Seguendo la pluridecennale traiettoria ascendente di produttività scientifica, la Cina ha raggiunto la vetta del mondo. Nel 2022, infatti, l'ex Celeste Impero ha ottenuto il punteggio più alto nel Nature Index per le scienze naturali.

 

Il Nature Index misura il contributo dei diversi Paesi, o istituzioni, in termini di pubblicazioni scientifiche. Per lo meno guardando alle 82 riviste di scienze naturali considerate di elevata qualità, cioè le più prestigiose.

 

A scivolare sul secondo gradino del podio gli Stati Uniti, storicamente al vertice globale in tal senso. Negli Usa l'indice è infatti sceso rispetto al 2021, mentre in Cina è salito. Il sorpasso era quindi prevedibile. 

 

La terza piazza fra i primi dieci se la accaparra la Germania, seguita da Regno Unito, Giappone, Francia, Corea del Sud, Canada, Svizzera e India. Comun denominatore per tutti questi Paesi, il calo dell'indice rispetto al 2021. Solo l'India si è conservata più o meno sul pari e patta. Italia non pervenuta. 


Non stupisce quindi che l'Accademia cinese per le Scienze sia oggi in vetta alla classifica internazionale, con un punteggio più che doppio rispetto alla blasonatissima università americana di Harvard. Non solo: altre università cinesi figurano al 5°, 6°, 7°, 9° e 10° posto nella top ten delle università più avanzate e produttive del mondo.

 

Sei posti su dieci sono quindi occupati dalla ricerca cinese. Si salvano, oltre ad Harvard, solo la tedesca Max Planck Society (3°), Il Centro per la ricerca scientifica francese (4°) e l'università di Stanford, ancora in America (8°). 

 

Da scienze naturali ad agricoltura

Più nello specifico, la Cina sta sviluppando nuove aree di innovazione che guardano alle Scienze naturali e all'ecologia, classificandosi prima anche in questa speciale competizione "Green". Almeno in tal caso l'Italia si piazza decima, con un +2.7% di crescita dell'indice, spiccando quale unico Paese della Top Ten, oltre alla Cina, a crescere anziché calare. Ogni tanto qualche piccola soddisfazione il Bel paese riesce anche a prendersela. 


I riverberi di tale crescita tecnologica e culturale sono stati poi utilizzati anche a scopi agricoli, come per esempio la serra intelligente realizzata nel distretto di Yongchuan. In questa "vertical farm" tutti i processi chiave sono stati automatizzati per massimizzare la coltivazione del riso. Grazie alla tecnologia, con una superficie coperta al suolo di soli 4.600 metri quadrati (0,46 ettari) la serra ha oggi una capacità di coltivazione pari a 800 ettari di risaie.


Anche negli allevamenti i Cinesi non sembrano porsi limiti, come visto a Ezhou, nella provincia del Hubei, ove è stata realizzata una "porcilaia" verticale di 26 piani che prevede aria condizionata e percorsi automatizzati per la distribuzione del mangime. Attiva da ottobre 2022, il mega allevamento suinicolo è partito con 3.700 maiali, ma ha le potenzialità per arrivare a un milione e 200mila capi.

 

I vantaggi di tale struttura sono molteplici: abbatte significativamente i costi per unità di carne prodotta, creando un ambiente sufficientemente controllato e isolato da tener fuori malattie e parassiti. Almeno nelle intenzioni. Si vedrà nel tempo se tali promesse verranno mantenute. Jurassic Park, per quanto sia solo un film, insegna. 

 

Mentre quindi in Italia ci si accapiglia su vetuste e solo presunte azioni a difesa delle produzioni interne, più che altro di tipo protezionistico antidiluviano, la Cina sta gonfiando come uno tsunami agricolo ed economico pronto a spazzare via tutto ciò che trova sul suo cammino. Per lo meno, tutto ciò che si è guardato l'ombelico anziché investire in scienza e tecnologia.

 

La riprova? Dopo vent'anni persi a causa dell'oscurantismo anti-biotech, è stato finalmente concesso un anno per sperimentare in campo le nuove Tecniche di evoluzione assistita (Tea), altrimenti note come Genome editing o Crispr-Cas9. 

 

Un anno: praticamente un nulla, visto che per avere dati accettabili ce ne vorrebbero per lo meno tre per le colture erbacee e molti di più per quelle frutticole. Il tutto, nel mezzo di un'Europa che continua a inseguire mete il cui "green" pare più che altro quello del semaforo che nei prossimi decenni darà via libera alle produzioni cinesi (e non solo).

 

Perché alla fine, i piatti gli Europei continueranno giustamente a pretenderli pieni e garantiti. Se poi ciò che riempie quei piatti è Made in China, ce ne dovremo fare una ragione.