Il fronte dei cereali e dei semi oleosi è sempre caldissimo. E così, se sembra assodato che i prezzi di mais, soia, in parte anche frumento resteranno per l'intero anno su valori elevati, con una flessione - così almeno indicano i future - nel 2024 e 2025, è bene porsi alcune domande che potrebbero aiutare i produttori e ancor più, forse, gli allevatori, nel corso del 2023.

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Secondo le previsioni elaborate dall'Usda, il Dipartimento di Agricoltura degli Stati Uniti, e riportate da Teseo.Clal.it, la produzione 2022-2023 di mais in Unione Europea dovrebbe diminuire addirittura del 23,6%. Nessuna altra area del Pianeta si ritroverà a dover gestire una flessione così significativa, con un taglio dei raccolti vicino quasi a un quarto.

 

Gli Stati Uniti, invece, dovrebbero fare i conti con una minore produzione, ma più limitata, nell'ordine del -8,9% rispetto all'annata precedente. Numeri che, complessivamente, porteranno ad una produzione mondiale di mais più contenuta, nell'ordine del -4,9% rispetto alla stagione 2021-2022.

 

Ebbene, se questo dovesse essere il quadro - avvertiamo prudentemente che si tratta pur sempre di previsioni, suscettibili dunque di modifiche - la prima domanda è la seguente: come reagiranno gli allevatori europei al brusco calo produttivo interno di mais, elemento chiave della razione alimentare, in quanto ne è una componente essenziale? Continueranno a sostenere le produzioni zootecniche, magari acquistando mais a prezzi sostenuti oppure valuteranno di ridurre le produzioni in Europa? E chi soffrirà maggiormente del taglio e, questione non banale, quale impatto subirà l'export Ue di prodotti di origine animale?

 

Altro elemento, connesso. Le importazioni di mais in Ue-27 vengono date in aumento nel corso della stagione 2022-2023 (+8,7%), mentre i consumi di mais sono previsti in calo dell'8%, con una erosione dei magazzini comunitari nell'ordine del 26,2%, aspetto da non trascurare in chiave di sovranità alimentare.

 

Già oggi l'Unione Europea è deficitaria di mais, con un'autosufficienza nei 27 Stati membri pari all'84,1%. L'Italia è messa in una situazione ancora più precaria. Il nostro Paese, negli anni, ha visto progressivamente erodersi la superficie coltivata a mais, ed è sceso al 49% di autosufficienza.

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Ampliando lo sguardo all'Ue, è più critica la situazione in Portogallo (27% di autosufficienza) e Spagna (31% i livelli di autoapprovvigionamento), così come in alcune aree del Nord Europa come il Belgio (21%), la Danimarca (17%), la Svezia (17%), per arrivare al 3% dell'Olanda, che può sicuramente contare su una maggiore modernità della logistica, ma che necessita di notevoli quantità di import di mais per sostenere una delle zootecnie più spinte del Globo. Cosa faranno? Come si comporteranno i produttori italiani? Avranno la forza di continuare ad acquistare a prezzi elevati, se le quotazioni delle carni bovine, dei suini e del latte dovessero disgraziatamente (ma forse purtroppo prevedibilmente) segnare una flessione?

 

La reazione dei mercati sarà un'altra variabile alla quale guardare con particolare interesse e le notizie che trapelano dal World Economic Forum (Wef) di Davos non sono foriere di ottimismo. Secondo un report del Wef, infatti, gran parte degli economisti di istituzioni internazionali e società private si aspettano una recessione globale nel 2023, al punto che il 18% degli esperti intervistati considera l'evento "estremamente probabile", una percentuale più che doppia rispetto all'anno scorso. Ed è il dato peggiore dal 2011, secondo gli archivi.

 

Un'altra domanda arriva dalla situazione che si è venuta a creare in Ucraina. Secondo i dati indicati dall'Associazione nazionale di settore, lo scorso anno il raccolto di grano in Ucraina è diminuito a 64 milioni di tonnellate (-40% sul 2021). Un dato allarmante, se si pensa che l'Ucraina rappresenta il 15% dei volumi mondiali di mais commercializzati e il 12% di grano. Lo si è visto con chiarezza nei mesi scorsi, prima che si attivassero i corridoi della solidarietà fra Ucraina ed Europa e che Ucraina e Russia siglassero con le Nazioni Unite e la mediazione della Turchia l'accordo sull'esportazione sicura di granaglie attraverso il Mar Nero.

 

Viene quindi da chiedersi: quale sarà l'impatto sui prezzi e sulle rotte mondiali di cereali? L'Unione Europea, che nei primi otto mesi del 2022 ha sostenuto l'export di grano verso l'Africa (+80% tendenziale) e verso l'area del Medio Oriente (+40%), con la prospettiva di un taglio dei raccolti di mais (abbiamo visto più sopra i numeri) e di grano (-2,5% le rese in campo e -15,3% gli stock a fine anno) riuscirà a mantenere elevate le esportazioni?

