"Inquino meno io!", "No, inquino meno io!". Non pare finire mai la gara a chi inquina di meno, oppure a chi accusa gli altri di inquinare di più, salvo poi scoprire che su alcuni punti è vero il contrario. Ad animare ulteriormente tale querelle è giunta una ricerca italiana, prodotta nel 2016, della quale ha già realizzato una buona sintesi Riso italiano alla cui lettura eventualmente si rimanda.

Non che tale studio sia la prima volta che emerge, dato che fu incluso oltre un anno fa nelle missive inviate al Senato dal Gruppo SeTA (Scienze e tecnologie per l'agricoltura), proprio mentre si discuteva il controverso DDL 988 su agricoltura biologica e biodinamica.

Sebbene non sia più una vera new entry, lo studio avrebbe comunque evidenziato come il riso biologico abbia impatti complessivi superiori a quello coltivato seguendo l'approccio integrato. Il tutto, analizzando 11 differenti variabili. Fra queste, in un solo caso gli impatti della risicoltura integrata sarebbero risultati peggiori di quella biologica e cioè sulla presenza di agrofarmaci nelle acque.

Circa tale argomento sono stati già prodotti in passato diversi articoli e dossier atti a spiegare come “presenza” non vada confusa con “pericolo”, né tantomeno “danno”. Trovare residui di agrofarmaci nelle acque, infatti, non significa che si stiano verificando danni a carico degli organismi che vi vivono, né a carico dei cittadini che quell’acqua bevono.


Emissioni e Global warming

Ormai appurati sono invece i gravi danni al Pianeta dovuti alle emissioni di gas serra, come CO2, metano e NOx. In tal senso è noto come l’agricoltura bio abbia dei “carbon footprint” migliori di quella integrata quando si ragioni in termini di unità di superficie coltivata, salvo perdere lo scettro di "enviromentally friendly" quando si ragioni invece sulle unità di alimenti prodotti. Per esempio, un ettaro di grano biologico, o di riso, emette meno gas serra di un ettaro di grano o di riso "integrato". Al contrario, un chilo di grano o di riso bio produce più emissioni di un chilo di grano o di riso "integrato". Ciò perché le emissioni vengono spalmate su un numero inferiore di chili, alzandone lo score per singola unità.

Quindi, ciò che appare ottimo su scala locale, ragionando unicamente sulle emissioni prodotte per ettaro, diventa pessimo su scala planetaria, quando cioè si effettui il calcolo sugli impatti globali causati dalla produzione degli approvvigionamenti agroalimentari. Bene sarebbe quindi ripensare a certi obiettivi europei, come quelli previsti dal Green Deal, con le superfici a bio da portare dall'attuale 8% scarso al 25%.

Sicuramente, una volta raggiunto tale obiettivo Bruxelles potrebbe pavoneggiarsi col resto del mondo per la riduzione continentale delle emissioni agricole, ma dovrebbe poi lavorare parecchio per giustificare le emissioni delegate ad altri Paesi extra-Ue, quelli cioè obbligati dalle nostre scelte, spacciate per eco-friendly, a produrre cibo anche per il Vecchio Continente. E ciò significa inquinare al posto nostro e su nostro mandato. Francamente, pare non vi sia alcunché di nobile in tale atteggiamento, né di razionale, pensando che il Pianeta è tondo e l'atmosfera è sempre quella ovunque si viva.


Altre ricerche dal Sol Levante

Fra gli studi consultati a margine della ricerca italiana, ve n’è uno che ha stimolato un'analisi particolarmente attenta, ovvero quello di tre ricercatori giapponesi: S. Hokazono, K. Hayashi e M. Sato (2009): “Potentialities of organic and sustainable rice production in Japan from a life cycle perspective”. Agronomy research 7 (Special issue I), 257–262, 2009.

Gli scienziati nipponici hanno confrontato le emissioni di gas serra e gli effetti eutrofizzanti di tre differenti forme di risicoltura giapponese: quella convenzionale, quella biologica e quella definita “sustainable”, sovrapponibile a ciò che in Occidente definiamo "agricoltura integrata".

In primis, si evince come le emissioni di gas serra si confermino minori per il riso bio rispetto al convenzionale quando il dato sia riferito all'unità di superficie, cioè l'ettaro, ma non quando venga espresso per unità prodotta, cioè il chilo. In tal caso i rapporti fra i due differenti modi di produrre letteralmente si ribaltano, mostrandosi il chilo di riso convenzionale meno "emissivo" di quello biologico.

Quanto all'eutrofizzazione delle acque, invece, la risicoltura bio risulta sempre migliore della convenzionale in termini sia di unità di superficie, sia di unità di prodotto.

A vincere però la gara a tre per lo scettro dei minori impatti è stata la risicoltura definita “sustainable”. In tal caso, gas serra ed eutrofizzazione appaiono minori sotto entrambi i criteri di valutazione. A dimostrazione che la chimica di sintesi non è affatto una nemica dell'ambiente quando usata in modo responsabile e sapiente.


Lucro Vs ambiente?

La vera particolarità dello studio nipponico è però legata al confronto che i ricercatori hanno prodotto sui due tipi di impatto in funzione del reddito generato, espresso ovviamente in yen. Nei due anni presi in considerazione dallo studio, convenzionale, sostenibile e biologico hanno rispettivamente generato rese medie pari a 5.960, 5.580 e 4.970 chilogrammi l'ettaro. Diversi però i prezzi riconosciuti ai risicoltori: 250 yen/kg per il riso convenzionale, salito a 283 yen/kg per il "sustainable" e infine a 367 yen/kg per il riso biologico. I ritorni economici delle tre modalità colturali sono quindi stati rispettivamente di 1.490.000, 1.579.140 e 1.823.990 yen.

La risicoltura convenzionale ha quindi sì prodotto ben il 20% in più di quella biologica, ma con un prezzo alla vendita che non arrivava neanche al 70% di quello bio ha fatto incassare agli agricoltori oltre il 18% in meno. La risicoltura sostenibile ha anch’essa prodotto più della biologica, circa il 12% in più, ma ha incassato anch'essa il 14% in meno.

Esprimendo gli impatti ambientali in rapporto alla ricchezza generata, ovvero emissioni ed eutrofizzazione per mille yen, il riso biologico sbaraglia la concorrenza, sia esprimendo i dati per chilo di prodotto, sia per superficie. La curiosità che genera però tale calcolo risiede nel fatto che i ricercatori pare quasi vogliano dimostrare che l’inquinamento diminuisca quando espresso in funzione degli yen ottenuti dagli agricoltori. In sostanza, è un po' come dire che l’economia batte comunque l’ambiente.

Meglio sarebbe quindi non utilizzare questa pur lampante evidenza come argomento a sostegno del bio, per lo meno dal punto di vista ambientale globale. Un consiglio che sicuramente farà sorridere di scherno tutti coloro che hanno impostato la propria vita e i propri business sul famoso detto latino "pecunia non olet": i soldi non puzzano. Neanche quando inquinano.