Alla scuola elementare si studia come le piante siano in grado, attraverso la fotosintesi clorofilliana, di utilizzare la luce del sole, l'acqua e l'anidride carbonica (CO2) presente nell'aria per produrre carboidrati, che sono alla base del metabolismo di ogni vegetale. All'interno dei tessuti è quindi intrappolato del carbonio che prima era disperso in atmosfera, sotto forma di anidride carbonica. E proprio la CO2 è il principale gas (per volumi) che causa il surriscaldamento globale e i cambiamenti climatici.

 

Partendo da questo concetto base, negli ultimi anni si è iniziato a parlare di carbon farming, della possibilità cioè di stoccare all'interno dei suoli agricoli anidride carbonica, sotto forma di sostanza organica. Un meccanismo naturale che permetterebbe di ridurre la presenza di CO2 in atmosfera, rallentando il global warming, e al contempo porterebbe agli agricoltori una serie di vantaggi. Tra gli altri, l'aumento della fertilità dei campi e la possibilità di ottenere dei carbon credit vendibili sul mercato.

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Ma il carbon farming è davvero uno strumento utile a rallentare il surriscaldamento globale? E gli agricoltori quanto potrebbero guadagnare da queste pratiche? Per chiarire la situazione e mettere qualche dato in una discussione che rischia di essere troppo astratta, abbiamo intervistato Luca Montanarella, per anni responsabile del Soil Data and Information Systems del Joint Research Centre (Jrc), l'ente scientifico della Commissione Europea, e tra i massimi esperti di suolo al mondo.

 

Partiamo dal principio, in quale modo la sostanza organica presente nel terreno è legata all'anidride carbonica in atmosfera?

"Se le condizioni ambientali sono favorevoli, quando i resti vegetali si trovano all'interno del suolo vanno incontro ad un processo di umificazione che stabilizza il carbonio organico, precedentemente in atmosfera sotto forma di CO2, in una sostanza chiamata humus".

 

Ci può fare un esempio?

"Prendiamo un albero: quando muoiono il tronco e la chioma vengono degradati lentamente dagli artropodi e dai microrganismi presenti nell'ambiente e l'anidride carbonica usata dalla pianta per crescere ritorna in atmosfera. Una parte della biomassa presente nel suolo, invece, a causa dell'assenza di ossigeno e di altre condizioni predisponenti, come le basse temperature, si trasforma in humus, che è una forma stabile nel tempo di sostanza organica".

 

Quanta sostanza organica c'è in un terreno non agricolo?

"Fornire un numero univoco è impossibile, in quanto le percentuali sono molto variabili. Nella fascia boreale, caratterizzata da basse temperature e alta piovosità, si può arrivare ad avere anche il 20% di sostanza organica nel suolo. Nelle torbiere può anche essere più alta, arrivando al 60-90%. In un suolo non agricolo della Pianura padana le percentuali sono più basse, intorno al 2-3%, mentre al Sud, dove fa più caldo e piove meno, si scende all'1-2%".

 

Perché i suoli più caldi e asciutti hanno meno sostanza organica?

"Perché i microrganismi che sono presenti nel suolo mineralizzano più velocemente i residui vegetali, liberando le componenti base, come l'azoto, il carbonio, il fosforo o il potassio, che possono essere intercettate dalle piante o possono disperdersi in atmosfera, come nel caso del carbonio".

 

Lei ha sempre parlato di suoli non agricoli, come mai?

"Perché nei suoli agricoli, anche quelli del Nord Europa, la sostanza organica è molto più bassa, intorno all'1-2%. In particolare, le lavorazioni del terreno, esponendo la sostanza organica all'ossigeno, velocizzano i processi di mineralizzazione".

 

Quali sono gli effetti di una aratura?

"L'aratura rende più facile l'esplorazione del terreno da parte delle radici e favorendo la mineralizzazione della sostanza organica può mettere a disposizione delle colture gli elementi nutritivi intrappolati nei tessuti vegetali morti. Tuttavia diminuisce la sostanza organica nel terreno e contribuisce a destrutturarlo".

 

Quali sono i benefici della presenza di sostanza organica nei suoli?

"La sostanza organica migliora la fertilità, mettendo a disposizione delle piante nutrienti sul lungo periodo. Inoltre migliora la struttura del suolo, rendendolo maggiormente in grado di ritenere l'acqua e di assorbire piogge improvvise. Inoltre, un suolo ricco di sostanza organica è un suolo più vitale, come un'elevata biodiversità".

 

Quali sono le pratiche agricole utili ad aumentare la sostanza organica nei suoli?

"Innanzitutto occorre non lavorare il terreno o lavorarlo solo superficialmente. Inoltre è utile la semina di cover crop invernali, come anche l'apporto di effluenti zootecnici".

 

Quanta anidride carbonica può sequestrare un terreno agricolo che passa da una lavorazione tradizionale a pratiche di "carbon farming"?

"Anche in questo caso è difficilissimo dare dei numeri, in quanto le variabili in gioco sono molte. Comunque, potremmo aspettarci un sequestro di circa 1 tonnellata di CO2 all'ettaro all'anno".

 

Visto che 1 tonnellata di CO2 equivale ad un credito di carbonio e che oggi un credito di carbonio può valere al massimo una quindicina di euro (ma anche molto meno), il gioco non sembra valere la candela…

"Se si pensa di convincere gli agricoltori ad adottare le pratiche di carbon farming con la promessa di guadagnarci con i crediti di carbonio si sta facendo un'operazione fallimentare. Gli agricoltori dovrebbero cambiare gestione perché gli conviene avere campi con maggiore sostanza organica, non certo perché così possono vendere i crediti di carbonio. Semmai dovrebbero essere previsti degli incentivi pubblici".

 

La Commissione Europea sta valutando se incentivare queste pratiche, proprio in un'ottica di contributo al rallentamento del surriscaldamento globale. Ma quanto può contribuire l'agricoltura?

"Sarò chiaro: se intendiamo risolvere la questione del climate change attraverso il sequestro di CO2 nei suoli agricoli non avremo successo. Accumulare sostanza organica nei suoli è un processo lunghissimo, di decine di anni, con sequestri bassi che sono poco influenti sugli equilibri del clima".

 

Ci può spiegare meglio?

"Nel primo metro di suolo, a livello globale, sono presenti circa 1.600 gigaton (1.600 miliardi di tonnellate) di CO2 equivalente. Se pensiamo che al mondo gli ettari coltivati sono circa 1,6 miliardi, risulta evidente quanto poco si possa impattare sullo stock totale di anidride carbonica sequestrata".

 

Qual è dunque il suo giudizio sul carbon farming?

"Andrebbe incentivato con fondi pubblici, in quanto migliora la qualità dei suoli e, in piccola parte, contribuisce a rallentare il surriscaldamento globale. Ma se vogliamo fermare il cambiamento del clima occorre intervenire sulle emissioni nette".

 

Molte aziende e startup lavorano oggi sul tema della quantificazione della sostanza organica presente nei suoli tramite sensoristica remota e modelli previsionali. Questo per evitare di dover effettuare delle analisi del terreno, che sono molto costose. Secondo lei è un approccio attendibile?

"Ad oggi non esiste un sistema di telerilevamento o un modello che sia in grado di misurare o stimare correttamente la quantità di sostanza organica presente nel terreno. Questo per due motivi. Primo, perché la variabilità del suolo è elevatissima, anche in un'area ristretta. Secondo, perché il suolo varia anche in verticale e non ci sono sensori in grado di misurare ciò che accade sotto i primi 2-3 centimetri di terreno".