Sugli scaffali del supermercato è facile trovare bottiglie di olio extravergine di oliva ad un prezzo che oscilla tra i 2,6 e i 3,20 euro al litro. Prezzi ben lontani dai costi di produzione dei nostri olivicoltori e infatti sui social network, come al bar, l'indignazione degli agricoltori italiani è forte.

C'è chi grida alla frode, chi accusa la grande distribuzione di vendere sottocosto l'olio per attirare i clienti e chi invece punta il dito contro la Spagna o la Tunisia. Chi ha ragione? E soprattutto: come si forma il prezzo di mercato dell'olio extravergine di oliva?


Le quotazioni dell'olio extravergine di oliva

Partiamo dai dati: ad oggi la quotazione per l'olio extravergine di oliva sulla piazza di Bari oscilla tra 3,70 e 3,90 euro al chilo mentre in Spagna è quasi la metà, intorno ai 2 euro, mentre in Tunisia la materia prima è ancora più a buon mercato.

"Quando valutiamo il prezzo di un prodotto allo scaffale dobbiamo prima di tutto comprendere la tipologia di olio che acquistiamo", spiega Giovanni Sanesi, professore all'Università di Bari, dipartimento di Scienze agro-ambientali e territoriali.

"Se sull'etichetta troviamo la dicitura olio di oliva extravergine di provenienza comunitaria e il costo si aggira intorno ai 3 euro è plausibile che questo provenga dalla Spagna, dove i costi di produzione sono ben più bassi rispetto a quelli dell'Italia. Se allo stesso prezzo troviamo un olio italiano dobbiamo invece insospettirci. A meno che non ci si trovi a fine stagione e le promozioni siano volte a svuotare i magazzini in vista della nuova produzione". Oppure nel caso in cui il prodotto sia venduto sottocosto, quindi in perdita, con il solo scopo di attirare nell'esercizio commerciale potenziali clienti.

C'è poi sempre il capitolo frodi e adulterazioni. Gli organismi di vigilanza infatti non di rado trovano olio tunisino venduto in Italia come comunitario dopo un passaggio in Spagna o Malta. Oppure oli di semi adulterati e venduti come olio extravergine di oliva. Si tratta tuttavia di casi isolati che non sono determinanti per la formazione dei prezzi di mercato.


I costi di produzione

La differenza nelle quotazioni di mercato tra olio d'oliva prodotto in Italia, in Spagna o nel Nordafrica è determinata principalmente dai differenti costi di produzione. In Italia vige un sistema colturale con poche piante ad ettaro (circa 300) e le olive vengono raccolte a mano con l'aiuto di scuotitori e agevolatori. La resa è di 4-5 tonnellate ad ettaro.

In Spagna invece ci sono grandi impianti superintensivi con 1.200-2mila piante ad ettaro in cui tutte le fasi di produzione sono meccanizzate. "Questo comporta un drastico calo dei costi di produzione che permette agli olivicoltori spagnoli di mettere sul mercato un prodotto di qualità media a prezzi decisamente inferiori rispetto a quelli italiani", spiega Gabriele Canali, professore di Economia agraria all'Università Cattolica del Sacro Cuore.
 
In Tunisia, come nel resto del Nordafrica, è invece la manodopera ad avere un costo di molto inferiore rispetto all'Europa. Gli accordi per le importazioni a dazio zero da questo paese certamente non aiutano le dinamiche dei prezzi, ma come vedremo in seguito non si può mettere sullo stesso piano il prodotto made in Italy e quello estero.

Bisogna poi considerare che la produzione italiana non soddisfa il fabbisogno nazionale né tantomeno le quantità richieste dagli esportatori. Nei primi cinque mesi del 2020 abbiamo importato circa 200mila tonnellate di olio extravergine di oliva e ne abbiamo esportate circa 130mila. Con un saldo in volumi decisamente negativo.


Valorizzare la qualità

E dunque quali strumenti hanno gli olivicoltori italiani per non soccombere alle logiche di prezzo del mercato? "La grande distribuzione si rifornisce di olio da pochi grandi imbottigliatori che comprano grosse quantità di materia prima al più basso prezzo di mercato che riescono a trovare. Pensare di fare concorrenza a spagnoli e tunisini su questo fronte è impensabile. A meno di non cambiare il modello produttivo. Occorre invece puntare sulla qualità e sul legame con il territorio, un po' come si fa con il vino", spiega Sanesi.

"Anche la Gdo in ogni caso accanto all'olio extravergine di oliva a basso costo promosso sui volantini ha spesso in scaffale oli con prezzi intorno ai 10 euro, biologici e non, per soddisfare le esigenze di quei consumatori disposti a spendere qualche euro in più in cambio di un prodotto di qualità".

Il problema resta lo sbocco commerciale. I piccoli produttori che conferiscono il proprio prodotto ai grossisti non possono sperare di svincolarsi dalle logiche del mercato. Occorre rivolgersi direttamente al consumatore con etichette proprie. "Il modello da seguire è quello dei consorzi di tutela", spiega Canali. "Occorre mettere in atto delle strategie di filiera. Aggregare più produttori, definire dei disciplinari di produzione per assicurare una qualità omogenea e posizionarsi sul mercato con un brand distintivo che valorizzi il prodotto".

In Italia ci sono consorzi che funzionano bene, come quello del Parmigiano Reggiano, che adotta una comunicazione di marca forte nei confronti dei consumatori e gestisce l'intera filiera, stabilendo standard e quote. E arrivando a sanzionare i produttori che eccedono la produzione assegnata. Mentre tanti altri consorzi, pur avendo indicazioni di origine riconosciute, non riescono a distinguersi sul mercato.

Non bisogna dunque indignarsi davanti a scaffali con olio d'oliva extravergine a 3 euro al litro poiché si tratta di un prodotto che risponde a logiche produttive e di mercato differenti da quelle a cui dovrebbero guardare gli olivicoltori italiani. Sarebbe come se un produttore di Barolo si indignasse per una bottiglia di vino australiano a 4 euro al litro. Ci sarà sempre il consumatore che sceglie il prezzo più basso, come ci sarà sempre quello che preferisce la qualità.