Il Wwoof (World wide opportunities on organic farms) ha un funzionamento semplice. Le aziende agricole che vogliono ospitare giovani e meno giovani desiderosi di toccare con mano l'agricoltura biologica si iscrivono all'associazione Wwoof nazionale (Wwoof in Italia) e pubblicano il loro profilo. Chi è interessato al progetto si iscrive, guarda gli annunci, e contatta l'host. L'obiettivo è diffondere uno stile di vita sostenibile, a contatto con la natura, e accorciare la distanza tra consumatori e agricoltori.
"Ho fatto wwoofing per tre anni consecutivi durante i periodi estivi e anche quest'anno replicherò l'esperienza", racconta ad AgroNotizie Martina Fabbretti, ragazza italiana classe 1989 partita per la prima volta nel 2015. "Il primo anno sono andata in Portogallo, in una azienda che produceva bamboo. Poi in Olanda, dove ora vivo. Qui sono stata ospitata in una piccola fattoria che allevava capre e in un allevamento di maiali berkshire e manzo wagyu. L'anno scorso invece sono stata in Spagna, in una fattoria biodinamica condotta da due fratelli che producevano frutta e verdura".
(Fonte foto: Martina Fabbretti)
Il patto tra host e wwoofer è chiaro. Il primo mette a disposizione vitto, alloggio e conoscenze. In cambio riceve il lavoro gratuito dell'ospite che dedica 4-5 ore della sua giornata a conoscere meglio l'agricoltura biologica. Poi tutto sta nell'alchimia che si crea tra agricoltore e aspirante tale. Inutile nascondere che c'è chi lo fa per avere mano d'opera quasi gratuita (e in questo modo viola i principi del movimento), ma la maggior parte è mossa da un genuino spirito di condivisione.
"In Portogallo ho sentito poco l'aspetto di condivisione delle conoscenze e delle esperienze, mentre con i due ragazzi spagnoli ho avuto modo di imparare molto e di creare relazioni anche dal punto di vista umano", continua Martina. "L'esperienza più profonda l'ho vissuta nella fattoria biologica in Olanda. L'host mi ha insegnato a prendermi cura delle capre, a mungerle e a produrre il formaggio. E non c'è nulla di meglio che macchiarsi il caffè la mattina direttamente in stalla".
La storia di Wwoof è piuttosto travagliata. Nato nel 1971 per opera di Sue Coppard, un'impiegata londinese appassionata di agricoltura biologica, il network si è espanso velocemente. La sigla inizialmente stava per Working weekends on organic farms (Weekend di lavoro in fattorie biologiche). I fine settimana però presto divennero periodi più lunghi e il nome fu cambiato in Willing workers on organic farms (Lavoratori volontari nelle fattorie biologiche). Erano gli anni post '68, in piena controcultura, quando biologico era sinonimo di hippie capelloni.
Oggi il movimento è molto cambiato e partecipano persone di ogni tipo, "ad accomunarci credo sia la voglia di contatto con la natura, di mettersi alla prova e di praticare una vita sostenibile", spiega Martina.
Il nome definitivo del network è World wide opportunities on organic farms. Questo perché in alcuni Stati il termine worker (lavoratore) mal si coniuga con le legislazioni in materia di lavoro, appunto. Ecco dunque un cambiamento lessicale che ha permesso di mantenere la sigla Wwoof. Oggi sono gli australiani ad essere i più attivi wwoofer con più di 2.600 fattorie coinvolte. Segue la Nuova Zelanda con 2.300 e gli Stati Uniti, con 2mila. In Italia sono circa 700 le aziende agricole che hanno annunci sul portale. L'iscrizione per i wwoofer costa trentacinque euro e comprende una copertura assicurativa.
"Il wwoofing è una esperienza che ognuno dovrebbe fare almeno una volta nella vita. Ti dà la possibilità di conoscere altre realtà, mettersi alla prova e stare a contatto con la natura", conclude Martina. "L'importante è affrontare questa esperienza con animo aperto. D'altronde con gli host e gli altri wwoofer ci passi tutta la giornata, condividi i pasti e si viaggia assieme. Ad esempio la famiglia olandese con l'allevamento di bovini wagyu aveva un food truck in cui preparava panini alle fiere e insieme abbiamo girato mezza Olanda. Mentre nell'allevamento di capre ho passato ore insieme alla mia host nell'attesa di un parto".