La risposta dello Usda è stata quella di lanciare un programma volto a certificare la terra agricola che i coltivatori stanno trasformando in biologica. Una sorta di certificazione della fase di transizione, per ovviare allo squilibrio del periodo in cui, appunto, gli agricoltori abbandonano il regime convenzionale e si spostano verso il biologico. Di fatto, seguono già le linee guida per una produzione bio, ma non possono ancora fregiarsi del marchio.
In questo periodo di passaggio, i coltivatori sono alle prese con una minore produzione in termini di volumi e non possono ancora beneficiare dei prezzi superiori che sono riconosciuti ai prodotti biologici.
Gli agricoltori dovranno dimostrare di seguire le linee guida per la produzione biologica per almeno un anno, per essere certificati come in transizione, e agenti accreditati dal dipartimento americano dell'Agricoltura ne verificheranno l'osservanza.
Tuttavia, il nuovo programma non prevede norme sull'etichettatura degli alimenti coltivati in aziende agricole che stanno passando al biologico.
Mondo vino
Gli Stati Uniti rappresentano il secondo mercato al mondo per consumo di vino biologico alle spalle della Germania, nonostante le superfici di vigneto "organic" (le cui normative sono in parte diverse da quelle Ue) siano appena il 5% del totale mondiale, dietro la Cina (6%) e il blocco europeo (85%, dati 2015), con Spagna (95.591 ettari), Italia (83.642 ettari) e Francia (68.565 ettari) a guidare la classifica.
Le vendite di bio in Usa
I consumatori sempre di più ricercano prodotti "organic", ritenuti sempre di più naturali e sani. Nel 2015, le vendite complessive di prodotti biologici hanno toccato un nuovo picco di 43,3 miliardi di dollari, registrando un incremento dell'11% rispetto ai livelli record dell'anno precedente, secondo l'Organic trade association.
La premessa di quanto sta accadendo Oltreoceano è l'occasione per uno scambio di battute con Matteo Bartolini, vicepresidente di Federbio, dopo l'esperienza come presidente del Consiglio europeo dei giovani agricoltori.
"Seppure oggi stiamo ancora attraversando un profondo periodo di crisi economica, il settore biologico continua a crescere diventando volano economico del settore agricolo ed agroalimentare - dichiara Matteo Bartolini -. Le sue performance dal punto di vista occupazionale ed economico stanno a dimostrare che l'esigenza del consumatore è quella di consumare sempre più cibi coltivati nel rispetto dell'ambiente. E' anche grazie al consumatore consapevole ed alle proprie scelte se agiremo con più celerità al radicale cambiamento del modello agricolo fermo ancora al periodo post-bellico".
Il bio sta crescendo un po' ovunque. "Negli Usa sono già stati superati i 4,1 milioni di acri (circa 1,66 milioni di ettari, ndr) e in Europa nel 2015 avevamo già oltre il 6% della Sau destinata al biologico, con 11 milioni di ettari".
La sfida che il mondo ha di fronte è quella di produrre di più con meno input e senza inquinare l'ambiente circostante. "Anche la Pac post 2020 intende dare spazio a un'agricoltura più verde, più efficiente e più equa - ricorda Bartolini -. Sono indubbiamente obiettivi ambiziosi, ma che saranno raggiunti solo favorendo un migliore utilizzo delle risorse naturali anche attraverso la tecnologia in direzione di quella che viene considerata il modello sostenibile del futuro: l'agroecologia".
Sarà questo il futuro?
"Sì. Serve una forte attività di resilienza per affrontare il cambiamento climatico, salvaguardare la biodiversità, anche raddoppiando i finanziamenti per la ricerca, l'innovazione e la condivisione delle conoscenze. In attesa di tutto questo, però, ciò che possiamo fare da subito è promuovere l'agricoltura biologica".
Quali sono gli ultimi trend di crescita del bio in Italia?
"Nel nostro paese il trend di crescita del biologico è notevole. Gli ettari coltivati a biologico superano largamente il milione e mezzo. Stiamo assistendo a un vero boom di imprenditori agricoli che stanno convertendo le proprie aziende agricole. Dal punto di vista di mercato, il biologico ha registrato un +20% nelle vendite anche nel 2016, come evidenziato dai dati Ismea/Nielsen. Il 74% delle famiglie italiane consuma cibo biologico, e di questi il 68% lo fa abitualmente".
Quali sono i canali di distribuzione?
"La parte del leone naturalmente è stata realizzata dalla Grande distribuzione organizzata, dove si è passati da 853 milioni di euro di fatturato nel 2015 a oltre 1 miliardo di euro nel 2016. Oltre alla grande distribuzione crescono anche i negozi specializzati, che hanno avuto un trend molto positivo. Ancor più importante è il risultato proveniente dalle catene di discount, dove si è avuto un vero e proprio boom di vendite".