 

L'alternativa, in caso di rallentamento dell'export dell'Ue, sarebbe un aggravarsi della crisi alimentare mondiale, in particolare nei Paesi più povero del mondo, tenuto anche conto che in alcune zone dell'Asia centrale e del Corno d'Africa quasi sicuramente verranno meno i quantitativi che lo scorso anno è riuscita ad esportare l'India, per effetto di una politica protezionistica particolarmente difensiva, attuata da Nuova Delhi.

 

I conti (agricoli) della Cina

A livello globale non si può, poi, prescindere dalla Cina, il gigante alle prese con una fase particolarmente tumultuosa in questo spicchio di Ventunesimo Secolo. Per la prima volta dopo decenni la popolazione interna registra una decrescita, l'economia sta attraversando una fase di crescita meno vivace rispetto agli ultimi due decenni e l'andamento del covid-19, quando si parla di ex Celeste Impero, resta avvolto da una nebbia fittissima.

 

Qualche dato legato all'agricoltura, fra le righe, possiamo tuttavia coglierlo e azzardare qualche interpretazione, tenuto conto che la questione alimentare è sempre stata uno dei pallini dei governanti ben asserragliati nei sacri palazzi della Città Proibita.

 

La Cina, grazie a una produzione interna di mais in aumento (+1,7%) dovrebbe nel 2023 rallentare le importazioni e farlo con percentuali significative (-17,7%). Allo stesso tempo, i consumi di mais sono dati in aumento a 297 milioni di tonnellate (+2,1% su base tendenziale), a conferma di una zootecnia che si sta rafforzando nel Paese del Dragone. Per dare un'idea dei volumi dei consumi cinesi di mais, l'Unione Europea nel corso del 2023 dovrebbe utilizzare 76,10 milioni di tonnellate, quasi quattro volte meno della Cina.

Ecco che una produzione di mais che si rafforza potrebbe significare, con buona probabilità, un rallentamento delle importazioni da parte di Pechino. Con quali effetti sui prezzi?

 

Un'altra questione aperta: gli stock finali della Cina, benché in lieve diminuzione (-0,9% tendenziale) sfioreranno il 70% di tutti gli stock mondiali di mais. Un dato che, qualora le tensioni geopolitiche nell'area Asia-Pacifico dovessero registrare una escalation, deve essere tenuto in particolare considerazione, soprattutto dalla debole Europa. Possiamo infatti vedere che gli Stati Uniti, con 31,5 milioni di tonnellate di mais, si ritroveranno a detenere il 10,6% di tutti gli stock mondiali. E l'Unione Europea? Si potrebbe trovare in una condizione ben più preoccupante, dal momento che le scorte maidicole previste a magazzino a fine 2023 ammonteranno a 7,3 milioni di tonnellate, cioè appena il 2,5% di tutti gli stock globali. Un po' poco, tenuto conto che siamo lontani come Ue all'autosufficienza. Non vi pare?

 

Sta di fatto che Xi Jinping ha adottato una politica di espansione e rafforzamento delle produzioni agricole e zootecniche, da un lato aprendo all'importazione di prodotti Ogm, come nelle ultime settimane è avvenuto per fieno, mais, canna da zucchero. A beneficiarne, in particolare, saranno Stati Uniti, primo fornitore di fieno di medica della Cina, e il Brasile, che negli ultimi anni ha rafforzato i rapporti commerciali con Pechino.

 

Soia, stime e prezzi

Veniamo al Brasile e all'America Latina, dove la questione climatica pesa tanto quanto l'Emisfero Nord. Il Brasile, da solo, esporta oltre il 54% di tutta la soia commercializzata a livello mondiale. D'altronde, è il primo produttore con una quota che si aggira intorno al 39,4%, davanti agli Stati Uniti, che producono il 30% della soia a livello mondiale.

 

I prezzi della soia sono particolarmente sostenuti, anche se, in questa fase, le dinamiche non sono omogenee sui diversi mercati internazionali. Il mercato statunitense sta attraversando una fase di euforia, mentre in Europa i prezzi, che si mantengono comunque su valori considerevoli, sono in frenata, ad eccezione della Polonia che ha inaugurato il 2023 con rimbalzi positivi dei listini.

 

In base alle stime Usda gli effetti de La Niña non dovrebbero ripercuotersi eccessivamente sulle produzioni sudamericane di soia, date in aumento rispetto all'annata precedente. Potrebbe una produzione in crescita del 18,1% in Brasile e del 3,6% in Argentina mitigare i prezzi? Se sì, in quale misura? In caso contrario, se cioè i prezzi dovessero mantenersi su livelli elevati, come reagirà l'Unione Europea, che aveva annunciato forti sostegni per aumentare le produzioni interne? E gli allevatori, si orienteranno su proteine alternative oppure sosterranno i costi di una razione alimentare non certo a buon mercato?

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