La pandemia di Covid-19 ha messo a dura prova il settore agroalimentare mondiale. Gli agricoltori hanno avuto difficoltà ad approvvigionarsi di materie prime e di manodopera. Molti produttori hanno visto marcire in campo i propri prodotti, mentre i traffici internazionali hanno subito uno stop improvviso. Certo, il settore nel suo complesso ha retto, ma ora che la fase di emergenza è finita bisogna chiedersi come disegnare una supply chain più resiliente e sostenibile.

Durante un webinar nell'ambito del Future of farming dialogue 2020, una serie di eventi in streaming a livello globale organizzata da Bayer Crop Science, esperti da tutto il mondo hanno discusso di come aumentare la resilienza del sistema agroalimentare.
 

Niente scaffali vuoti nei supermercati

Prima di tutto bisogna partire da una buona notizia: nessuna persona è entrata in un supermercato e ha trovato gli scaffali vuoti a causa del coronavirus. Certo, in alcune aree la situazione è stata dura, come ha spiegato Manuel Otero, direttore generale di Iica (Inter-American institute for cooperation). Nella zona dei Caraibi ad esempio l'80% dei ricavi generati dal turismo è speso per l'acquisto di cibo e con il blocco dei flussi turistici la situazione si è fatta drammatica.

Altri paesi, come quelli dell'America latina, hanno risentito meno del lockdown e nei primi sei mesi del 2020 hanno aumentato le esportazioni di commodities del 6,5%. In Europa ad aver sofferto sono stati specifici settori, come ha raccontato Heike Axmann dell'Università di Wageningen. La chiusura del canale Horeca ad esempio ha dato un duro colpo al settore della carne e del vino, senza considerare la chiusura totale del florovivaismo.
 
Un momento della discussione
Un momento della discussione

La buona notizia è che secondo un sondaggio condotto dall'università olandese circa un quarto dei cittadini dei Paesi Bassi ha dichiarato di prestare maggiore attenzione allo spreco di cibo. Lo spauracchio dello scaffale vuoto sembra aver mutato la nostra percezione del valore del cibo.

A portare la voce degli agricoltori ci ha pensato John Kowalchuk, farmer canadese che ha avuto difficoltà a vendere una parte della sua produzione di orzo. John non ha invece avuto grossi problemi a rifornirsi di sementi o agrofarmaci, ma quello che lo ha più spaventato è stata la possibilità di ammalarsi. Questo avrebbe comportato l'impossibilità di entrare in campo e quindo di seminare o raccogliere, con pesantissime ripercussioni sul bilancio aziendale.

Dal canto suo Bayer ha fatto di tutto per stare a fianco degli agricoltori, come ha raccontato Dirk Backhaus, head of product supply di Bayer Crop Science. Se nelle filiali della società sparse in tutto il mondo i dipendenti hanno lavorato da remoto, i tecnici e i ricercatori in campo hanno continuato ad operare, pur adottando tutte le precauzioni disponibili.
 

Locale è (non) sempre buono

Se una parte del cibo prodotto durante il lockdown è andata persa per l'impossibilità di raggiungere il consumatore, in molti hanno sostenuto la tesi che anche dopo la pandemia sarebbe importante comprare solo da produttori locali. Una tesi che tuttavia è stata contestata dai relatori.

Otero ha sottolineato infatti come solo una parte della popolazione mondiale possa rifornirsi di cibo localmente (si pensi a chi vive in aree inospitali, come il deserto o la Siberia). Inoltre ci sono luoghi vocati alla produzione di alcuni alimenti (come le banane) il cui trasporto influisce meno sull'ambiente rispetto ad una produzione locale 'forzata'.

Se Kowalchuk ha portato la sua esperienza di produttore di commodities che vengono trasportate per il mondo e di consumatore di prodotti locali, Axmann ha spiegato come in Olanda si sia sviluppata una piattaforma digitale per mettere in contatto produttori locali e consumatori. E sembra che il modello più efficiente sia quello misto: compro ciò che posso localmente e per la restante parte mi affido alle importazioni.
 

L'impegno di Bayer per essere carbon neutral

Il webinar è stato anche l'occasione per sottolineare l'impegno di Bayer nei confronti del clima. Come ha spiegato Backhaus l'azienda ha come obiettivo quello di diventare 'climate neutral' entro il 2030.

Per farlo sono state messe in campo diverse iniziative, come ad esempio acquistare l'energia da produttori che impiegano fonti rinnovabili. Inoltre la società si è impegnata, sempre entro il 2030, a ridurre le emissioni di gas climalteranti lungo tutta la supply chain e anche di supportare gli agricoltori nell'essere più sostenibili, ponendosi come obiettivo la riduzione della carbon footprint del cibo prodotto in campo del 30%.