Come interpreta la crescita del biologico nel discount?
"Credo che stia a dimostrare che il prodotto biologico non è più un settore di nicchia, ma anzi attira sempre più il consumatore medio a dimostrazione che la scelta del consumatore non è collegata direttamente al reddito, ma ad un acquisto consapevole".
Quali sono i prodotti che hanno avuto l'incremento maggiore?
"I prodotti che hanno avuto le migliori performance sono quelli del pane e della pasta (addirittura un +42.285% fra novembre 2015 e novembre 2016), le verdure (+1.395%), gli alimenti per l'infanzia (+8.750%), con una crescita media di tutte le referenze del 20% in un anno".
In Europa, come è stato fatto negli Stati Uniti, sarebbe utile un programma di certificazione del regime di transizione dal convenzionale al biologico, magari con Borse telematiche specifiche o con un mercato parallelo diversificato sia dal convenzionale che dal biologico?
"Sicuramente. Come detto, assistiamo su tutto il territorio nazionale, al boom di aziende agricole in conversione. Il motivo principale di questo passaggio è dato dalla crisi dei prezzi dei prodotti convenzionali, unitamente alla stagnazione della domanda e una conseguente crisi di sovrapproduzione".
Quali azioni dovrebbero essere messe in piedi?
"Per governare il trend di conversione da convenzionale a biologico bisognerebbe lavorare per alleggerire il peso burocratico e per proteggere il reddito dell'imprenditore agricolo. Durante il periodo di conversione, infatti, il produttore avrà una riduzione in termini quantitativi di prodotto, senza però scontare una maggiorazione di prezzo fin quando non ottiene la certificazione. Senza l'attivazione di una strategia in tal senso, diventa difficile per un agricoltore convenzionale già in difficoltà convertirsi al metodo biologico.
Nel rendere più flessibile il passaggio da convenzionale a biologico, non dobbiamo però rischiare di perdere la fiducia nel consumatore. Il settore può crescere, ma dovrà farlo tenendo presente che senza la fiducia delle famiglie non ci sarà possibilità di crescita. Quindi servono regole chiare e controlli rigidi a difesa del consumatore, del produttore onesto e dell'intero indotto".
Quali passaggi ritiene indispensabili?
"Ciò che a mio avviso oggi servirebbe di più è un cambio di passo nelle politiche istituzionali. Federbio chiede da tempo che anche le istituzioni pubbliche raccolgano la sfida del biologico, dando attuazione al Piano strategico nazionale approvato ad inizio 2016.
Chiediamo ad esempio che Ismea realizzi una rete di rilevazione e monitoraggio di prezzi alla produzione e tendenze di mercato dei prodotti agricoli, agroalimentari, della pesca e dell'acquacoltura, con un'attenzione specifica interamente per il settore biologico. Questo naturalmente per aiutare i produttori agricoli, ma anche appunto per far crescere tutto l'indotto e dotarlo dei giusti strumenti per farlo crescere nel mercato nazionale".
A che punto è il nuovo regolamento sul biologico?
"Il nuovo regolamento sul biologico continua a essere motivo di discussione tra i vari paesi della Ue. Dopo la proposta della Commissione, nel marzo 2014, siamo oggi definitivamente arrivati nella fase finale di trilogo tra Commissione europea, Parlamento Ue e Consiglio Europeo. Il percorso è durato fin troppo e, se non sarà approvato in breve tempo il regolamento, si rischia che la proposta di riforma venga ritirata dalla Commissione".
Quali sono le difficoltà in atto?
"Sono diversi gli aspetti che hanno portato allo stallo del negoziato e che frenano l'opportunità di raggiungere un accordo di massima. I temi in discussione vanno dal sistema di certificazioni, alla soglia dei residui, ma anche la certificazione di gruppo e altri elementi sui quali non c'è intesa. Crediamo invece sia utile una riforma del settore biologico, affinché il boom della domanda da parte del consumatore produca un'offerta di qualità certa".
Meglio un accordo parziale, ma pur sempre un accordo oppure è meglio lasciare perdere?
"Piuttosto che un accordo al ribasso è meglio che tutto si fermi. Ci sono questioni che non piacciono, come ad esempio il tema della reciprocità dei prodotti certificati extra-Ue rispetto ai prodotti certificati secondo la normativa europea.
La norma comunitaria rappresenta un'importantissima garanzia per il consumatore nella qualità del prodotto e per il produttore, dal momento che prevede una concorrenza leale nella fase produttiva e per l'ambiente. Se diamo fiducia al settore, allora vinceremo la sfida della sostenibilità. Solo così faremo un'agricoltura migliore per gli imprenditori agricoli, per i lavoratori, per il consumatore, per l'ambiente e per tutto l'indotto economico".