteriore marchio distintivo è la speranza per far lievitare di quel tanto che basta un'attività produttiva non sempre in grande spolvero sul fronte dei redditi.
L'idea del marchio aggiuntivo è stata avanzata dalla cooperativa valtellinese Melavì, alla presenza dell'assessore regionale all'Agricoltura Gianni Fava. Per il presidente di Melavì, Bruno Delle Coste, lo scopo di un marchio identificativo legato alla Lombardia sarebbe duplice. Da un lato, "caratterizzare maggiormente la produzione di mele in Valtellina, in modo da garantire maggiore valore aggiunto ai produttori", dall'altro, "assicurare un futuro al comparto, in modo da continuare a presidiare il territorio".
Una vision che è stata condivisa da Graziano Murada, direttore della fondazione Fojanini, punto di riferimento in provincia di Sondrio per l'attività di ricerca.
"L'impatto di una mela lombarda, dal punto di vista commerciale, sarebbe positivo e opportuno - ha affermato Murada -. Sarà necessario investire in promozione e marketing, facendo capire ai lombardi che, acquistando una mela valtellinese, comprano non solo una mela prodotta nel territorio della Lombardia, ma contribuiscono a mantenere un territorio di montagna".
Il sogno del direttore della fondazione Fojanini è quello di arrivare a una mela differente dalle altre, facilmente riconoscibile. Una mela nuova, con caratteristiche ben definite, a partire da una buona produttività e da una conservazione ottima.
"Puntiamo a creare una mela resistente alle malattie - ha spiegato Murada - che consenta di ridurre i trattamenti in campo, assicurando così minori costi per l'agricoltore".
E magari, ultimo tassello a completare il mosaico, con un brevetto registrato, sulla scorta di quanto ha fatto con il nome "Pink Lady" il ministero dell'Agricoltura e dell'alimentazione dell'Australia Occidentale, che lo rende esclusivista in oltre 70 paesi.
L'appello lanciato da Melavì e dalla fondazione Fojanini non ha tuttavia incontrato l'unanimità delle imprese, anche se tale situazione non costituisce di per sé un pregiudizio all'avvio di un percorso finalizzato alla realizzazione del marchio "Mela di Lombardia".
Chi ad oggi sembra contrario a realizzare nuove varietà di mele è Carino Moltoni di Ponte in Valtellina; insieme al figlio conduce la maggiore azienda di commercializzazione delle mele valtellinesi, dopo Melavì, con una rete di fornitori di 40-50 aziende agricole. Più che sul marchio della Mela di Lombardia, Moltoni punterebbe piuttosto a valorizzare le mele già esistenti, dalla Golden alle Gala, fino alle Fuji, ha elencato, "mentre personalmente consiglierei di ridurre la produzione delle Stark, visto che il consumo di questa qualità sta diminuendo".
Moltoni non ha dubbi sul fatto che una soluzione debba essere comunque trovata. "Servirebbe la creazione di un marchio unico per tutte le mele valtellinesi - ha dichiarato sulla Provincia di Sondrio, il quotidiano di riferimento per il territorio -. Le mele della Valtellina, siano esse Igp o non Igp, devono essere chiamate mele di Valtellina".
Un parere sul quale non sembra concordare il direttore della Coldiretti Sondrio, Andrea Repossini, che ha affermato in proposito che "la mela di Valtellina può e deve diventare la mela lombarda", almeno in termini di consumo privilegiato.
La posizione di Regione Lombardia
Possibilista sull'evoluzione verso un brand lombardo l'assessore regionale all'Agricoltura, Gianni Fava, che non sposa alcuna linea aprioristicamente. Fava, però, ha ricordato che il Programma di sviluppo rurale mette a disposizione delle filiere fondi specifici, all'interno della misura 16, che sarà riaperta nelle prossime settimane, con una dotazione finanziaria in grado di sostenere i progetti dei diversi territori della Lombardia.
"Se Melavì intendesse partecipare alla misura 16 - ha dichiarato l'assessore - ci sono fondi per investimenti in azienda e per fare una adeguata promozione di marketing. Sono fondamentali i progetti: se avranno un obiettivo specifico, noi li sosterremo. Non è il venditore che decide, ma il compratore. Melavì diventa lombarda nel momento in cui i consumatori lombardi, che sono 10 milioni, si convincono di avere un prodotto valido e con buona reputazione".
Una sfida che è comunque alla portata del nuovo gruppo dirigente della cooperativa valtellinese, nata nel marzo 2013 dopo il completamento del processo di fusione delle cooperative storiche valtellinesi: Cooperativa ortofrutticola di Ponte in Valtellina, Frutticoltori Villa di Tirano, Cooperativa ortofrutticola Alta Valtellina. Sono le tre realtà hanno dato vita alla cooperativa Melavì, che conta oltre 500 aziende agricole e produce 280mila quintali all'anno, nelle varietà Golden, Stark Red Delicious, Fuji, Gala e la novità rappresentata dalle "mele in tubo", vendute come snack: le Rockit.
La marca come traino delle vendite
Più che le denominazioni, l'utilizzo della marca per i prodotti alimentari e, segnatamente, quelli dell'ortofrutta, si stanno rivelando un traino alle vendite. Lo ha riconosciuto recentemente in un servizio su Libero Quotidiano Attilio Barbieri, nota firma del panorama agroalimentare. Secondo il giornalista, il fenomeno sarebbe soltanto all'inizio.
"Le mele con il nome sono una quindicina - ha scritto su Libero - ma sono destinate a raddoppiare entro poco tempo. I produttori hanno capito che riescono a spuntare un prezzo maggiore se arrivano sul mercato con un prodotto identificabile e riconoscibile. Questo vale per tutti gli alimenti, inclusa l'ortofrutta".
Il caso piemontese
Il Consorzio di cooperative Lagnasco group ha lanciato la mela Eplì, brand pensato per il mercato italiano, per promuovere il quale è stata avviata una specifica campagna di commercializzazione per le mele di varietà Story Inored. "La Story Inored è una mela di facile gestione, naturalmente resistente alla ticchiolatura, necessita di un 30% di trattamenti in meno rispetto alle altre varietà ed è adatta al biologico; inoltre, ha una buccia più spessa, che consente la riduzione dei danni allo scaffale", ha affermato Simone Bernardi, presidente di Lagnasco, a Italiafruit News, di cui AgroNotizie è media partner.
"Nella vecchia Europa c'è bisogno di brand che diano riconoscibilità ai prodotti e trasmettano un valore aggiunto che vada oltre al concetto di gusto e qualità - ha proseguito il presidente di Lagnasco - per questo abbiamo puntato sul cerchio delle responsabilità: ambientale, civile, sociale. Valori che iniziano a diventare spendibili e che decliniamo nella comunicazione del prodotto, dal packaging al sito, per arrivare sui social".