Il progetto del Consorzio Vini Venezia si prefigge quindi di scoprire l’origine, la provenienza e la caratteristica delle viti ancora presenti in Laguna attraverso lo studio del materiale genetico prelevato dalle piante. Nel 2010, grazie al supporto del professor Attilio Scienza, in collaborazione con un gruppo di tecnici dell’Università di Padova e Milano, il Centro di ricerche per la viticoltura di Conegliano e l’Università di Berlino, si è intrapreso un lavoro di recupero di vecchi vigneti sparsi fra Venezia e le isole della Laguna, ricercando all’interno di conventi, broli, giardini e altri luoghi, nella speranza di rintracciare esemplari che si fossero salvati dalla fillossera.
Venezia è la città da cui è partita la moderna viticoltura della terra ferma. Per scoprire la provenienza, l’identità e l’entità del germoplasma viticolo della laguna diverso dai vitigni già conosciuti, è stata pianificata un’indagine a tappeto su tutto l’areale. Le piante da campionare sono state selezionate in base all’assenza di informazioni precise sulla loro identità da parte dei proprietari e al fatto che queste presentassero un aspetto morfologico che non riconducesse con chiarezza ai principali vitigni noti. I campionamenti sono stati effettuati in 11 località comprese tra la laguna Nord (isola di Torcello, delle Vignole e di S. Erasmo), Venezia città e la laguna Sud (Lido Alberoni, S. Lazzaro degli Armeni e Pellestrina).
"La disponibilità delle comunità religiose, delle aziende e dei privati ha consentito la visione delle piante ed il prelievo di campioni per effettuare il Dna alle piante che risultavano di origine incerta o avevano comportamenti particolari – spiega Carlo Favero, direttore del consorzio -. Questo ci ha permesso di raccogliere un patrimonio di varietà molto interessante formato da tipi di viti conosciute ma con “habitus” non caratteristici e particolarmente resistenti alle malattie, accanto ad altre sconosciute. Il Progetto vuole anche rafforzare una parte storica e importante della viticoltura locale".
Come spiegato nel libro dal titolo "Il vino nella storia di Venezia", che è stato presentato in questi giorni e che racconta il progetto, sono state campionate complessivamente 68 piante. L’identificazione varietale della vite è stata affrontata con tecniche moderne di analisi del Dna (estratto da alcune foglioline) che ha consentito di ottenere l’impronta genetica della vite, ovvero il suo profilo molecolare, e di fare un confronto con la banca dati del Centro di ricerca per la viticoltura di Conegliano e con i dati di letteratura, portando all’identificazione di quasi tutte le viti campionate. Sono stati ottenuti 25 profili molecolari, 22 dei quali corrispondono a varietà già identificate. In particolare, si tratta di 20 varietà di Vitis vinifera L., 14 uva da vino e 6 uva da tavola, e di 2 ibridi interspecifici molto noti, il Baco noir e il Villard blanc.
Tra i ritrovamenti anche una varietà importata dall’Armenia
Tra le varietà da vino sono prevalenti quelle a bacca bianca, cioè Albana, Dorona, Garganega, Glera (o Prosecco), Malvasia istriana, Moscato giallo, Tocai friulano, Trebbiano toscano, Trebbiano romagnolo, Verduzzo trevigiano e Vermentino; le rimanenti sono a bacca nera, cioè Marzemino, Merlot e Raboso veronese. Anche tra le uve da tavola prevalgono quelle a bacca bianca. Sono state trovate Italia, Sultanina, Regina dei vigneti e S. Anna di Lipsia (o Luglienga), a bacca bianca, ed il Moscato d’Adda, a bacca nera. Nell’isola di S. Lazzaro degli Armeni, inoltre, nelle proprietà del monastero è stata identificata una varietà denominata Rushaki, a bacca bianca, a duplice attitudine. Si tratta di una costituzione recente, ottenuta nel 1932 da incrocio tra Mskhali e Sultanina presso l’Istituto armeno di ricerca per la viticoltura, l’enologia e le piante arboree di Yerevan. Evidentemente questa varietà è stata importata dall’Armenia nella laguna di Venezia.
Sette piante non sono state identificate, ma si è potuto dedurre che si tratta di 3 varietà, che sono state raggruppate con le sigle sconosciute G1, G2 e G3. In particolare, il genotipo G1 ha un profilo molecolare con caratteristiche tipiche delle viti selvatiche di origine americana, quindi si può concludere che si tratta di un altro ibrido interspecifico. Il genotipo G2, individuato nel monastero di S. Lazzaro degli Armeni, potrebbe rappresentare un caso analogo a quello del Rushaki, ma al momento non sono stati trovati riscontri con dati di letteratura utili per l’identificazione. Invece per il genotipo G3 di quattro piante trovate a Pellestrina sono in corso ulteriori approfondimenti.
E’ con l’intento di salvaguardare questa biodiversità del patrimonio viticolo lagunare, che sono stati realizzati i due vigneti sperimentali che raccoglieranno le viti recuperate dal progetto e alcune varietà storiche presenti da centinaia di anni all’interno della laguna di Venezia.
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Fonte: Consorzi Vini Venezia