L'agroecologia, oltre ad aspetti posiviti ambientali e agronomici, può dare anche vantaggi socio economici, come la valorizzazione delle produzioni, il rafforzamento delle filiere corte e la creazione di posti di lavoro.

 

A suggerirlo è uno studio da poco pubblicato sulla rivista scientifica Agronomy for Sustainable Development che è stato condotto dai ricercatori della Scuola Sant'Anna di Pisa e dell'Istituto Superiore di Agricoltura (Isara) di Lione in Francia.

 

Per approfondire la cosa abbiamo intervistato il professore Paolo Bàrberi della Scuola Sant'Anna che ha coordinato i lavori.

 

Professor Bàrberi, innanzitutto, cosa si intende per agroecologia?
"L'agroecologia è un nuovo paradigma per la gestione dei sistemi agroalimentari che prende spunto dai principi dell'ecologia per trasferirli alla gestione della filiera agroalimentare. L'obiettivo è sfruttare al meglio le interazioni positive che ci possono essere nell'agroecosistema per ridurre al minimo gli input esterni come fertilizzanti, fitofarmaci, acqua e carburanti fossili.
Un modo di fare agricoltura che la Fao definisce un approccio olistico e integrato che applica insieme concetti e principi ecologici e sociali per un'agricoltura e una produzione di cibo sostenibili.
L'allargamento di questo approccio a tutta la filiera agroalimentare permette anche di ottenere dei benefici a monte della filiera, cioè per gli agricoltori, garantendo un maggiore valore ai prodotti e una adeguata retribuzione a chi li produce".

 

Ma che differenza c'è con l'agricoltura biologica?
"L'agricoltura biologica è il modello produttivo più noto e normato che si rifà ai principi dell'agroecologia. La differenza principale è che l'agricoltura biologica è un sistema certificato, per l'agroecologia si hanno dei principi di fondo, ma non un riferimento normativo preciso. E questo è un potenziale punto debole, dal momento che chiunque in teoria potrebbe usare il termine 'agroecologia' e associarlo alla propria realtà, magari certificandolo con un sistema di certificazione volontaria. 

 

Per questo si sta lavorando ad un sistema di norme UNI ISO, in modo che si faccia un uso corretto del termine, in un quadro chiaro e definito di principi, anche se non c'è l'intenzione né l'interesse di fare un nuovo regolamento o un nuovo marchio. Non ce n'è bisogno e rischierebbe solo di creare confusione nei consumatori".

 

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In foto Paolo Bàrberi

(Fonte: Scuola Sant'Anna di Pisa)


Quali sono gli effetti positivi dell'agroecologia a livello ambientale?
"Dal punto di vista ambientale ci sono già molte evidenze positive sulla riduzione di fenomeni di inquinamento da fertilizzanti e presidi fitosanitari, compresa la riduzione dei residui di fitofarmaci negli alimenti.
A livello ecologico la maggiore diversificazione del sistema agricolo e l'uso di tecniche di lavorazione meno impattanti porta ad un aumento della fertilità del suolo e da qui, a cascata, altri aspetti positivi sull'ecosistema agrario, come l'aumento della biodiversità, la minor incidenza di fenomeni di resistenza ai fitofarmaci, la riduzione dell'erosione, ecc.

 

Ad oggi invece non ci sono ancora dati scientifici univoci sugli effetti positivi sulla salute umana legata a sistemi specificamente definiti agroecologici, ma ce ne sono già molti relativi all'agricoltura biologica che è un punto di riferimento nella galassia dell'agroecologia".


E quali sono gli effetti positivi a livello sociale ed economico?
"Dal nostro lavoro sono venuti fuori diversi aspetti positivi su un certo numero di indicatori, come la tendenza alla cooperazione tra produttori, la riduzione degli input, l'accorciamento delle filiere agroalimentari e una maggiore redditività per gli agricoltori.
In genere le aziende agroecologiche sono di piccole o medie dimensioni, hanno una spiccata tendenza alla cooperazione, a fare rete, a vendere insieme i prodotti e valorizzarli, solitamente in sistemi di vendita diretta, riducendo i costi e aumentando i benefici economici.

