Giovani e con delle idee in testa. In vista dell’assemblea d’area dedicata agli under 30 della Coldiretti, in programma a Bologna domani 19 marzo e intitolata “All’italiana”, Agronotizie ha scovato tre casi di imprese giovani che hanno avviato un nuovo corso imprenditoriale.

Ragazzi che sono partiti dal nulla, con un’idea in testa, o che hanno rilanciato l’azienda agricola di famiglia.

Un viaggio che si gioca nella provincia mantovana, dove nei giorni scorsi il gruppo giovani della Coldiretti ha eletto il nuovo rappresentante provinciale del movimento: Lorenzo Donà, 26 anni, allevatore di vacche da latte nel comprensorio del Parmigiano reggiano.

A tutta birra. Un’azienda agricola centenaria, come quella di Enrico Treccani, 28 anni, perito agrario di Castelgoffredo, cambia passo e ci beve sopra, verrebbe da dire. “Coltiviamo birra – dice invece Enricoe mi sembrava strano, quando ho iniziato nel 2008, che nessuno ci avesse pensato. La pianura padana è una zona ideale per l’orzo”.
Nei due anni successivi Enrico frequenta corsi in tutta Italia, per affinare la tecnica. Intanto, proprio nel 2010 la legge dice che anche la birra è un prodotto agricolo. Ecco la molla per accelerare, con la posa della prima pietra del birrificio, una struttura di 400 metri quadrati in cui oltre alla produzione salta fuori lo spazio per una vendita diretta in cascina.
Attualmente l’agri-birrificio Luppolajo (www.luppolajo.it) vive con l’orzo distico, un orzo maltiero, prodotto oggi su 5 dei 27 ettari dell’azienda agricola, “ma i progetti sono di aumentare, visto che abbiamo molte richieste dall’Italia e dall’estero”. A dargli una mano, grande appassionato, è il papà Rinaldo.
La cura per la materia prima è massima. “Facciamo trattamenti supplementari con gli agrofarmaci e in caso irrighiamo – spiega Treccani -. Poi l’orzo, una volta raccolto, viene stoccato per l’estate in una cella frigorifera e, in ottobre, spedito in Austria per la maltazione, prima di tornare in azienda per la birrificazione”. Non tutta, perché una quota viene venduta ad altri micro-birrifici italiani, che richiedono qualità elevata.
Acquistare una tonnellata di malto significa spendere circa 800 euro.
L’impianto del Luppolajo lavora cinque ettolitri alla volta. La produzione 2012 è stata di 320 ettolitri. Le birre sono rifermentate in bottiglia e non sono filtrate né pastorizzate. Questo naturalmente influisce sulla conservazione. Una birra dura da otto mesi a un anno, non di più. Sono cinque le tipologie di birra prodotte, più la “Birra di Natale”, commercializzata sono per le festività natalizie ed estremamente adatta al carrello dei bolliti.
“Pochi giorni fa – racconta Enrico – siamo stati premiati col terzo posto per la miglior birra chiara ad alta fermentazione”. Oltre allo spaccio aziendale, l’agri-birrificio Luppolajo vende anche sui mercati contadini della provincia di Mantova, a Firenze e Milano, ma anche in fiere specializzate, senza trascurare il canale horeca, i beer shop, i pub, gli agriturismi e la vendita online. Il formato della bottiglia è di 75 cc e il prezzo di vendita è fra i 6 e i 7 euro.
“Abbiamo molte richieste dall’estero: Australia, Sud Africa, Israele e Svizzera, finora. Ma per l’export dovremo raddoppiare la produzione, cosa che è in programma a breve”. L’investimento? 500mila euro fra opere murarie e attrezzature. “Abbiamo iniziato anche un’altra attività di nicchia – prosegue – che è la tostatura a legna del malto d’orzo per il caffè. La qualità è estremamente elevata e il risultato è di una bevanda molto più profumata”.


