Appena finito il Vinitaly qualche riflessione sul vino bisognerà pur farla.

Noi l'altro giorno, dopo un incontro con Attilio Scienza, stavamo riflettendo di come i cambiamenti climatici e le mutevoli esigenze dei consumatori abbiano portato nei secoli alla modifica delle colture e delle tecniche vitivinicole.
Come ci insegna il grande Scienza, nelle sue millanta pubblicazioni come nel recente (e godevolissimo) "La stirpe del vino" (Sperling&Kupfer), i grandi vini si sono diversificati nei secoli seguendo le bizzarrie del clima (ovvero l'alternarsi di riscaldamenti e raffreddamenti globali) ma anche le ubbie dei consumatori.

Alcuni esperti di gran vaglia ci hanno raccontato che oggi adeguarsi al consumatore significa garantire il rispetto dell'ambiente e la sostenibilità (ambientale, etica…) ma anche tendere verso vini con una minore gradazione alcolica. Ecco: qui ci vuole attenzione;  il mercato cambia velocemente ma in vigna e in cantina i cambiamenti sono necessariamente lenti.

I cambiamenti climatici porteranno di certo a una modifica della nostra produzione vitivinicola. C'è chi dice che Cabernet e Merlot siano destinati a sparire dalla penisola, chi parla di difficoltà nelle zone rivierasche e di exploit in collina e di una prossima somiglianza dei nostri vini a quelli australiani o sud-africani.

Poi c'è il mercato. Negli Usa per esempio gli operatori hanno qualche preoccupazione che dopo 24 anni di crescita continua il mercato del vino possa segnare una battuta di arresto.
A causare il rallentamento dei consumi sarebbero le bibite alternative, come quelle a base di cannabis (recentemente legalizzate in molti stati) o la kombucha. Negli Usa il mercato dei prodotti a base di cannabis si prevede (dati Usda) crescerà al 2020 da 2,3 a 23 miliardi di dollari.
In vino veritas (in cannabis non lo so).