 

Un punto particolare poi sono i risvolti sul lavoro agricolo. I sistemi convenzionali tendono ad ottimizzare di più la forza lavoro, nel senso che un singolo lavoratore produce di più. Ma questo a costo di una semplificazione dei sistemi produttivi che poi ha effetti negativi sia ambientali che sociali.

I sistemi agroecologici hanno bisogno di un maggior numero di lavoratori, cosa che da una parte può essere vista come una riduzione dell'efficienza lavorativa, ma dall'altra rappresenta la capacità del sistema di creare occupazione. Non si tratta, infatti, di fare lo stesso lavoro con più persone, che sarebbe di per sé economicamente insensato, ma di fare un lavoro diverso, in un contesto produttivo più complesso che necessità di maggior personale, spesso qualificato.

In pratica, si aumenta l'efficienza lavorativa, ma in un sistema più complesso.

 

Un contesto produttivo che include anche le nuove tecnologie, compresa l'agricoltura di precisione. Non bisogna pensare, infatti, che l'agroecologia sia in contrasto con lo sviluppo tecnologico, quasi una sorta di ritorno al passato. Anzi, le nuove tecnologie agricole sono fondamentali per lo sviluppo di questo modello produttivo, tanto che si sta espandendo sempre di più un settore specifico: l'agroecologia digitale".


Come sono stati rilevati questi effetti?
"Tramite uno studio dei lavori scientifici pubblicati dal 2000 in poi, facendo il confronto tra pratiche agroecologiche e convenzionali, analizzando oltre 13mila lavori, che poi sono stati progressivamente selezionati su base qualitativa per valutare con maggior dettaglio i vari aspetti.

 

La maggior parte degli studi sono stati fatti al di fuori dell'Ue, in particolare in Asia, America Latina e Africa. Questo dipende dal fatto che sinora l'agroecologia è stata considerata un'opportunità migliore per sistemi extraeuropei e in generale per i sistemi agricoli di paesi meno sviluppati. Un altro aspetto che ha fatto sì che la maggior parte di questi studi fosse concentrato in queste zone del mondo è dovuto al fatto che molti degli studi sono incentrati su sistemi agroforestali e su sistemi agricoli in cui la consociazione delle colture o degli allevamenti è frequente, quando non è la norma. Metodi agricoli che in Europa sono tendenzialmente spariti negli ultimi decenni, ma che ora stanno venendo rivalutati in chiave moderna, in particolare nel biologico".

 

Cooperazione, accorciamento della filiera e valorizzazione dei prodotti, in realtà, possono essere fatti con qualsiasi sistema produttivo, perché l'agroecologia fa o dovrebbe fare la differenza?
"È vero. Tuttavia, sembra che ci sia una predisposizione maggiore degli agricoltori che fanno agroecologia ad aspetti come la cooperazione. Inoltre, il legame con il territorio e l'uso di varietà e razze locali, che è frequente se non centrale nell'agroecologia, tende a creare anche un sistema di comunicazione e di valorizzazione diverso e più efficace.

 

L'agricoltura non è bianca o nera, anche una conduzione convenzionale che tende ad inserire nuove forme di diversificazione colturale è ovviamente positiva ed è da considerare positivamente anche nell'ottica di una transizione agroecologica generale, intesa come obiettivo di ridurre gli input, aumentare la fertilità del suolo e la tutela dell'ambiente.

 

Si può tornare anche da noi a sistemi agricoli più complessi, ovviamente facendolo in maniera graduale. Alla fine sono le basi dell'agronomia quelle che cerchiamo di riportare al centro della gestione agricola, anche con l'aiuto di nuove tecnologie. Tecnologie che non potranno mai portare ad una gestione veramente sostenibile se disgiunte dall’applicazione di una buona pratica agronomica".