Il Sud del Mondo sta crescendo, ma a che ritmo? E a che prezzo? Il Nord del Mondo marca invece il passo, ma perché? E per quanto? A Roma, Nord, Sud, Est e Ovest del Globo si confrontano su temi che dopo pochi giorni, nella stessa capitale, sono stati messi all’ordine del giorno anche dalla FAO: come produrre più ricchezze e distribuirle meglio? Come fare scelte corrette oggi, per evitare un crack alimentare globale nel giro di un solo decennio o poco più?
Domande inquietanti, con delle risposte che danno adito ad accesi contraddittori: davvero coltivare per produrre energia è un “crimine contro l’Umanità”, come è stato da taluni sostenuto? I sussidi agli agricoltori nord-occidentali, e certi dazi sulle importazioni, davvero sono materia di concorrenza sleale vero i contadini dei Paesi Emergenti? Per sfamare una popolazione mondiale crescente, dobbiamo per forza deforestare ancora?
“Ni”, dovrebbe essere la risposta più corretta a tutte queste domande: “ni”, perché i terreni ancora incolti sono un’enormità, vuoi per il set-aside, vuoi per la battuta d’arresto delle economie dell’ex blocco dell’Est, vuoi perché la produttività agricola dei Paesi Emergenti è vergognosamente bassa e potenzialmente moltiplicabile di un fattore 4-5. Produrre bioenergie quindi si può, senza per forza affamare ulteriormente il Terzo Mondo. Del resto, il Terzo Mondo affamato lo è da molto prima che di bioenergie si parlasse. Ad ognuno quindi le proprie responsabilità.
Ancora “ni” sui sussidi e sui dazi: che sia assurdo pagare qualcuno per non lavorare, come per il set-aside, oppure dare contributi a pioggia senza un ben preciso indirizzo di mercato, appare di per sé una stortura da correggere velocemente quando si debba operare in un mercato avido di cibo. Ancora, mettere dazi su prodotti alimentari provenienti dai Paesi Emergenti può apparire parimenti anacronistico. Però, c’è un però: lavorare rispettando le regole ha un costo. Dare impiego nel rispetto dei diritti umani (come per esempio non alimentare il lavoro minorile) ha un costo. Dare lavoro nel rispetto dei diritti dei lavoratori (salute, previdenza, sicurezza, ferie, mutua etc.) ha un costo. Produrre nel rispetto del territorio e dell’ambiente (utilizzo di semente certificata, di agrochimica “sicura”, di macchinari moderni e sicuri, di controllo delle emissioni) ha un costo. Fornire cibo nel rispetto della soddisfazione e della sicurezza del consumatore (attenzione ai residui, cura per la qualità) ha un costo. Chi questi costi non vuole sostenere, e poi inonda il mercato di derrate alimentari di basso profilo - ma di ancor più basso costo - esercita o non esercita concorrenza sleale? Forse, al decadimento di sussidi e dazi si dovrebbe abbinare all’unisono l’applicazione di regole produttive uguali per tutti, in qualsiasi parte del Mondo. Solo da lì in poi il mercato si potrebbe pienamente definire “libero e realmente concorrenziale”.
Un ultimo “ni” infine per la deforestazione: adeguate pratiche di preservazione dei suoli, di corretta nutrizione, irrigazione, difesa e coltivazione, possono moltiplicare di molte volte le produzioni agricole mondiali, specie nei Paesi Emergenti, senza dover abbattere un solo albero in più. E perché non dirlo: forse aiuterebbe anche un cambio culturale globale: nei Paesi avanzati, passando dalla cultura degli aiuti a quella degli investimenti, e nei Paesi Emergenti, con un cambio nella cultura stessa del lavoro, interpretandolo sempre più come investimento per il futuro e sempre meno come mezzo per procurarsi solo lo stretto necessario nel breve periodo.
Argomenti che non hanno invece trovato spazio nell’edizione 2008 di Agrievolution: come gestire il debito che soffoca ogni velleità d’investimento nei Paesi del Terzo Mondo? E che dire del potenziale ruolo delle biotecnologie, nominate solo di sfuggita dal rappresentante USA? Forse, argomenti troppo specifici e delicati per essere trattati in un evento di più ampio respiro, quale Agrievolution si prefiggeva di essere. Ciò non di meno le due “seggiole vuote” si sono fatte notare.
A gran voce invece, al tavolo di Agrievolution 2008, viene chiesta una Governance a livello mondiale: ben venga. Ma la domanda (l’ultima) è: chi si prenderà l’onore e l’onere di stabilire regole universali? Forse alla prossima edizione di Agrievolution potremo avere una qualche risposta.

 

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