Derek Boscaini
 


Speedy, come una lumaca. Ha 28 anni Derek Boscaini, elicicoltore di Mariana Mantovana. Da un anno e mezzo è coltivatore diretto, dopo alcuni anni vissuti come fornaio, nell’attività di famiglia. Ma quei 10 ettari tra proprietà e affitto meritavano di concretizzare un’idea che in famiglia girava da un po’: allevare lumache. L’investimento è stato di 50mila euro, mentre altri 150mila euro sono stati necessari per il laboratorio sperimentale, in fase di certificazione.
Derek Boscaini sceglie il modello francese, che si differenzia da quello italiano per l’alimentazione con farine e cereali e perché la riproduzione avviene in serra e non a pieno campo.
“In una serra di 30 metri per 15, utilizzata al 50% della propria potenzialità - dice Derek Boscaini - allevo 15mila lumache, ma punto al raddoppio”. La tempistica è la seguente: dalle uova alla nascita della lumaca passano 20-25 giorni; altrettanto è il tempo passato nella “nursery”, prima di essere spostate in pieno campo, protette comunque con reti antigrandine e contro gli uccelli.
Da ogni lumaca nascono una settantina di piccoli, contro le 6-7 con l’allevamento a pieno campo. Certo è molto più faticoso fare i passaggi dalla serra alla nursery all’aperto, dove stanno tre mesi, prima di un periodo di 10 giorni di spurgo in un’area a temperatura controllata. Per ora il ciclo si chiude qui. Le lumache sono vendute vive alla gastronomia di famiglia, alla ristorazione, ai farmer market.
Una volta terminate le procedure di autorizzazione del laboratorio, Derek Boscaini svolgerà anche l’attività di macellazione, “con l’obiettivo di arrivare alla ristorazione”.
L’obiettivo del 2013 è “arrivare a produrre 15 tonnellate di prodotto vivo”. Quanto ai prezzi di mercato, le lumache vive si pagano sui 7-8 euro al chilogrammo; la polpa, invece, arriva anche a 30 euro. Per informazioni: lumacheriaolmo@gmail.com


Nitrati addio. Un allevatore che in stalla munge 180 vacche, con il latte destinato alla produzione di Parmigiano reggiano, può avere come problema il rispetto dei vincoli della direttiva nitrati. Alessandro Gandolfi, 29 anni, produttore di latte a Pegognaga, ha trovato una soluzione innovativa, insieme  ad altri giovani: Maurizio Vincenzi (26 anni), Giulia Caramaschi (23) e Davide Gemelli (25).
“Non dovevamo inventarci niente, ma semplicemente guardare ad un sistema antico di valorizzare il letame, e cioè con la lombricoltura”, racconta Gandolfi. Così, nel 2011 acquistano lombrichi rossi della California, che in 500 metri quadrati rendono una produzione di 1.500 quintali di humus all’anno che viene venduto ai giardinieri, ma anche agli agricoltori del Sermidese, per la coltivazione dei meloni.
Il progetto, finanziato dalla misura 124 del Psr, si chiama Agri-multitasking e coinvolge otto partner (fra cui il Crpa di Reggio Emilia), all’interno del distretto agroalimentare di qualità Po di Lombardia.
Capofila operativo è la cooperativa San Lorenzo, che gestisce il processo di separazione del letame, raccolto nelle aziende zootecniche dei 70 soci. “Il letame prende così due strade: l’alimentazione diretta dei lombrichi e digestori di biogas, in modo da abbassare la quota del trinciato di mais; una volta terminata la fase di produzione di gas, il digestato in uscita termina il proprio percorso nell’aerea destinata alla lombricoltura”.
Gli impianti di lombricoltura si trovano nell’azienda agricola di Mario Gandolfi e presso la società agricola Ezio e Renato Gemelli.
Le prime 20 tonnellate di humus prodotte sono state vendute a 150 euro la tonnellata.
“L’obiettivo per quest’anno è raddoppiare la produzione e innescare una filiera virtuosa con la produzione di meloni mantovani, in modo da contenere l’utilizzo di agro farmaci”. Il sito, in fase di allestimento, è www.agrilombricolturaterraviva.it.